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Processo Open Arms, Piantedosi testimonia: “Ong decise di venire in Italia, tre ministri firmarono divieto”

Matteo Piantedosi testimonia nel processo Open Arms, in cui Matteo Salvini è imputato per sequestro di persona, raccontando che la nave umanitaria avesse rifiutato un porto di sbarco sia da Malta che dalla Spagna. Secondo il ministro, all’epoca capo di gabinetto al Viminale, la Open Arms avrebbe deciso arbitrariamente di dirigersi verso l’Italia e per questo tre ministri firmarono il divieto di ingresso in acque territoriali.
A cura di Annalisa Girardi
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A Palermo oggi si tiene una nuova udienza del processo Open Arms, in cui Matteo Salvini è imputato per sequestro di persona per aver impedito, nell'agosto 2019, lo sbarco di 163 migranti per 19 giorni. Tocca a Matteo Piantedosi deporre come testimone: all'epoca dei fatti era capo di gabinetto al Viminale, ministero che oggi guida. "Credo che, nello specifico, la Open Arms mirasse subito a venire verso l'Italia. Trascuravano il fatto di poter richiedere assistenza per poter sbarcare persone in Tunisia o a Malta. Qualificammo l'evento come di immigrazione clandestina e, valutati i comportamenti della Open Arms, avviammo le procedure per emanare il decreto interministeriale per impedirle l'ingresso in acque internazionali italiane. La definizione di non inoffensività si basava sul comportamento attuale e pregresso della Open Arms che non aveva accettato il coordinamento della Guardia Costiera libica e che si dirigeva direttamente verso le acque italiane", afferma.

Proprio quella decisione, di vietare l'ingresso nelle acque territoriali, "venne condivisa da tre ministri, ed era a triplice firma, il ministro dell'Interno, il ministro delle Infrastrutture e della Difesa informando il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte", dice Piantedosi.

La ricostruzione di Piantedosi: "Spagna e Malta offrirono Pos, Ong rifiutò"

Nella sua ricostruzione Piantedosi sostiene che "il tutto che tutto nacque da una segnalazione di tre piccole barche che erano in navigazione, per le quali era stata attivata la Guardia costiera libica, poi ci fu la segnalazione che la Open Arms". Il ministro racconta di un "primo recupero di persone coordinato dai libici" e poi, nei giorni successivi, di "altri eventi in acque Sar maltesi e libiche". E aggiunge: "La Open Arms si rifiutò di consegnare una parte delle persone a Malta, nonostante Malta lo avesse chiesto. Non aveva accettato nemmeno il coordinamento della Guardia costiera libica".

Secondo Piantedosi gli stessi migranti a bordo avrebbero chiesto al comandante della nave umanitaria perché non si stessero dirigendo verso Malta: "Il terzo evento riguardò 39 migranti. Ricordo che i maltesi si offrirono di farsi consegnare 39 migranti che ritenevano fossero di loro competenza. Credo di ricordare che gli mandarono anche una loro motovedetta. Questo fu rifiutato dalla Open Arms. I migranti. chiesero conto al comandante della nave su come mai non avessero consentito di farli sbarcare a Malta".

Per il ministro la Ong aveva scelto arbitrariamente il porto di sbarco: "Non poteva essere, per come la vedevamo noi, il soggetto privato che decideva a chi chiedere il Porto per lo sbarco dei migranti a bordo. L'autorizzazione alla scelta del porto di sbarco tutt'oggi compete al ministero dell'interno perché vi è tutta una logistica da mettere in campo. Le esigenze di soccorso in quanto tale non competono invece al ministero dell'Interno, ma ad altre autorità". Va precisato che il Pos – il place of safety, appunto il porto sicuro di sbarco – si individui secondo precise indicazioni di convenzioni e normative internazionali: sono gli Stati a indicarlo per quanto riguarda la propria competenza nazionale.

Piantedosi prosegue affermando che anche la Spagna avesse offerto un porto alla nave umanitaria: "La Spagna, che aveva anche fatto partire una nave per andarli a prendere, concesse il porto sicuro alla Open Arms dopo Ferragosto, per noi fu un segnale molto importante, ma la Ong come prima reazione disse che non era in condizione di arrivare in Spagna perché era trascorso troppo tempo. In realtà avrebbero certamente potuto farlo. Credo temessero sanzioni in quel Paese perché avevano preso a bordo più persone di quanto la legge consentiva loro". Sulle condizioni a bordo, che dopo gli innumerevoli giorni in mare iniziavano a diventare incredibilmente precarie, il ministro dichiara: "Non ho mai riferito a Salvini di criticità a bordo né ho ricevuto rifiuti. Peraltro che ci fossero tensioni tra immigranti dopo i soccorsi era abbastanza normale e non alterava il meccanismo decisionale".

La situazione a bordo della nave

La testimonianza prosegue con l'affermazione che alcuni migranti avrebbero cominciato ad "agitarsi con il omandante per non essere sbarcati quando avevano avuto l'occasione", cioè quando Malta aveva offerto il porto. Sulle condizioni sanitarie dei naufraghi a bordo, invece, Piantedosi racconta: "Non spettava al ministero dell'Interno valutare le condizioni sanitarie complessive, ma agli uffici competenti che sono Usmaf e Cirm: abbiamo prestato assistenza permettendo a chi di dovere di andare sulla nave per una valutazione complessiva dello stato dei migranti. Quello di tuffarsi in mare è un gesto a volte volontario e a volte puramente dimostrativo, incentivato da chi sta a bordo". Sulla presenza di minori a bordo, il ministro precisa: "I minori a bordo erano definiti tali ma senza un accertamento specifico. Non erano comunque abbandonati a se stessi, ma erano accompagnati da figure adulte".

Invece, sulla possibilità che a bordo ci fossero anche dei terroristi, dice: "La presenza di terroristi a bordo dei barconi era un elemento che ricorreva in ogni Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica e derivava anche da informazioni dell'intelligence. Non è che sapevamo se sul barcone ci fosse il terrorista, ma sapevamo che l'immigrazione incontrollata aumentava i rischi per non parlare dei problemi di gestione e di eventuali radicalizzazioni dopo lo sbarco".

"Scopo del governo Conte I era che l'Italia non fosse unico porto di sbarco"

Secondo Piantedosi l'obiettivo del primo governo di Giuseppe Conte, formato da una coalizione di Lega e Movimento Cinque Stelle, era quello di fare in modo che l'Italia non fosse l'unico porto di sbarco per i migranti: ""Il governo italiano aveva come obiettivo, nell'ottica della redistribuzione dei migranti in territorio europeo, che l'Italia non fosse l'unico porto di sbarco dei flussi di migranti provenienti dal Mediterraneo. Ritenevamo che anche in base al diritto internazionale, i Paesi di bandiera avrebbero dovuto farsi carico del problema, anche fornendo assistenza".

E sulle redistribuzioni delle persone soccorse in mare aggiunge: "La linea di cercare la condivisione con gli altri Paesi europei prima di autorizzare lo sbarco cominciò durante il Governo Conte uno, anche allora c'era l'obiettivo di coinvolgere altre nazioni nella distribuzione dei migranti".

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