Processo Open Arms, Matteo Salvini è stato assolto perché il fatto non sussiste
Il ministro dei Trasporti Matteo Salvini è stato assolto per i reati di sequestro di persona e di rifiuto di atti d’ufficio, l'accusa formulata dai pubblici ministeri Marzia Sabella, Geri Ferrara e Giorgia Righi. Questa è la sentenza del processo Open Arms, in primo grado. In mattinata, arrivando nell'aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo, Salvini aveva dichiarato: "Ho mantenuto le promesse fatte, ho contrastato le immigrazioni di massa e qualunque sia la sentenza, per me oggi è una bella giornata perché sono fiero di aver difeso il mio Paese. Rifarei tutto quello che ho fatto e entro in questa aula orgoglioso del mio lavoro". Lo stesso leader leghista aveva già annunciato che, in caso di condanna, non si sarebbe dimesso dal suo incarico nel governo.
In aula, oltre a Salvini, erano presenti anche il ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara e il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, entrambi leghisti. In mattinata, la procura aveva svolto un ultimo intervento, a cui aveva replicato l'avvocata del ministro, Giulia Bongiorno – ex ministra che a ottobre disse che la Open Arms stava "bighellonando" in mare. I giudici (il presidente di sezione penale Roberto Murgia, insieme a Andrea Innocenti e Elisabetta Villa) erano entrati in camera di consiglio attorno alle undici, preannunciando che ci sarebbero volute diverse ore per arrivare a un verdetto.
Perché Salvini è stato assolto nel processo su Open Arms: il fatto non sussiste
I giudici della seconda sezione del tribunale di Palermo, con la sentenza di questa sera, hanno assolto Matteo Salvini dalle accuse di sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio "perché il fatto non sussiste". Secondo la lettura della sua avvocata, Giulia Bongiorno, "È stata un'assoluzione con formula piena, c'è la prova piena che non sussiste alcun reato. Non è una sentenza contro i migranti, ma contro chi sfrutta i migranti".
Il caso Open Arms, cosa accadde nel 2019
Il caso della Open arms risale al 2019. Il 1° agosto, la nave della Ong soccorse un centinaio di persone che si trovavano su un barchino al largo della Libia ed erano in pericoloso. Poi, però, il governo italiano – all'epoca guidato da Giuseppe Conte e con Salvini come ministro dell'Interno, quindi competente in materia – impedì all'imbarcazione l'ingresso nelle acque nazionali. Invece di andare in Spagna, come richiesto dalle autorità italiane (viaggio che sarebbe stato decisamente più lungo) la nave decise di attendere in acque internazionali e continuare a chiedere l'autorizzazione ad attraccare in un porto sicuro.
Era il periodo della politica dei ‘porti chiusi‘, promossa soprattutto dalla Lega. Servì un intervento del Tar del Lazio, il 14 agosto, per permettere l'accesso alle acque italiane all'imbarcazione. E solamente il 20 agosto, con la decisione della procura di Agrigento di ispezionare l'imbarcazione e ordinare l'evacuazione delle persone trasportate, i migranti poterono sbarcare. Si avviarono poco dopo le indagini contro il ministro Salvini, con l'ipotesi di rifiuto di atti d'ufficio e di sequestro di persona.
Le tesi di accusa e difesa e cosa succede ora
Il processo di primo grado è durato oltre un anno. La sentenza raggiunta oggi ha stabilito chi aveva ragione tra l'accusa – che contestava il ministro Salvini per i reati già citati perché non avrebbe svolto il suo dovere di ministro e, nel farlo, avrebbe di fatto sequestrato le 147 persone a bordo della Open Arms – e la difesa.
La linea difensiva di Salvini, pubblicamente, si era concentrata soprattutto sul fatto che bloccare lo sbarco sia stata una scelta politica legittima, perché serviva a difendere i confini italiani e bloccare l'immigrazione illegale. In tribunale, invece, la difesa legale del ministro aveva provato a sottolineare tra le altre cose che la responsabilità delle decisioni non era unicamente di Salvini, e che comunque la Open Arms avrebbe ricevuto varie offerte di sbarco – in Spagna, ad esempio, o anche in Italia – ma avrebbe rifiutato.
Non c'è ancora la conferma ufficiale, ma è già praticamente certo che ci sarà un processo di secondo grado. Per quanto riguarda le ricadute politiche sul governo Meloni, invece, non ce ne saranno. Almeno, non in modo diretto. Anche in caso di condanna, infatti, Salvini aveva chiarito che non si sarebbe dimesso.