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Processo al giornalista di Fanpage.it che raccontò i No Tav, Civati: “Reporter siano liberi”

Domani è attesa la sentenza di appello nel processo a carico di Davide Falcioni, condannato a quattro mesi di reclusione perché documentò le proteste dei No Tav. Pippo Civati: “Un passaggio delicato per la libertà di stampa: confidiamo non si crei un precedente a danno del lavoro dei reporter”
A cura di Annalisa Cangemi
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Domani è prevista la sentenza di appello nel processo a carico di Davide Falcioni, il giornalista di Fanpage.it condannato a quattro mesi di reclusione dal Tribunale di Torino perché, nel 2012, per svolgere il suo lavoro, si trovava insieme ai manifestanti No Tav per raccontare un'iniziativa di protesta. Il 9 aprile del 2018 è stato condannato con l'accusa di "concorso in violazione di domicilio". In quel periodo il reporter 35enne lavorava come cronista di AgoraVox. I fatti contestati risalgono al 24 agosto, quando insieme al gruppo di attivisti si introdusse nella sede torinese della Geovalsusa, società nel consorzio dei costruttori della tratta ferroviaria Torino-Lione, documentando l'azione dimostrativa con un reportage e un articolo.

Pippo Civati, fondatore di Possibile, ha espresso solidarietà al reporter: "Domani è attesa la sentenza sul caso Falcioni, un passaggio delicato per la libertà di stampa: confidiamo non si crei un precedente a danno del lavoro dei reporter".

Sostegno al giornalista di Fanpage.it anche da parte di Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione Comunista: "Spero che la Corte d'appello di Torino cancelli domani la condanna di primo grado a 4 mesi inflitta al giornalista Davide Falcioni, reo di aver raccontato una giornata di lotta No Tav. Davide entrò in un ufficio occupato durante una protesta. Che sia stato condannato per aver fatto il suo lavoro è una vergogna, una sentenza persecutoria che trasforma in reato l'esercizio del diritto di cronaca", ha scritto su Facebook.

"Confido nella corte d'appello di Torino, visto che in primo grado il giudice ha sentenziato che i giornalisti che raccontano la vicenda della Tav possono farlo solo riportando le veline della questura – ha commentato Davide Falcioni – Credo che se lo stesso ragionamento fosse stato fatto per la ‘macelleria messicana' al g8 di Genova, ad esempio, non saremmo mai arrivati alla verità che oggi conosciamo. Tra l'altro altro le sentenze della Corte europea impongono come unico limite all’attività di indagine del cronista la ‘rilevanza sociale' e il ‘pubblico interesse', requisiti che giustificano le mie scelte professionali. Avrei dovuto rinunciare a fare il giornalista per non commettere il reato di violazione di domicilio? Io credo di non aver commesso alcun reato, anzi di aver fatto quello che qualsiasi cronista dovrebbe fare se gli capitano delle cose davanti agli occhi".

Il processo

Il giornalista di Fanpage.it in un primo momento è stato chiamato a testimoniare in difesa dei 19 imputati, che furono indagati per quella contestazione. A Falcioni venne chiesto di riferire quello aveva già riportato nei suoi pezzi, e cioè che i danneggiamenti di cui parlava la Polizia non c'erano stati. Non avrebbe mai potuto pensare che il suo lavoro si sarebbe potuto ritorcere contro di lui, trasformandosi in una contestazione giudiziaria da parte del pm Manuela Pedrotta.

Durante l'esame, dopo aver rilasciato le sue dichiarazioni, gli fu comunicata un'indagine a suo carico per lo stesso reato di cui erano accusati gli altri imputati. Ma dopo essere stato sentito in aula la pm stralciò la sua posizione, considerandolo correo del reato. A quel punto, dopo la notifica della chiusura delle indagini preliminari, nell'ottobre 2015, il 4 aprile Davide Falcioni è stato quindi rinviato a giudizio dal Gup del Tribunale di Torino Paola Boemio.

La sentenza di primo grado ha accolto sostanzialmente la tesi dell'accusa, secondo cui Davide Falcioni non doveva introdursi nell'edificio, e chiedere da fuori cosa accadeva nelle stanze, invece di entrare e documentare quello che vedeva con i suoi occhi, come ogni cronista farebbe. In pratica per la Procura di Torino il giornalista si sarebbe dovuto limitare a chiedere alla polizia quello che era successo nonostante nessun agente fosse stato presente in quel momento. "Falcioni, perché è entrato? Non poteva farsi raccontare quello che era successo dalle Forze dell'Ordine?" aveva chiesto il pubblico ministero durante il dibattimento. "Scusi, ma lei è marchigiano, cose le interessava della Tav?" è stata un'altra delle domande rivolte al giornalista.

Federazione nazionale della Stampa italiana e Associazione Stampa Subalpina sono intervenute in sua difesa: "Condannato per aver fatto il proprio dovere. Ossia informare i cittadini su una manifestazione dei No Tav. Aver inflitto 4 mesi di reclusione al collega Davide Falcioni, all’epoca collaboratore di AgoraVox, contestandogli la violazione di domicilio, rappresenta un’ingiustizia e uno schiaffo al diritto di cronaca. Il collega Falcioni – hanno aggiunto – si era limitato a seguire e a raccontare i fatti. A meno che non venga dimostrato che Falcioni aveva preso parte alla violazione di domicilio, la condanna è incomprensibile e suona come un attacco al diritto di cronaca. L’auspicio è che in appello prevalgano le ragioni dell'articolo 21 della Costituzione".

Come ha spiegato anche l'avvocato di Davide Falcioni, Gianluca Vitale, "da quanto si ricava dalla requisitoria del pm il problema è soltanto il contenuto dell'articolo. Falcioni non fece nulla: si limitò a osservare quel che accadde, e poi lo riportò. Evidentemente lo riportò in un modo che non è piaciuto alla procura. Ma così siamo alla teorizzazione giudiziaria del giornalismo embedded: bisogna stare in redazione e passare solo le veline che vanno bene".

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