Presidente Corte costituzionale: “Sul suicidio assistito serve una legge, altrimenti interveniamo noi”
La Corte costituzionale ha già chiesto diverse volte negli anni che il Parlamento intervenga con una legge nazionale sul fine vita, che regoli anche le modalità di accesso al suicidio medicalmente assistito. Finora però non è mai successo, e così diverse Regioni – come l'Emilia Romagna di Bonaccini, o il Veneto di Zaia – hanno provato a portare avanti iniziative individuali. Oggi il presidente della Corte costituzionale, Augusto Antonio Barbera, nella sua relazione annuale alla presenza di Sergio Mattarella e nella successiva conferenza stampa, ha sottolineato che se l'inerzia del Parlamento non cambia "la Corte non potrà non intervenire".
Barbera ha parlato di "rammarico" perché "nei casi più significativi", cioè quello del fine vita e quello della legge per i figli di coppie Lgbt, il Parlamento non è intervenuto. In questo modo, ha rinunciato "a una prerogativa che gli compete", e dall'altra parte ha obbligato la Corte costituzionale a "procedere con una propria e autonoma soluzione, inevitabile in forza dell'imperativo di osservare la Costituzione", perché la Corte "non può comunque rinunciare al proprio ruolo di garanzia", e deve continuare ad "accertare e dichiarare i diritti fondamentali reclamati da una ‘coscienza sociale' in costante evoluzione".
In particolare, sul suicidio assistito, gli interventi delle Regioni sono una vera e propria "supplenza del Parlamento", che non dovrebbe essere necessaria. Per questo, Barbera ha chiarito: "Abbiamo coinvolto il Parlamento nella disciplina del fine vita, ma non è che intendiamo fermarci e dire ‘adesso è compito del Parlamento'. No, noi chiamiamo il Parlamento a collaborare nella identificazione dei parametri che fanno riferimento a valori e che richiedono una lettura integrata anche dalla opinione e volontà delle assemblee espressive della volontà popolare".
Chiaramente la Corte costituzionale non può approvare delle leggi, ma Barbera ha fatto capire di essersi stancato dopo anni di inattività politica su un tema così delicato:"L'attività del Parlamento non è un'attività ‘servente', ma se rimane l'inerzia la Corte non potrà non intervenire a difesa di quei diritti".
Per questo, ancora una volta è partito l'appello: "Auspico ci sia un intervento del legislatore che dia seguito alla sentenza n. 242 del 2019 della Consulta sul fine vita", ovvero il cosiddetto caso Cappato: allora la Corte stabilì i criteri entro cui l'assistenza al suicidio non poteva essere punito come reato. Questi avrebbero dovuto porre le basi per una legge nazionale, ma da allora non c'è stato un passo avanti definitivo.