La Cassazione ha da poco pronunciato la più importante sentenza della storia italiana recente. Berlusconi è stato condannato a quattro anni ma non è interdetto dai pubblici uffici. Sarà una nuova sezione della Corte d'Appello a decidere quale saranno i termini dell'interdizione ma su questa scelta non peserà la spada di Damocle della prescrizione perché la sentenza è, ormai, definitiva.
Una sentenza che lascia interdetti tutti ma, soprattutto, rispecchia quello che è successo negli ultimi vent'anni.
Stuoli di pro e anti-berlusconiani si sono divisi il prato dinanzi la corte di Cassazione. Non abbiamo assistito ad una sentenza ma ad un derby. Abbiamo assistito alla partita finale tra due squadre che hanno stretto l'Italia nell'immobilismo più bieco.
Così, mentre una sentenza chiude l'epoca berlusconiana, le due fazioni continuano a sfidarsi in questo derby senza futuro. Un derby che ci ha spinto verso il basso e che, almeno stando alle prime reazioni, non sembra esser terminato.
Si è scelto di non pensare ad un paese in crisi, ad un rating che si abbassa di mese in mese ma di continuare a dibattere di questa sentenza.
Siamo stati capaci di oltrepassare il concetto di partito personale per accettare l'idea di un paese personale. Attenzione, la responsabilità non è, unicamente, di Berlusconi ma anche dell'opposizione, incapace, in questi anni, di emanciparsi dalla necessità di lottare contro il patron di Mediaset.
Si pensi solo che il PD, nelle sue declinazioni, ha governato per ben due volte e non è mai riuscito ad esprimere un'idea di nazione che “rosicchiasse” elettori a Silvio Berlusconi.
Mi vergogno un po' di quanto sta accadendo, di dover spiegare ai colleghi stranieri perché un processo ad un ex Presidente corrisponde più ad una finale di Copa del Rey tra Barcellona e Real Madrid che ad una lettura della sentenza del massimo organo giudiziario di un paese occidentale. E' difficile trovare le parole per giustificare come, un processo ad un ex Presidente del Consiglio, sia diventato un processo politico, anzi, calcistico.
E' difficile spiegare perché l'Italia si comporta così. E' difficile spiegare perché un uomo è descritto al contempo martire ed eroe.
Sarà difficile spiegare perché si titola: “dieci milioni di italiani sono stati condannati” o “pregiudicato”. Non è giusto. Non è giusto utilizzare gli italiani come “scudo protettivo” né una sentenza come “nave rompighiacci”. Non è giusto aver trasformato questo paese in un paese personale.
Mi spiace, ma tutto ciò non appartiene ad un paese democratico e occidentale. Un paese che vede il suo ex primo Ministro condannato in via definitiva accetta la sentenze a prescindere dal condannato. Un paese democratico sa che i suoi destini non dipendono da quelli di un suolo uomo. Perché un paese democratico è, prima di tutto, un Stato. Uno Stato fatto da 60 milioni di persone, una moltitudine di idee e vite che non possono essere, tutte, legate ai destini di un uomo solo. Perché uno Stato che, guardandosi allo specchio, sceglie di mettere al suo centro un uomo solo non ha mai capito, davvero, cos'è la democrazia.