"Roma ladrona", "Secessione", "Padania libera", ecco il messaggio della folla dell'amena Pontida, luogo simbolo della gente padana e simulacro del culto del leader unico ed indiscusso, Umberto Bossi. Tra croci celtiche ed elmi vichinghi, tra camicie verdi ed improvvisate "guardie padane", tra cartelli criptici agitati da personaggi pittoreschi e accampamenti di fortuna, il Sole delle Alpi fa da cornice al rodato rituale che ritempra lo spirito della gente el Nord.
Ecco come doveva essere l'incipit di un normale resoconto della giornata appena trascorsa in quel di Bergamo e per quanto ci riguarda non possiamo far altro che confessare un certo fastidio nell'essere invece costretti a cambiare completamente tono e a confrontarci con una realtà che richiede sforzi e considerazioni ulteriori. Già, perchè nonostante le attese della vigilia, quella andata in scena ieri è stata una recita stanca e tuttosommato anacronistica, con protagonisti davvero poco convinti nel recitare la stessa parte ormai da anni ed una platea confusa e stranita, in bilico fra la rabbia per gli ultimi clamorosi scivoloni e la consapevolezza di non avere molta scelta. Del resto, lo stesso Bossi sembra ormai la controfigura di quel leader carismatico e cinico capace di tenere in scacco il Governo (non più tardi di quealche mese fa), pressato dal malcontento della base ma allo stesso tempo incapace di individuare una "exit strategy sostenibile" di fronte al lento ed inesorabile sgretolarsi della fortezza berlusconiana.
Di fronte alle rivendicazioni dei dirigenti, alla preoccupazione degli analisti vicini al Carroccio, alla delusione dell'elettorato e alla rabbia della base dopo il tracollo elettorale di Milano (ma non solo, perchè a pesare sono anche i tonfi di Mantova e Novara, nonchè gli "exploit mancati" di Torino e Bologna), il Senatur ha provato a giocare, senza poi troppa convinzione, la solita carta della "Lega di lotta e di Governo", come se il trasferimento, peraltro estremamente improbabile, di un paio di strutture ministeriali e la generica promessa di tagli alle tasse per artigiani e piccoli imprenditori potessero mettere una pezza alle troppe falle della strategia leghista degli ultimi tempi. Difficile prendere sul serio l'ennesimo "penultimatum", difficile considerare credibile la promessa di tagli alle tasse e contemporaneo aumento dei trasferimenti agli enti locali, difficile utilizzare strumentalmente la carta dello stop alla missione in Libia (votata e sottoscritta dai parlamentari padani), difficile continuare a parlare di "casta romana", "vergogna delle auto blu", in un partito che ormai da 15 anni bivacca stabilmente all'ombra del Colosseo. Un'operazione complicata e destinata con molta probabilità al fallimento e che soprattutto non cancella la sensazione che il Carroccio sia ormai stretto in un "folle abbraccio mortale" con un Pdl che vive uno dei momenti più difficili della sua pur breve storia.
E che i tempi siano cambiati e che vi sia poco spazio per vecchi spartiti, in fondo lo si può intuire anche da alcune piccole crepe nello scenario "ovattato" della Pontida 2011. Innanzitutto il rilievo acquistato dalla presenza e della partecipazione di Roberto "Bobo" Maroni, uno dei più insofferenti a quella che sembra la politica del "simul stabunt simul cadent" di Bossi e Berlusconi, e proprio per questo diventato punto di riferimento per la parte più "radicale" ed al tempo stesso più indipendente della Lega. Con lo stesso Bossi che si è visto quasi costretto a lasciargli il proscenio e con i tanti cartelli e cori inneggianti al "Maroni Presidente del Consiglio Subito", il passaggio di consegne sembra poter essere il naturale sviluppo, nonchè segno evidente della volontà di cambiare passo. Eppure, le cose non sono così semplici, anche in virtù di un insieme di fattori indipendenti dalla (peraltro ancora misteriosa) volontà dello stesso Senatur.
In primis vi è la considerazione sulla scelta di continuare a sostenere il Governo Berlusconi, con i prossimi due anni che si annunciano durissimi, vuoi per la crisi di consenso di Berlusconi, vuoi per la manovra "lacrime e sangue" che l'Europa chiede, anzi pretende, dal Governo: è chiaro che trascinare il Carroccio in una simile palude implica anche una "cruenta resa dei conti nelle alte sfere padane". Ed è proprio questo il vero nodo gordiano in casa leghista, con le rivalità e le gelosie tra gli alti dirigenti del partito che minano non solo un serio rinnovamento culturale e generazionale ma anche la stabilità a livello territoriale. Se Maroni appare in rampa di lancio, allo stesso tempo non sono da sottovalutare le ambizioni dei vari Reguzzoni, Calderoli e della stessa Rosi Mauro che, se i più ricorderanno come la strana protagonista di una delirante seduta del Senato, negli ultimi tempi sembra aver conquistato un discreto seguito tra i lealisti in camicia verde. Per non parlare poi del discorso più strettamente pragmatico della base leghista, ritrovatasi dopo 15 anni di Governo con pochi successi e molti compromessi, costretta ad assecondare il Cavaliere nelle sue crociate contro giudici e comunisti e ad assistere alla "romanizzazione" di parte della classe dirigente, che discute di nomine, partecipa allo spoil sistem e risponde alle richieste dirette agitando chimere e prefigurando immaginifici scenari.
Il tutto secondo un clichè che, oltre a non convincere appieno la base, provoca irritazione anche in alcuni ambienti del centrodestra, come sottolineato dal Sindaco di Roma Gianni Alemanno che, di fronte alle splendide targhe delle nuove sedi brianzole (?) dei Ministeri si è lasciato andare ad una vera e propria sfuriata: "Io non sono più disponibile ad ascoltare questi appelli e a considerarli delle buffonate, delle battute. Non è possibile. Questo comincia a essere troppo oltre i limiti costituzionali". Insomma, tempi bui in casa leghista, e se poi anche Bobo comincia a prendersela coi giudici…