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Pma, la Consulta dice che il consenso dell’uomo non può essere revocato dopo la fecondazione

La Consulta ha stabilito che un uomo non può revocare il suo consenso dopo la fecondazione avvenuta con la procreazione medicalmente assistita. La sentenza riguarda il caso di una coppia che era ricorsa alla pma e si era in seguito separata, prima che l’embrione venisse impiantato nell’utero.
A cura di Annalisa Girardi
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Un uomo non può revocare il suo consenso dopo la fecondazione avvenuta con la procreazione medicalmente assistita. Lo stabilisce la Corte Costituzionale, esprimendosi sul caso di una coppia che era ricorsa alla pma e si era in seguito separata, prima che l'embrione venisse impiantato nell'utero. La donna aveva comunque chiesto di procedere, ma il marito aveva revocato il suo consenso. Ora però la Consulta stabilisce che una volta avvenuta la fecondazione, questo non sia più ritrattabile.

La sentenza numero 161 è stata redatta dal giudice Luca Antonini, che ha giudicato "non fondata la questione sollevata", sottolineando " il grave onere per la donna di mettere a disposizione la propria corporalità, con un importante investimento fisico ed emotivo in funzione della genitorialità che coinvolge rischi, aspettative e sofferenze, e che ha un punto di svolta nel momento in cui si vengono a formare uno o più embrioni". E ancora: "Corpo e mente della donna sono quindi inscindibilmente interessati in questo processo, che culmina nella concreta speranza di generare un figlio, a seguito dell’impianto dell’embrione nel proprio utero. A questo investimento, fisico ed emotivo, che ha determinato il sorgere di una concreta aspettativa di maternità, la donna si è prestata in virtù dell’affidamento in lei determinato dal consenso dell’uomo al comune progetto genitoriale".

La vicenda da cui ha avuto origine il pronunciamento della Consulta risale al 2017. Una coppia aveva acconsentito alla crioconservazione dell’embrione formatosi a seguito della fecondazione in modo da permettere una biopsia embrionale in vista dell'impianto. Che però era dovuto slittare a causa delle condizioni di salute della donna, che aveva dovuto sottoporsi a una terapia che le consentisse di avere tutte le carte in regola per poter proseguire con l'impianto. Nel 2018, però, i due si erano lasciati e nel 2019 erano arrivati a una separazione consensuale. L'anno successivo, nel 2020, la donna aveva chiesto alla struttura di procedere comunque con l'impianto, ma l'uomo dopo aver domandando la dichiarazione giudiziale della cessazione degli effetti civili del matrimonio, aveva formalmente revocato il consenso alla procreazione medicalmente assistita.

La Consulta, però, ha stabilito che "se è pur vero che dopo la fecondazione la disciplina dell’irrevocabilità del consenso si configura come un punto di non ritorno, che può risultare freddamente indifferente al decorso del tempo e alle vicende della coppia, è anche vero che la centralità che lo stesso consenso assume nella pma, comunque garantita dalla legge, fa sì che l’uomo sia in ogni caso consapevole della possibilità di diventare padre". Per queste ragioni i giudici costituzionali hanno stabilito che, considerando sia la tutela "della salute fisica e psichica della madre" che "la dignità dell'embrione", non è irragionevole comprimere la libertà di autodeterminazione dell'uomo.

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