Pizzarotti: “Il 32% non è merito del MoVimento, sono gli altri che hanno sbagliato tutto”
I tempi al fianco di Beppe Grillo, che subito dopo la vittoria alle amministrative del 2012 definì Parma la "Stalingrado del Movimento Cinque Stelle", sono ormai un lontanissimo ricordo. L’ex dissidente Federico Pizzarotti, sindaco ducale riconfermato a furor di popolo l’anno scorso, con una sua lista civica, non ha dubbi: "Il 30% ottenuto alle ultime elezioni non è merito del Movimento, ma sono gli altri ad aver sbagliato tutto".
In che senso?
"Il M5S ha indubbiamente fatto un grande exploit in termini di voti, però, come sempre accade in ogni elezione, il risultato finale è il frutto sia di meriti propri che di demeriti altrui. Dal Pd, che non si accorge di un Renzi più divisivo che inclusivo, a Berlusconi, che dopo vent’anni continua a bloccare ogni velleità di riforma nel centrodestra. E poi c’è Salvini, che sfonda facilmente al Nord ma che per indole non ci riesce al Sud, pur ottenendo risultati migliori rispetto al passato".
Però nonostante una campagna elettorale difficile, tra il caso rimborsi e candidati che lei stesso aveva definito qualche tempo fa "imbarazzanti", ad oggi il M5S è a tutti gli effetti il primo partito in Italia.
"Sì, ma il botto lo hanno fatto Di Maio e Di Battista, non certo quei candidati che avevo definito imbarazzanti e che sono rimasti tali. Se si pensa che i cinque stelle hanno attraversato indenni la vicenda dei rimborsi, si capisce come nel Paese la voglia di cambiamento sia stata più forte di qualsiasi scandalo e questo perché la gente ha preferito provare con loro pur di non votare più quelle persone che hanno stufato praticamente tutti. Inoltre, penso che il movimento abbia migliorato molto la propria capacità comunicativa. In campagna elettorale abbiamo visto un Di Maio sempre elegante, col pannello dietro, al chiuso, in convention e col suo palchetto davanti e un Dibba continuamente in mezzo alle folle, anche sotto la pioggia, a vestire i panni del mattatore: è evidente che c’è stata un’accelerazione dal punto di vista comunicativo, però sfiderei qualunque elettore del M5S a dire cos’altro hanno proposto in campagna elettorale a parte il reddito di cittadinanza. Secondo me non lo sa nessuno".
A proposito di reddito di cittadinanza: secondo lei si tratta di un provvedimento davvero fattibile?
"Non lo so. Di sicuro credo che non si potrà concretizzare con le modalità che hanno annunciato. E questo, ammesso che si arrivi alla nascita di un governo a cinque stelle, creerà un evidente calo di consensi. I tempi con cui potrà diventare possibile una cosa del genere sono incompatibili con le aspettative della gente: probabilmente serviranno almeno tre anni e ciò credo che porterà ad un bel po’ di delusione da parte dei cittadini".
Ma ad oggi chi è che comanda nel M5S?
"Di Maio, non c’è ombra di dubbio".
E Casaleggio?
"Lui penso dia soltanto indicazioni da dietro le quinte, detiene il portale ed ha la comunicazione sotto controllo. La linea politica però la detta Di Maio".
Attualmente il M5S è davanti ad una scelta: con chi dovrebbe allearsi?
"Prima di tutto non credo si possa parlare di alleanze, ma al massimo di appoggio esterno: un’alleanza vera e propria non converrebbe a nessuno, meglio tenersi sempre separati. Detto questo, secondo me non è il movimento a dover decidere, ma tocca agli altri capire se e come appoggiare la nascita di un governo coi cinque stelle. Alla fine credo che comunque a farlo sarà il Pd: forse non se ne sono accorti, ma penso convenga anche a loro prendere questa decisione".
Di Maio ha detto che si optasse per un governo senza il M5S sarebbe un insulto alla democrazia.
"Di sicuro, e lo dico da prima di Di Maio, se si formasse un governo senza di loro il movimento la prossima volta prenderebbe almeno il 60%".
Dall’altra parte c’è invece un Pd che si prepara alla resa di conti in direzione: secondo lei come si dovranno muovere dal Nazareno per il dopo Renzi?
"Non lo so quale possa essere per loro la soluzione migliore. Di sicuro l’opzione Delrio credo sarebbe troppo in continuità con Renzi: dal mio punto di vista, e anche da come si muove normalmente per portare a casa dei risultati, di solito lo fa più per sé che per gli altri, mentre al Pd serve in questo momento una guida più inclusiva. Calenda e Zingaretti non li conosco abbastanza bene, però quello che posso dire è che grazie a quest’ultimo, in Lazio, il Pd è riuscito a vincere anche con l’appoggio di LeU, quindi probabilmente si tratta di una figura che sa unire. Ma al di là del dopo Renzi, credo che alla luce degli ultimi risultati al Partito Democratico serva per prima cosa fare una grossa analisi di coscienza su tutto, dalla struttura alla linea politica".
Lei comunque è sempre stato un po’ accostato al Partito Democratico e spesso Renzi ha persino speso parole d’elogio nei suoi confronti.
"In realtà però non ho mai avuto rapporti con lui, zero. Questa è una versione che piace solo ai giornalisti. La verità è che tutte le volte che ha parlato bene di me, lo faceva solo per dare addosso al Movimento 5 Stelle, non per altro".
Quindi non le dispiace affatto per questa sua uscita di scena sempre più vicina?
"Io credo che il Pd in questa legislatura abbia fatto tante cose, forse più di altri governi. Il problema è che Renzi le ha comunicate male in campagna elettorale e così ha paradossalmente ottenuto un risultato contrario rispetto ad ogni aspettativa. Inoltre, ed è una vita che lo dico, Renzi secondo me ha avuto il merito di aver cambiato il passo del Pd e di averlo fatto con una capacità comunicativa che non è da tutti, ma di contro ha creato divisioni, è risultato antipatico internamente a tanti e poi, dopo il referendum del 4 dicembre, ha commesso l’errore di restare al suo posto anziché cedere il passo. Questa serie di decisioni ne hanno decretato in parte l’insuccesso, anche se la mia non è tanto una critica alla persona, quanto alla sua lungimiranza".
Oltre a Renzi sta ormai fallendo anche il progetto del Partito Democratico?
"Forse non si è mai concretizzato, ex Margherita ed ex Ds sono sempre stati dei separati in casa. Insomma, sono sempre stati un po’ come l’olio e l’aceto: anche se si mettono nello stesso bicchiere è impossibile mischiarli".
Qualche settimana fa, in un’intervista, ha dichiarato che potrebbe diventare l’anti-Renzi. È così?
"Solitamente non escludo mai nulla, però voglio precisare che il riferimento, in questo caso, non era al centrosinistra. L’anti-Renzi era piuttosto riferito al mio impegno con altre coalizioni o con altri movimenti politici. Un po’ quello che stiamo cercando di fare a livello nazionale col nuovo partito dei sindaci".
A proposito, come sta andando? Non è la prima volta che qualcuno cerca di mettere in piedi un progetto del genere.
"Non conosco i presupposti o il perché siano finiti male tutti gli altri tentativi, però mi sento di dire che quello di un partito guidato da amministratori locali è un’esigenza condivisa da tanti. Non è semplice, ma la direzione che abbiamo preso è quella giusta. È chiaro che non ci saranno soltanto amministratori, altrimenti rischia di diventare un partito elitario, ma a differenziarlo da tutti partiti gli altri è il fatto che stiamo puntando su una classe dirigente composta da persone con esperienze di governo. A breve faremo anche un incontro qui in Emilia-Romagna e poi un altro a Roma per cominciare a discutere sia delle regionali del prossimo anno che delle future elezioni politiche".
Quanti siete attualmente?
"Per ora siamo un centinaio di sindaci e circa 400 tra amministratori locali e consiglieri, in carica ed ex, con una rappresentanza su quasi tutto il territorio nazionale. La stragrande maggioranza sono civici con amministrazioni prevalentemente di centrosinistra, ma ce n’è anche qualcuno di centro e di centrodestra. E poi ci sono gli altri ex sindaci del M5S come quelli di Gela, Comacchio e Quarto. La questione centrale, però, è che noi stiamo cercando di parlare di obiettivi concreti più che di destra o di sinistra: queste cose ormai hanno stancato e a ricordarcelo sono tutti i giorni i cittadini che incontriamo per strada".