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Più diritti a rider e lavoratori delle piattaforme digitali: intervista all’eurodeputata francese Chaibi

Una direttiva che si sta discutendo tra le istituzioni dell’Unione europea potrebbe cambiare notevolmente il mercato delle piattaforme digitali. E assicurare ai lavoratori di queste, come i rider, più tutele e diritti. Ne abbiamo parlato con l’eurodeputata francese Leïla Chaibi.
A cura di Annalisa Girardi
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Credits: Facebook - Leila Chaibi
Credits: Facebook – Leila Chaibi

Sono classificati come lavoratori autonomi, ma in realtà hanno un rapporto subordinato con le piattaforme che li impiegano. Le quali, sono avvantaggiate da questa qualificazione scorretta dei lavoratori: de facto sono dei dipendenti, lavorano a tempo pieno e in modo totalmente subalterno, ma non godono di tutti gli stessi diritti e le tutele che spetterebbero. È il caso di migliaia di rider di Uber o Deliveroo, ad esempio, ma non solo. I lavoratori delle piattaforme digitali sono infatti una categoria molto più estesa, dove il comune denominatore è proprio un inquadramento che non gioca a loro favore. Anzi, che mette a repentaglio i loro diritti.

Il Parlamento europeo, però, ha fatto un primo passo per garantire che anche questi lavoratori vengano tutelati. Lo scorso 2 febbraio ha adottato una posizione comune sulla direttiva, aprendo ai negoziati con i governi degli Stati membri. Ne abbiamo parlato con Leïla Chaibi, eurodeputata del gruppo della sinistra al Parlamento europeo.

Al Parlamento europeo avete approvato la vostra posizione ai negoziati sulla direttiva per i lavoratori delle piattaforme digitali. Ce la può spiegare?

Gli autisti che lavorano per Uber, così come i rider di Deliveroo, sono considerati come dei lavoratori autonomi. Queste piattaforme digitali dicono di essere solo un intermediario tra il lavoratore e i clienti. Ma la realtà è diversa. Da un lato le piattaforme esercitano un vero e proprio vincolo di subordinazione sui loro lavoratori: decidono chi deve fare un percorso e chi un altro e stabiliscono quanto devono essere pagati i lavoratori. E dall'altro lato i lavoratori, che sono classificati come autonomi, non hanno accesso a forme di protezione sociale o ai negoziati dei contratti collettivi. Era dunque urgente agire per proteggere questi lavoratori e riconoscere i loro diritti: o si garantisce loro accesso alla protezione sociale e a tutti i diritti a cui hanno accesso i lavoratori dipendenti, se hanno un rapporto subordinato con la piattaforma, o si assicura loro una vera autonomia e flessibilità, se sono dei lavoratori freelance. Questo è quello che chiede la proposta di direttiva del Parlamento europeo.

A tal fine con la nostra proposta si presume di default una relazione di lavoro subordinato. Si suppone cioè che tra la piattaforma digitale e il lavoratore ci sia un rapporto di datore di lavoro e lavoratore dipendente. Se la piattaforma ritiene di lavorare con dei professionisti realmente autonomi, che è in effetti possibile, starà a questa fornirne le prove e ribaltare questo presupposto. La nostra è una proposta ambiziosa e di politica sociale. Sono felice che sta avendo successo, nonostante l'opposizione di gran parte della destra e dei liberali. Se queste prime vittorie sono state possibili, è solo grazie alla mobilitazione dei lavoratori e al duro lavoro fatto per convincere i deputati e tutto lo spettro politico.

Crede che il Consiglio europeo si opporrà alla proposta così come la intende il Parlamento?

La posizione del Consiglio è il tassello mancante perché il puzzle sia completo e i negoziati tra le istituzioni possano giungere in dirittura d'arrivo. Sappiamo che i negoziati in seno al Consiglio sono complicati. Anche in questo caso gli Stati membri si sono divisi in tre gruppi, e questo non ha consentito né alla precedente presidenza ceca né a quella attuale svedese, di ottenere una posizione di maggioranza. La presidenza svedese, così come la Francia, cercano di rendere il presupposto della nostra proposta più complesso. Poi ci sono gli Stati progressisti (sono otto, tra cui ad esempio la Spagna) cercano di restare al meno sulla posizione della Commissione. Altri Paesi ancora, quelli dell'Europa centrale, stanno cercando di rafforzare ulteriormente la proposta della presidenza.

Ora si tratta di fare pressione sul Consiglio, affinché abbracci un orientamento ambizioso, in quanto su quella base avrà il mandato di negoziare con il Parlamento. Aspettiamo con impazienza che la Spagna assuma, a luglio, la presidenza perché è un Paese d'avanguardia nella legislazione europea, con la sua norma sui rider. So che la ministra del Lavoro, Yolanda Diaz, è molto impegnata su questo tema. Speriamo quindi di arrivare a un accordo sulla direttiva finale, che sia ambizioso e che cambi davvero la vita dei lavoratori di queste piattaforme. Sarebbe un buon segnale, da parte dell'Unione europea, in materia sociale. Ci siamo abituati troppo all'austerità e alla concorrenza.

Si stima che in Europa il numero dei lavoratori delle piattaforme digitali possa raddoppiare in qualche anno: quali sono i rischi a cui andiamo incontro se non si interviene per regolamentare queste piattaforme?

Il lavoro attraverso le piattaforme digitali nella sua attuale forma è un cavallo di Troia che, alla fine, potrebbe mettere a rischio l'insieme dei diritti e delle tutele sul lavoro così come lo conosciamo in Ue. Se si legalizzasse la situazione attuale, o si lasciasse che ciò avvenisse, si andrebbe a legittimare un terzo status dei lavoratori: quello dei falsi autonomi, tra i dipendenti e i freelance. Questo è il sogno delle piattaforme, che potrebbero beneficiare dei vantaggi di entrambe le categorie attualmente esistenti. Potrebbero esercitare un rapporto di subordinazione (dando ordini, decidendo la retribuzione, esercitando un controllo anche sulle possibili sanzioni ecc—) senza dover rispettare le prerogative del datore di lavoro (cioè pagare i contributi, i congedi retribuiti, ecc…).

Se questa zona grigia dovesse persistere, perché mai un datore di lavoro dovrebbe disturbarsi ad assumere personale, quando potrebbe ricorrere a questi falsi autonomi? Vorrebbe dire aprire le porte all'impoverimento di tutti i lavoratori, per cui resterebbero solo i lati negativi dei due profili: essere soggetti a vincoli di subordinazione senza alcun diritto. È essenziale che l'Unione europea, seguita da tutti gli Stati membri, legiferi per proteggere i lavoratori e metta fine all'impunità delle piattaforme.

Secondo la proposta spetterebbe alle diverse autorità competenti prendere le misure necessarie per verificare che i lavoratori siano correttamente qualificati. Questo meccanismo chiaramente funzionerebbe in maniera diversa da Paese a Paese, non si rischia di crerare uno squilibrio?

Il testo sul quale lavoriamo è una direttiva europea. Ma questo significa che una volta che sarà adottata, gli Stati membri avranno due anni di tempo per recepirla. Certamente alcuni Paesi potrebbero decidere di non farlo, ma questo li esporrebbe alla procedura di infrazione e ad essere deferiti dalla Corte di Giustizia europea. Chiaramente se altri Paesi vogliono, possono essere anche più ambiziosi e andare oltre la direttiva.

Come si sono espresse le piattaforme digitali in merito alla direttiva? E voi come avete risposto?

Le piattaforme sono contrarie alla direttiva. Hanno esercitato intense pressioni sugli eurodeputati, in particolare sui gruppi di destra e liberali, per convincerli a votare contro la proposta del Parlamento europeo. Spesso usavano anche vere e proprie fake news, ad esempio dicevano che tutti i lavoratori sarebbero diventati di colpo dipendenti o che non appena un lavoratore avesse inviato un'e-mail, sarebbe stato interessato dalla direttiva. Tutto ciò è ovviamente assolutamente falso. La proposta di direttiva che stiamo facendo richiede alle piattaforme digitali solamente di rispettare la legge e di rispettare i propri lavoratori.

Da parte mia, ho risposto con la pedagogia: ho spiegato ai miei colleghi cosa conteneva davvero questa proposta di direttiva e perché tutela sia i lavoratori dipendenti che quelli autonomi. Non dobbiamo poi dimenticare che questa direttiva tutela anche le imprese, contrastando la concorrenza sleale delle piattaforme, che non pagano né contributi previdenziali né tasse. Questi sono argomenti che parlano ai membri della destra, che si impegnano per una concorrenza libera e senza distorsioni. Non vi nascondo che fino al momento del voto ero molto preoccupata, perché il potere di disturbo delle lobby delle piattaforme è immenso. Per fortuna i deputati europei si sono ragionevolmente espressi a favore della proposta.

Durante i negoziati, tenendo anche in conto quanto successo in questi mesi con il Qatargate, crede che si possano essere tentativi di ingerenza?

Come dicevo, le lobby delle piattaforme sono state molto presenti, talvolta in modo aggressivo, durante i negoziati. Ad esempio, hanno organizzato eventi con deputati europei all'interno del Parlamento per cercare di influenzarli. Inoltre, durante uno di questi eventi, avevano invitato tre eurodeputati di Renew Europe e dei Popolari per parlare della direttiva, che parla dei diritti dei lavoratori… ma non un solo lavoratore! Ho quindi fatto entrare nella stanza due operai per far sentire il loro punto di vista, ma quando hanno sono intervenuti i deputati presenti hanno iniziato a protestare e uno ha addirittura detto loro di “stare zitti”!

È scandaloso, siamo eletti dai cittadini, e non dalle lobby. Abbiamo anche visto che, subito dopo il caso degli "Uber files" gli eurodeputati hanno ripreso parola per parola – come pappagalli – la retorica delle piattaforme all'interno della Commissione per il Lavoro e gli Affari sociali. Infine, abbiamo ricevuto e-mail da parlamentari per nulla interessati al tema del lavoro delle piattaforme, che scrivono ancora al team negoziale per fare pressione copiando e incollando le arringhe delle piattaforme. C'è anche uno studio secondo cui le piattaforme li stessero finanziando! Fortunatamente, molti eurodeputati non sono stati influenzati e hanno preferito ascoltare i lavoratori delle piattaforme piuttosto che le lobby.

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