Pillola dei 5 giorni dopo, il Tar del Lazio conferma: minorenni potranno prenderla senza ricetta
Le ragazze minorenni potranno continuare a chiedere la pillola dei cinque giorni dopo in farmacia senza ricetta. A stabilirlo è il Tar del Lazio, che ha ribadito la possibilità di ricevere l’ulipristal acetato, commercializzato come EllaOne: si tratta del farmaco utilizzato per la contraccezione di emergenza fino a cinque giorni dopo il rapporto sessuale. Il Tar ha respinto, il 4 giugno, il ricorso presentato da alcune associazioni contro l’aborto che chiedono di annullare la determina dell’Agenzia italiana del farmaco dell’8 ottobre che aveva autorizzato la vendita della pillola senza obbligo di prescrizione medica anche per i soggetti con meno di 18 anni.
Il farmaco EllaOne può essere venduto alle maggiorenni senza obbligo di prescrizione medica già dal 2015, da ottobre 2020 la stessa possibilità viene estesa anche alle minorenni. I giudici fanno riferimento all’autorizzazione dell’Aifa, secondo cui il farmaco “avrebbe una funzione meramente antiovulatoria”, il che vuol dire che viene impedita la fecondazione, mentre non causa l’aborto di una gravidanza in corso, come hanno sostenuto le associazioni che hanno presentato ricorso. Dal Tar del Lazio arriva anche il respingimento delle accuse relative agli effetti indesiderati e ai possibili effetti tossici sul fegato che sarebbero legati all’uso del farmaco secondo i ricorrenti: per i giudici, invece, sono “asserzioni del tutto generiche” e “mere asserzioni ipotetiche”, non basate su alcun approfondimento scientifico.
Filomena Gallo, segretario dell’associazione Luca Coscioni, Mirella Parachini e Anna Pompili, ginecologhe dell’associazione Luca Coscioni e di AMICA commentano la decisione dei giudici del Tar con soddisfazione: "Il tribunale fa riferimento alla letteratura internazionale, che assume come dato di evidenza il meccanismo d'azione del farmaco e la sua rispondenza ai criteri stabiliti per i farmaci dispensabili senza obbligo di prescrizione, affermando che il ricorso delle associazioni cattoliche era basato solo su opinioni e su un unico studio, peraltro discutibile da un punto di vista metodologico. È auspicabile che le opinioni e le posizioni ideologiche personali, ovviamente legittime, non abbiano diritto di cittadinanza nella pratica medica e nella ricerca scientifica, che hanno come unico fine la salute delle persone”.