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Piegare la curva dei contagi da coronavirus: ora conta solo questo

Il complesso dibattito delle ultime settimane ha prodotto un Dpcm che non incide sulle tre grandi questioni della Fase due (scuola, lavoro, trasporti), ma si limita ad abbattere le occasioni di socialità e a responsabilizzare maggiormente i cittadini. Il problema è che possiamo girarci intorno quanto vogliamo, ma siamo sempre lì: o si piega la curva dei contagi o rischiamo di mandare in tilt le terapie intensive, aumentando notevolmente il numero dei morti. E questa è l’unica grande lezione che avremmo dovuto imparare dalla prima ondata.
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Togliamoci subito il dente: il nuovo Dpcm non sarà affatto risolutivo e molto probabilmente arriveranno altre misure nelle prossime settimane. Il contesto nel quale si inserisce il provvedimento del Presidente del Consiglio è infatti quello della crescita considerevole di tutti gli indicatori della pandemia, cui certo si accompagna una buona tenuta del sistema sanitario nel suo complesso, ma con la consapevolezza che il "vantaggio" di cui l'Italia godeva si sta rapidamente esaurendo.

Guardando all’evoluzione dei contagi nelle scorse settimane e incrociando i dati con i tassi di crescita di ospedalizzati, terapie e decessi, siamo infatti pienamente consapevoli di ciò che accadrà: l’aumento della pressione sul sistema sanitario, il raggiungimento della soglia critica nelle terapie intensive e l’aumento del numero di decessi. Questo decorso è inevitabile, per le dinamiche proprie del virus (ora diffuso sull’intero territorio nazionale) e per l’assenza quasi completa di misure di restrizione della circolazione delle persone; del resto, siamo in piena “fase 2”, quella della convivenza con il virus in attesa del vaccino, in cui è fondamentale tenere sotto controllo non solo gli indicatori legati alla crescita del contagio sul territorio, ma anche quelli su capacità e problematiche del sistema sanitario. Il monitoraggio effettuato durante il periodo estivo era basato proprio sulla compenetrazione di questi due aspetti ed è servito a gestire una fase di pseudo-normalità, in cui il sistema sanitario è riuscito a gestire con una certa efficacia i singoli focolai.

Ora però il quadro è cambiato.

I numeri di queste ultime settimane parlano chiarissimo e dicono molto dello scenario che si prospetta da qui a breve: le curve dei 4 indicatori principali (contagi, ospedalizzati, terapie intensive e decessi) hanno un andamento esponenziale, con “i tempi di raddoppio” che si stanno abbassando pericolosamente (qui un interessante recapito all’11 ottobre). A crescere in misura più rapida sembrano essere proprio i contagi, segnale che può essere interpretato in vario modo (diffusione capillare del virus, ma anche capacità del sistema di rintracciare i contagi in modo efficace), ma che rimanda comunque all’idea di dover fare i conti con numeri sempre più alti, circa ospedalizzati e terapie intensive in particolare. Sappiamo per esperienza cosa significa andamento esponenziale di una epidemia. E, sempre per esperienza, dovremmo sapere che per quanti sforzi facciamo non saremo mai in grado di mettere il sistema sanitario nelle condizioni di sostenere un aumento esponenziale dei contagi. Se ci riferissimo al trend degli ultimi giorni, dovremmo attenderci ad esempio che fra sole tre settimane i casi siano circa 40mila al giorno, i morti 200 con terapie intensive sature nella stragrande maggioranza delle regioni (qui un riferimento più preciso). Possiamo (anzi dobbiamo) aumentare i posti letto, raddoppiare o triplicare le terapie intensive, trovare nuovi protocolli di cura e gestione dei malati, ma lottare contro un'esponenziale non è fra le opzioni da considerare.

Dunque, pochi fronzoli: o si piega la curva o rischiamo di mandare in tilt le terapie intensive, con un conseguente aumento del numero di morti e collasso del sistema sanitario.

Ora, più che di curvarla, il Governo parla da tempo della necessità di “tenerla sotto controllo” e Conte ha ribadito anche ai nostri microfoni di ritenere sufficienti e proporzionate le misure adottate finora, sulla scia dei pareri del Comitato Tecnico Scientifico e sull'esempio di quanto fatto da altri Stati europei colpiti in anticipo dalla seconda ondata. Il nuovo Dpcm si concentra sulle occasioni di socialità, più che su questioni essenziali come lavoro, scuola e trasporti. La tesi di fondo è che sia possibile controllare la curva dei contagi abbattendo la circolazione e gli incontri delle persone negli orari "extra-lavorativi" (la cosiddetta movida, le feste, le cerimonie, gli incontri intrafamiliari e i momenti di socialità in generale), senza intaccare il resto delle attività (lavoro, scuola, ristoranti, bar, attività sportive). La ragione principale risiederebbe nella possibilità di regolamentare e controllare i comportamenti delle persone, tramite protocolli per il contenimento della diffusione del virus (ad esempio sul luogo di lavoro, oppure al ristorante). Più in generale, poi, si stima un effetto positivo dall'utilizzo delle mascherine anche all'aperto (qui un interessante pezzo sul tema), che potrebbe accompagnarsi a una maggiore responsabilizzazione dei cittadini rispetto alle pratiche di prevenzione e di contenimento della diffusione dei contagi. Niente chiusura scuole, uffici o riduzione della capienza sui mezzi di trasporto, insomma.

Funzionerà? Difficile, molto difficile. A sostenerlo non sono solo virologi ed esperti, ma anche lo stesso Istituto Superiore di Sanità, che ha elaborato uno studio piuttosto esaustivo sulla possibile evoluzione nei mesi autunnali e invernali. Il primo scenario, quello della “situazione di trasmissione localizzata (focolai) sostanzialmente invariata rispetto al periodo luglio-agosto 2020, con Rt regionali sopra soglia per periodi limitati (inferiore a 1 mese) e bassa incidenza”, secondo alcuni analisti, è già sostanzialmente saltato, almeno per le Regioni più popolose. Gli scenari 2 e 3 sono quelli che stimano Rt regionali sistematicamente e significativamente compresi fra 1 e 1,5 e contemplano la possibilità di limitare solo modestamente il potenziale di trasmissione di SARS-CoV-2 con misure di contenimento/mitigazione ordinarie e straordinarie: in queste situazioni, potremmo non essere in grado di tenere traccia di tutti i focolai, inclusi quelli scolastici, portando a un sovraccarico dei servizi assistenziali nell’arco di 2 – 4 mesi. Lo scenario numero 4 è il peggiore, riferendosi a una situazione di trasmissibilità non controllata con criticità nella tenuta del sistema sanitario nel breve periodo, con valori di Rt regionali sistematicamente e significativamente maggiori di 1,5: un decorso di questo tipo “potrebbe portare rapidamente a una numerosità di casi elevata e chiari segnali di sovraccarico dei servizi assistenziali, senza la possibilità di tracciare l’origine dei nuovi casi”, con il sovraccarico dei servizi assistenziali entro 1-1,5 mesi.

È importante sottolineare come in tutte le configurazioni possibili sia previsto l’aumento della pressione sui servizi assistenziali, che si traduce in ricoveri, terapie intensive, decessi. In tal senso, oltre al rafforzamento della preparazione dei servizi sanitari regionali (incluso l’ampliamento della capacità di testing e tracking, il vero tasto dolente di questi mesi), oltre alla messa in campo di un piano per la gestione clinica dei pazienti e degli isolamenti (sulla scorta di quanto appreso dalla prima ondata), l’ISS ritiene necessario ipotizzare “misure sulla base degli scenari di trasmissione ipotizzati a livello nazionale nella consapevolezza che in ciascuna Regione/PA si possano verificare condizioni epidemiologiche molto diverse tali da prevedere misure di controllo/mitigazione specifiche e non uniformi sul territorio nazionale”. Tradotto: ulteriori misure selettive e scalabili per mitigare il contagio saranno necessarie con ogni probabilità. E ciò che ancora non vediamo adesso (massicci contagi a scuola, cluster nelle case di riposo), non è detto che non si manifesti a breve.

Quali misure adottare per piegare la curva dei contagi

Lo ripetiamo: non c'è una sola possibilità di condurre una vita normale (almeno per come la conosciamo) da qui all'arrivo del vaccino e alla sua diffusione su scala globale. Anche l'approccio più ottimista, insomma, contempla sacrifici, rischi e la necessità di non abbassare la guardia. Ciò non significa affatto chiudersi dentro, rinunciare a diritti costituzionalmente garantiti o arrendersi all'idea di dover sacrificare tutto con scelte sproporzionate o poco equilibrate. Anche perché, paradossalmente, imposizioni abnormi e palesemente ingiustificate potrebbero essere recepite in modo contrario dalla popolazione, determinando un ulteriore peggioramento del quadro generale. Servono consapevolezza e lucidità.

L'ISS, come detto, fa un'analisi di scenario molto accurata. Nello scenario 1, quello con rischio basso o moderato, continueremmo ad applicare interventi ordinari (isolamento, quarantena, utilizzo dispositivi di protezione individuale, distanziamento fisico, igiene individuale/ambientale), con la possibilità di intervenire in modo più duro sul livello sub-regionale per stroncare focolai anche di media entità.

Le cose cambiano già con lo scenario 2, quello con Rt regionali prevalentemente e significativamente compresi tra Rt=1 e Rt=1,25. In situazioni di questo tipo, oltre agli interventi ordinari, potrebbero rendersi necessarie azioni più incisive come:

Distanziamento fisico: es. chiusura locali notturni, bar, ristoranti (inizialmente potenzialmente solo in orari specifici – es. la sera/notte in modo da evitare la “movida”) • Chiusura scuole/università (incrementale: classe, plesso, su base geografica in base alla situazione epidemiologica) • Limitazioni della mobilità (da/per zone ad alta trasmissione ed eventuale ripristino del lavoro agile in aree specifiche. • Restrizioni locali temporanee su scala sub-provinciale (zone rosse) per almeno 3 settimane con monitoraggio attento nella fase di riapertura. In caso non si mantenga una incidenza relativamente bassa ed Rt <1,2 nel valore medio per almeno 3 settimane dopo la riapertura valutare la necessità di ripristino con eventuale estensione geografica.

È ciò che chiedono alcuni governatori di Regione e che solo in parte è stato contemplato dal governo centrale. Se poi le condizioni dovessero essere peggiori, ovvero con Rt regionali prevalentemente e significativamente compresi tra Rt=1,25 e Rt=1,5, gli interventi straordinari dovrebbero tradursi in restrizioni ancora più rigide per scuole e trasporti, nonché nella possibilità di prevedere il ripristino “su vasta scala del lavoro agile e di limitazione della mobilità individuale”.

Lo scenario 4, come detto, è il peggiore e prevede che molte Regioni/PA siano classificate a rischio alto e, vista la velocità di diffusione e l’interconnessione tra le varie Regioni/PA, è improbabile che vi siano situazioni di rischio inferiore al moderato. L’ISS spiega come in tale caso si renderebbero necessarie “misure di contenimento molto aggressive”, che dovrebbero contemplare limitazioni alla mobilità individuale e “una forma di restrizione più estesa su scala Provinciale o Regionale in base alla situazione epidemiologica”. Tradotto: niente lockdown generali, ma limitati a province e Regioni, con limitazioni e vincoli su scala nazionale, anche per un periodo prolungato di tempo.

Insomma, non c'è da scegliere da che parte stare, se essere catastrofisti, allarmisti, faciloni o riduzionisti. Bisogna avere la consapevolezza che ci vorrà tempo e che, nel frattempo, ci sarà da soffrire e lottare. Per il bene collettivo. 

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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