video suggerito
video suggerito

Piccolotti (Avs): “Basta difendere gli interessi delle università telematiche. Meloni regolamenti il settore”

Il settore delle università telematiche è cresciuto enormemente. Nonostante necessiti di essere regolamentato quanto prima, il governo Meloni non pare interessato. In un’intervista a Fanpage.it, la deputata di Avs, Elisabetta Piccolotti illustra gli obiettivi della sua pdl: “Eliminare lo scopo di lucro, impedire la concorrenza sleale e riportare l’istruzione al centro”.
A cura di Giulia Casula
1 CONDIVISIONI
Immagine

Negli ultimi anni il numero degli iscritti alle università telematiche, che erogano corsi in modalità a distanza, è aumentato enormemente.

Dal 2011 ad oggi si è registrato un incremento di circa il 300% e in tutto si contano oltre 250mila studenti, che rappresentano l'11,5% sul totale degli iscritti presenti negli atenei italiani (pubblici e privati). Lo sviluppo così rapido di questo settore ha innescato un vivace dibattito sulla necessità di stabilire regole e di fissare dei limiti all'azione delle università telematiche.  "Siamo di fronte ad una realtà imponente che sta dimostrando una capacità di crescita particolarmente veloce e che però non è stata mai regolamentata dal punto di vista normativo", dice a Fanpage.it Elisabetta Piccolotti, deputata di Alleanza Verdi-Sinistra.

Contrariamente a quanto si possa pensare a frequentare questi corsi non sono solo persone adulte, impegnate nel difficile tentativo di far conciliare studio e lavoro, ma anche moltissimi giovani. "Il 50% degli iscritti attualmente sono under 30, quindi questo vuol dire che ci sono anche le nuove generazioni tra coloro che si rivolgono alle università telematiche. Tanto che attualmente nelle università tradizionali c'è un rapporto docenti-studenti di 1 a 30, mentre nelle università telematiche il rapporto è 1 a 384", spiega Piccolotti.

Al di là del grande appeal esercitato tra chi desidera conseguire un titolo di laurea, finora il mondo delle università telematiche ha mostrato di avere diverse carenze sul piano della qualità dell'insegnamento e dei sistemi di valutazione che hanno finito per avere ricadute sull'offerta formativa di questi atenei. "I sindacati dei docenti segnalano che in molti casi le università tendono a ingabbiare il lavoro degli insegnanti dentro format prestabiliti che arrivano fino al punto di mettere a rischio la libertà di insegnamento. Ci sono università che prescrivono una tipologia di carico in termini di libri e di pagine, che obbligano gli insegnanti a fare gli esami solamente attraverso dei quiz a crocette, che indicano addirittura il numero massimo di domande che possono essere presenti nel test", racconta la deputata.

Insomma le università telematiche non sembrano godere di un'ottima reputazione nello scenario degli atenei italiani. "Sono tutti elementi che vanno a detrimento di un principio che invece nel nostro sistema di istruzione non è mai stato violato che è quello della libertà di insegnamento. Ci sono anche problemi inerenti alla legalità degli esami perché le modalità con cui spesso vengono erogati i momenti di verifica degli apprendimenti sono di sostanziale facilitazione. Non siamo più dentro il campo di una didattica flessibile, adattativa al bisogno degli studenti, ma proprio dentro un meccanismo per cui gli esami vengono erogati in una maniera che tende a facilitare il loro superamento", prosegue la parlamentare.

Non si tratta, naturalmente, di un fenomeno ascrivibile alla totalità degli atenei telematici italiani (11 in tutto), ma alcuni casi sono stati accertati dalle autorità giudiziarie. "Ci sono anche delle inchieste della Guardia di Finanza e della Procura. È evidente che questo meccanismo quando si espande a numeri così alti rischia di mettere in discussione la validità legale del titolo di studio e quindi entriamo dentro un campo che può nuocere a tutti gli studenti laureati, sia alle università tradizionali che a quelle telematiche", avverte Piccolotti.

Da qui la decisione di lavorare a una proposta di legge, firmata tra gli altri anche da Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, in cui si propone di escludere il fine di lucro per le università telematiche. "Questa previsione è stata possibile in virtù di una sentenza del Consiglio di Stato e quindi non di una norma votata dal Parlamento", spiega la parlamentare in Commissione cultura alla Camera. "Nella sentenza si evidenziavano una serie di problematicità perché se la finalità dell'ente di istruzione è il lucro e non l'istruzione stessa naturalmente possono esserci dei meccanismi che piegano le esigenze della didattica alle esigenze del marketing e del mercato. In effetti, noi siamo convinti che questo avvenga già", dice.

Poi c'è il problema dei criteri di accreditamento. "Alle università telematiche viene consentito di avere una qualità più bassa, nel senso che ci sono criteri diversi in particolare sul punto più discusso del rapporto insegnanti-studenti", dice.  "Si tenga conto che la ministra Messa (Maria Cristina ndr.) nel 2021 era intervenuta con un decreto per chiedere un progressivo adeguamento di questi criteri. I primi controlli dovevano scattare nel 2024 e le università telematica avrebbero dovuto fare investimenti ingenti per innalzare il numero di insegnanti. Poi c'è stato un emendamento di alcuni parlamentari della destra nella scorsa finanziaria che è stato bocciato ma che voleva di fatto prorogare il regime attuale, quindi permettere all'università di continuare a lavorare con questo rapporto docente-insegnanti molto alto. A seguito di questa bocciatura, la ministra Bernini ha aperto un tavolo presso un Ministero per rivedere le norme e i criteri di accreditamento, di fatto producendo una proroga senza che il tavolo sia ancora giunto a delle conclusioni di alcun tipo", prosegue.

Al momento dunque, le università telematiche beneficerebbero di una sorta di situazione di limbo in cui "continuano a  fare come  hanno sempre fatto", insiste. "Per questo nella nostra proposta c'è anche la previsione di parificare i criteri di accreditamento e di valutazione delle telematiche a quello dell'università tradizionale".

Da parte sua il governo Meloni non sembra particolarmente interessato a fissare dei paletti, ma anzi pare, a tratti, strizzargli l'occhio. "Registriamo una cambio di approccio e di orientamento rispetto ai precedenti governi, che hanno tentato di regolamentare, mentre quest'esecutivo ha fermato l'entrata in vigore di quelle di quelle norme. A questo si aggiunga la nascita di un intergruppo con numerosi parlamentari della Lega a difesa degli interessi delle università telematiche", dice Piccolotti.

Secondo la deputata nella maggioranza "si utilizza l'argomento retorico dell'accesso più facilitato per chi lavora per gli studenti che non hanno risorse economiche, ma a la soluzione per chi lavora e per chi ha a basso reddito  rispetto ai percorsi di studio non è l'università telematica, ma è il diritto allo studio e la possibilità che le università pubbliche possano fare didattica da remoto e on-line", dice.

A testimoniare la crescente interconnessione tra il mondo delle telematiche e la politica è anche il recente ingresso di Stefano Bandecchi, coordinatore di Alternativa popolare e fondatore dell'Università degli Studi Niccolò Cusano, tra le fila del centrodestra. "Lui è uno degli esponenti più visibili che testimoniano il passaggio dal mondo delle telematiche al mondo della politica. Ma c'erano stati anche contatti prima, scandali come quelli che hanno riguardato la ministra Trenta. Ci sono molti politici nei consigli amministrazione di queste di queste università e dei comitati", replica la parlamentare.

"Siamo dentro un mondo in cui i contatti tra la politica e l'impresa – perché in questo caso di impresa si tratta sono evidenti – palesi. Non ci sfugge che essendo un mercato molto ampio, e in continua espansione ci siano anche degli interessi economici", sottolinea. Come ricorda anche la parlamentare, il fatturato delle università telematiche l'anno scorso in Italia è stato  di circa 144 milioni di euro. "Molti di questi milioni di euro sono anche soggetti ad agevolazioni fiscali, perché appunto si tratta di attività di istruzione e formazione", dice.

Enormi profitti a cui talvolta hanno fatto da contraltare anche numerosi scandali. "La E-Campus dal 2021 è sotto inchiesta per bancarotta ed evasione. La Link University, che è un modello ibrido, è sotto inchiesta per frode fiscale per gli esami facilitati, per progetti di ricerca falsi simulati per ottenere 24 milioni di euro di crediti di imposta fittizi", elenca Piccolotti. "E poi ancora c'è il caso di Bandecchi, accusato di aver utilizzato impropriamente le agevolazioni fiscali e che ha visto anche il sequestro di 20 milioni di euro, perché appunto con le risorse dell'università si acquistavano automobili di lusso, elicotteri e altre società", ribadisce.

Pare chiaro dunque, che il mercato delle telematiche necessita di un intervento regolatore. "Chiediamo a Meloni di regolamentare questo settore, di far tornare al centro le finalità di istruzione e quindi eliminare lo scopo di lucro e di impedire che le università telematiche facciano concorrenza sleale a quelle tradizionali, parificando i criteri di accreditamento. È il momento di farlo prima che questo mercato si espanda in maniera incontrollata e anche prima che si metta in discussione il valore legale del titolo di studio perché questa è la direzione in cui si sta andando", conclude.

1 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views