Nel momento in cui si moltiplicano gli "attacchi concentrici al Movimento 5 Stelle", Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, con il supporto dei fedelissimi in Parlamento, hanno scelto quella che sembra una linea tutto sommato coerente, serrando le fila e procedendo ad una ulteriore scrematura del fronte del dissenso interno. Senza voler fare alcuna valutazione di merito (tanto si è scritto, anche a sproposito, sulla presunta diaspora dei 5 Stelle e su un ancor più presunto calo di consensi, come se da questo punto di vista le vicende Tavolazzi, Favia, Gambaro eccetera non avessero ancora insegnato nulla) resta la sensazione di un ricompattamento di segno integralista di un gruppo che si avvia ad attraversare il periodo più complesso della sua storia. Complessità che parte da una serie di motivazioni sostanziali, non sempre direttamente legate alla gestione interna del Movimento.
Le Elezioni Europee, la crociata di Grillo – "Daremo il sangue per le europee, le vinceremo": è questo il mantra grillino in vista dell'appuntamento elettorale e di una campagna che si annuncia infuocata. In estrema sintesi diremo che si tratta di un appuntamento cruciale, anche in considerazione delle dinamiche "strane" delle Europee per quanto attiene alla distribuzione del consenso. L'obiettivo è gravitare intorno al 30%, cifra non distante da quella raccolta a febbraio, nella consapevolezza che questa volta le cose andrebbero diversamente. Se il M5S diventasse il primo partito (ovviamente non ci saranno coalizioni, con l'eccezione della lista Tsipras che comunque dovrebbe attestarsi sotto le due cifre) sarebbe nella condizione di rilanciare le proprie battaglie parlamentari sulla "legittimazione" di Governo e partiti, con un effetto domino sui media e sui social network. Ma c'è di più, dal momento che una vittoria elettorale consentirebbe a Grillo di rilanciare l'attività sul territorio e l'ampliamento della base di consenso, dopo la gestione discutibile e i risultati deludenti di amministrative e regionali. Infine, si tratterebbe di battezzare l'esordio di Renzi al semestre europeo di presidenza Ue, con tutto ciò che comporta dal punto di vista del ritorno mediatico. Le polemiche sulla collocazione europea della pattuglia grillina per il momento preoccupano Grillo allo stesso modo di quanto gli interessi del menù del ristorante del Parlamento Europeo.
Per vincere le Europee però Grillo non ha bisogno degli Orellana, Campanella o di parlamentari rispettati e competenti, che magari svolgono funzioni essenziali dal punto di vista della pratica parlamentare (o meglio, non nello specifico, visto che servono e nel Movimento ve ne sono tanti). Grillo ha bisogno di catalizzare la rabbia, la frustrazione, l'impazienza e la sfiducia dei cittadini, raccogliendo consensi dal bacino degli indecisi grazie alle armi della coerenza e della contestazione radicale. E soprattutto tornando a cavalcare il vento dello "spontaneismo", o per dirla con Gotor, "dell'atto dimostrativo, dello sfogo, della reazione imprevedibile che si caratterizzano come prove di apprezzabile e legittima autenticità dal momento che il valore della sincerità ha preso il posto tradizionalmente occupato dalla verità".
L'idea di base è che la radicalizzazione dello scontro imponga l'esasperazione del muro contro muro, dell'alterità tanto formale quanto sostanziale. Non basta cioè più la scelta di merito sulle proposte, ma serve anche il rifiuto delle modalità di comunicazione / collaborazione della politica tradizionale. Prima si aveva quasi il dovere di ascoltare le proposte e valutare nel merito, ora si è nella fase successiva, con la delegittimazione dell'interlocutore ed il deprezzamento del confronto ad inciucio, ad accordicchio. Intendiamoci, non si asserisce che i parlamentari grillini si oppongano "a prescindere", quanto piuttosto che, dopo un anno di presenza nelle sedi istituzionali, si sia approfondito il distacco fra l'ala intransigente del Movimento e "la politica tradizionale". Per una precisa volontà politica, si badi bene. E non è un caso che all'interno del gruppo parlamentare si siano acuite le distanze fra i fedelissimi del duo Grillo e Casaleggio, guidati dalla zoccolo duro dei deputati mediaticamente sovraesposti come Roberto Fico, Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e Roberta Lombardi, e i cosiddetti dissidenti, in larga parte senatori.
Che poi la resa dei conti sia arrivata in seguito ad un capriccio di Grillo (che non ha digerito le critiche al suo paradossale approccio all'incontro con Renzi) è tutto sommato secondario. Certo, rivela molto di come vengano prese le decisioni interne al Movimento (il voto degli iscritti in questi casi è ai limiti del grottesco) e conferma il dogma dell'infallibilità del giudizio di Grillo (ovviamente fatta salva la vicenda della consultazioni, sulla quale però ci sia concessa la sospensione del giudizio, dal momento che l'idea di un confronto diretto fra Grillo e Renzi aveva evidentemente un fascino maggiore dell'ortodossia oltranzista). Ma da un punto di vista strettamente politico non testimonia necessariamente una debolezza del Movimento, né men che mai un suo indebolimento in termini di consenso. È un aiutino a Renzi, su questo c'è poco da discutere. Ma è anche la testimonianza di una ulteriore chiusura a riccio del Movimento, finalizzata ad una serie di obiettivi specifici: le Europee, l'opposizione senza se e senza ma al "terzo Governo non votato dagli italiani", l'occupazione solitaria della sponda dell'alternativa, l'esasperazione della marginalizzazione del gruppo parlamentare volta a marcare una diversità, lo ripetiamo, formale e sostanziale assieme. Quanto questa strategia pagherà lo vedremo fra qualche mese, ma quello che è certo è che nell'universo a 5 Stelle non c'è più spazio per il grigio: è tutto bianco o nero.