Perché Trump ha sospeso i dazi: l’economista spiega il bluff del presidente e cosa l’ha spaventato

Senza preavviso, Donald Trump ha deciso di sospendere i dazi che aveva annunciato pochi giorni prima nei confronti di buona parte del mondo, sostituendoli con una tariffa al 10%. Mentre la situazione continua a evolversi di ora in ora, Fanpage.it ha contattato Fabio Sabatini, professore ordinario di Economia politica all'Università Sapienza di Roma. Sabatini ha spiegato perché, con tutta probabilità, dietro la decisione di Trump di ritirare il suo bluff c'è stata la paura dei mercati finanziari: il rischio era che gli Stati Uniti andassero incontro a conseguenze drastiche sia nell'immediato che nel lungo periodo.
Professore, possono esserci state tensioni interne – pressioni del segretario al Tesoro Bessent, o degli imprenditori che sostengono Trump, tra cui Elon Musk – dietro la scelta di sospendere i dazi?
Naturalmente non posso sapere cosa abbia pensato Trump, ma è chiaro che in questo modo l'amministrazione non poteva andare avanti. I dazi generali nei confronti di tutto il resto del mondo non erano sostenibili per gli Stati Uniti. Gli altri Paesi chiaramente hanno molto da perdere dalla guerra commerciale e dai dazi specifici, ma tutti sanno che i danni per l'economia americana sarebbero ancora più gravi.
Sono gli Stati Uniti ad aver intentato una guerra contro il resto del mondo, e il costo sarebbe veramente troppo elevato, anche per Trump che in questo momento tutto sommato si disinteressa della propria popolarità. Dazi di quel tipo vogliono dire inflazione e disoccupazione. Insomma, almeno per i governi era abbastanza chiaro che ci si trovava davanti a un bluff. Non poteva andare avanti troppo a lungo. Probabilmente si riproporrà, magari anche all'improvviso. Ma la sostanza resta questa.
Trump ha detto di aver solo "guardato" i mercati prima di decidere la sospensione. Anche se non l'ha ammesso, ma il crollo delle azioni e dei titoli di Stato statunitensi è stato determinante?
Diciamo che c'è stato un vero e proprio panico finanziario, che ha determinato la retromarcia del presidente degli Stati Uniti. Il punto è che l'amministrazione Usa ha cominciato a ventilare la possibilità di sanzioni di altro tipo, come le sanzioni finanziarie. Queste hanno spaventato davvero gli operatori.
Perché?
Se si passa dai dazi a sanzioni di tipo diverso, come per esempio il congelamento degli asset, gli operatori finanziari hanno molto da perderci. Questa è la ragione per cui abbiamo assistito a una vendita in massa dei titoli di Stato americani. E la vendita in massa dei titoli provoca un rialzo dei rendimenti. Mercoledì c'è stato un momento in cui bond trentennali americani venivano valutati più rischiosi di quelli greci.
Dunque i titoli di Stato degli Usa sono diventati molto più rischiosi perché si temevano altre misure da parte di Trump. Perciò sono aumentati i rendimenti, cioè gli ‘interessi' che il governo degli Stati Uniti avrebbe dovuto pagare a chi li comprava. Secondo lei questo è il meccanismo che ha convinto il presidente a fare un passo indietro. Perché? Che cosa temeva?
Con rendimenti così alti sarebbero potute succedere due cose, una di breve e una di lungo periodo.
Partiamo dalla prima.
La conseguenza di breve periodo è che sarebbe diventato più difficile per gli Stati Uniti finanziare la propria spesa in deficit. I titoli diventano meno appetibili, per venderli sul mercato c'è bisogno di rendimenti più alti.
E dato che tutti i Paesi per finanziare la loro spesa pubblica hanno bisogno dei soldi ‘presi in prestito' vendendo i titoli di Stato, questo sarebbe diventato molto più costoso per gli Usa?
Sì, e questa sarebbe stata una prima sconfitta per Trump, che aveva detto che con i con i dazi sarebbero entrati fiumi di soldi a spese del resto del mondo per finanziare la spesa pubblica americana. È vero l'esatto contrario.
Per di più, se il rendimento dei titoli sale influenza anche i tassi di interesse. In una situazione del genere è molto difficile che la Banca centrale voglia diminuire i tassi, come invece Trump chiede continuamente. E questo è un altro danno per le imprese americane, oltre all'incertezza e ai danni dei dazi.
Quindi: più difficoltà a ottenere soldi per la spesa pubblica, tassi d'interesse più alti e quindi difficoltà per le aziende. E questa sarebbe stata solo la conseguenza più immediata. Quella di lungo periodo?
Sarebbe stata molto più grave. Se gli investitori si ritirano dai titoli di Stato americani, c'è un eccesso di risparmio nel mondo che gli investitori non sanno dove spendere. Questa sarebbe una grande occasione per l'Europa e non solo. Ma gli Stati Uniti avrebbero rischiato un disastro. C'è un processo che è già nell'aria, anche se tra mille incertezze, cioè una riduzione dell'importanza del dollaro a livello mondiale.
Se gli investitori internazionali si ‘ritirassero' dagli asset americani, ci sarebbe bisogno di molti meno dollari. Quindi questa potrebbe perdere il suo ruolo di valuta di riferimento, e invece ad esempio l'euro potrebbe diventare più importante.
E nel concreto cosa significherebbe?
Nel lungo periodo, chiaramente non dall'oggi al domani, il dollaro potrebbe non essere più la valuta di riserva globale. Ci sono Paesi in cui già si parla di sostituirlo. Significherebbe una perdita di rilevanza politica ed economica enorme nel mondo. Per quanto Trump si disinteressi di tutto e di tutti, questa sarebbe una prospettiva spaventosa. È una paura che probabilmente aleggia sull'amministrazione Usa (sempre nella misura in cui l'amministrazione si cura di queste cose). Unita a quelle di breve periodo, evidentemente gli ha fatto fare un'inversione a U.
Non crede alla versione di Trump, secondo cui ha sospeso i dazi perché decine di Paesi gli avevano già chiesto di trattare?
Penso che non siano stati gli altri a implorare Trump. Per quanto se ne sa, quasi nessuno è andato da lui o lo ha chiamato. È stato il contrario: è stato lui a cedere, di fronte a questo grosso rialzo dei rendimenti dei titoli americani, che ha dato un segnale molto chiaro.
L'Unione europea aveva varato dei controdazi che sarebbero partiti la prossima settimana, ma li ha sospesi. Come dovrebbe muoversi adesso?
Innanzitutto una premessa è necessaria: nessuno ci crede più. Questi continui cambiamenti di rotta hanno minato radicalmente la credibilità dell'amministrazione americana. Domani potrebbero tornare i dazi nella stessa misura in cui c'erano ieri.
Detto questo, penso che nessun economista sostenga l'utilità dei dazi, anche quando rispondano a delle logiche di rappresaglia. I controdazi hanno delle conseguenze molto pesanti per l'economia interna di chi li istituisce. La mia sensazione è che la miglior reazione si potrebbe concretizzare puntando sull'apertura delle frontiere: intensificando il libero scambio, innanzitutto all'interno dell'Europa, e poi con altre aree. Cina, Giappone e Corea del Sud hanno stanno sviluppando un accordo di libero scambio storico, e la stessa cosa dovrebbe fare l'Europa.
Il contrario dei dazi, quindi: spingere per scambi liberi e senza tariffe, lasciando fuori gli Usa e i loro dazi.
Sì, e contemporaneamente l'Europa dovrebbe stare attenta a non assecondare uno degli obiettivi di Trump. Lui dice continuamente che vuole riportare le manifatture americane negli Stati Uniti e anche attrarre manifatture straniere. Per esempio, Lavazza ha detto che era intenzionata a trasferire gli impianti negli Usa per non subire gli effetti dei dazi. Quelle iniziative di delocalizzazione andrebbero tassate.
In più, tornando al discorso dei titoli di Stato, bisognerebbe approfittare dell'incertezza sui bond americani e provare a finanziare la spesa europea con degli appositi titoli europei. Si renderebbe anche più facile finanziare il distacco strategico dell'Europa dagli Stati Uniti, anche ad esempio sulle spese per la difesa. È qualcosa su cui l'Ue dovrebbe ragionare rapidamente. Un ultimo punto: il ricongiungimento con il Regno Unito. Questo è il momento per tornare indietro sulla Brexit, sempre nell'ottica del libero scambio.
C'è un aspetto di cui si è parlato molto: Trump è stato accusato di aggiotaggio, insider trading, insomma di aver in qualche modo manipolato i mercati consapevolmente per far guadagnare se stesso e le persone vicino a lui. È così?
Anche in questo caso non sappiamo quali fossero le sue intenzioni e se ci siano state comunicazioni private ad alcuni prima dell'annuncio. Il dato di fatto è che c'è stata un'impennata negli acquisti dei bond americani pochi minuti prima dell'annuncio della sospensione dei dazi. Questo fa pensare che l'informazione sia trapelata a degli investitori in anticipo. C'è anche una spiegazione più ‘benevola': poche ore prima Trump aveva scritto sul suo social di fiducia che era "il momento di comprare"; questo, insieme alla consapevolezza che i dazi non erano sostenibili, potrebbe aver spinto alcuni operatori a comprare. Certo, il fatto che il picco sia arrivato davvero pochissimi minuti prima dell'annuncio alimenta sospetti meno benevoli.