Questa mattina la Francia ha arrestato, su richiesta dell'Italia 7 ex brigatisti e militanti dell'estrema sinistra da tempo rifugiati Oltralpe. Si tratta di Enzo Calvitti, Giovanni Alimonti, Roberta Cappelli, Marina Petrella e Sergio Tornaghi, tutti delle Brigate Rosse, Giorgio Pietrostefani di Lotta Continua e di Narciso Manenti dei Nuclei Armati per il contropotere territoriale. A loro vanno aggiunti i nomi dei tre brigatisti Luigi Bergamin, Maurizio Di Marzio e Raffaele Ventura. La notizia è stata resa nota questa mattina dell'Eliseo, e rappresenta forse la definitiva archiviazione della cosiddetta Dottrina Mitterand, che ha permesso a partire dagli anni '80 a molti militanti delle formazioni armate e non solo italiane di riparare in Francia.
La ragione di questa politica inaugurata dall'ex presidente socialista François Mitterrand non era certo la consonanza con le idee di chi trovava un rifugio in Francia, ma la constatazione che la guerra al terrorismo in Italia non garantiva un equo e giusto processo con gli strumenti della legislazione d'emergenza. Posizioni e un dibattito che suonano oggi desueti all'opinione pubblica italiana e francese, ma che ebbero una loro forza e ragione d'essere. Ogni ministro dell'Interno e della Giustizia delle ultime legislature in Italia si è battuto per potersi intestare l'estradizione degli ultimi fuggiaschi della storia delle formazioni armate italiane, chiedendo alle istituzioni francesi di fare la loro parte con risultati altalenanti fino a questo mattina. La stampa si è mobilitata per riavere indietro i condannati in contumacia da sbattere in cella. Eppure anche se è cambiato il clima politico non sembrano essere venute meno le ragioni che giustificarono la dottrina Mitterand.
Si tratta di uomini e donne che da decenni vivono lontani dall'Italia. Nella quasi totalità dei casi hanno condotto una vita lontano dai riflettori, che in pochissimi casi si sono dedicati all'impegno politico e sociale rifacendosi una vita. Quella dello Stato italiano più che giustizia assomiglia a una vendetta esercitata fuori tempo massimo. I prigionieri in arrivo in Italia sono anziani, spesso malati, le organizzazioni di cui hanno fatto parte così come le loro gesta (compresi sequestri e omicidi), sono solo oggetto di riflessione storiografica. Perché allora non si riesce a storicizzare la memoria politica degli anni '70?
Tra gli arrestati oggi spicca il nome di Giorgio Pietrostefani che è stato uno dei dirigenti di vertice di Lotta Continua e che oggi ha 77 anni. Pietrostefani è stato protagonista di uno dei processi più discussi della storia italiana, quello che lo voleva come mandante dell'omicidio del commissario Luigi Calabresi assieme ad Adriano Sofri. Con Sofri e Pietrostefani furono processati anche Ovidio Bompressi e Leonardo Marino per essere gli esecutori materiali dell'omicidio. Come è noto Marino era il pentito che accusava gli altri tre imputati sempre dichiaratisi innocenti. Bompressi fu graziato per il suo stato di salute, mentre Adriano Sofri è stato definitivamente scarcerato nel 2012 senza mai interrompere la sua attività di saggista e giornalista. Oggi Pietrostefani è un uomo anziano e malato – nel 2016 è stato sottoposto a un delicato intervento chirurgico – i reati di cui è accusato stanno per cadere in prescrizione. Nel 2000 era riparato in Francia in attesa della revisione di un processo che ha lasciato molti dubbi nell'opinione pubblica e negli storici. Che senso ha punirlo oggi strappandolo dalla sua casa dopo 21 anni, per portarlo in una cella dove evidentemente non potrà rimanere?
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha un'occasione importante oggi: concedere la grazia ai cittadini italiani estradati dalla Francia. Sarebbe l'occasione per strappare da un discorso esclusivamente giustizialista la stagione politica dei lunghi anni '70 italiani, restituendolo a una sua piena storicizzazione voltando finalmente pagina. Per farlo sarebbe necessario che lo Stato riconoscesse la complessità del contesto in cui la lotta armata nel nostro paese coinvolse in modo diverso decine di migliaia di uomini e donne, che si trattò di un fenomeno politico e sociale e non di un fenomeno criminale anche quando le condanne riguardano fatti estremamente gravi come omicidi e sequestri di persona. Non si tratta di punire poche belve assetate di sangue come vengono presentati oggi gli arrestati, ma di esercitare una giustizia giusta su uomini e donne che già hanno pagato con decenni di esilio molti dei fatti per cui sono stati condannati.