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Opinioni

Perché Salvini ormai parla (quasi) solo di migranti

Il leader leghista e, in parte, Giorgia Meloni hanno un serio problema, che risponde al nome di Silvio Berlusconi. Che, col suo attivismo (e presenzialismo mediatico), ha scippato loro di mano i principali temi da campagna elettorale, lasciando libertà di manovra solo sul terreno dell’opposizione all’immigrazione.
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Qualche settimana fa, Giorgia Meloni e Matteo Salvini hanno utilizzato la sconfitta della nazionale di calcio contro la Svezia, che ci impedirà di andare ai Mondiali, per rilanciare il tema principale della loro propaganda politica: l’invasione degli stranieri come elemento di minaccia al benessere degli italiani. Se la leader di Fratelli d’Italia si era limitata a declinare in modalità tifosa il classico “prima gli italiani”, quello della Lega era andato leggermente oltre, aggiungendo il suo cavallo di battaglia, l’hashtag #StopInvasione, e suggerendo implicitamente ai suoi l’esistenza di un legame fra la sconfitta della squadra di Ventura e gli sbarchi sulle nostre coste. Quella volta, come emerso da commenti e reazioni, era andata male a entrambi, per manifesta insussistenza di senso. Ma l'episodio rende l’idea di cosa ci aspetta nei prossimi mesi di campagna elettorale e di come sia saltato ogni schema, crollato ogni argine, eliminato ogni scrupolo. Sulla questione migranti vale tutto, insomma.

È sempre stato così, potrebbe obiettare qualcuno. Forse, ma di certo la prossima campagna elettorale si annuncia piuttosto complicata, con peculiarità e singolarità che forse meritano qualche considerazione ulteriore. E non c’entra solo la nuova legge elettorale, ma anche il clima che si respira nel paese a tutti i livelli.

Cominciamo proprio da Salvini e Meloni, che, a dispetto di quanto si potrebbe pensare, rischiano di non arrivare all’appuntamento elettorale nel miglior modo possibile. Entrambi hanno un problema che si chiama Silvio Berlusconi, o meglio, hanno un problema con chi sta creando, cavalcando e sostenendo la ri-berlusconizzazione della scena politica italiana. Qual è la prospettiva a breve – medio termine di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, infatti? Se è già difficile immaginare a una maggioranza chiara e netta nel post elezioni, è assai arduo pensare a clamorosi spostamenti a destra dell'intera coalizione Salvini – Berlusconi – Meloni. E allora l'obiettivo realistico non può che essere il completo svuotamento dell'elettorato di destra e la cristalizzazione di un'area che vale in partenza circa il 20% dei consensi, ma che potrebbe espandersi ulteriormente se la nebulosa grillina collassasse. Evenienza, quest'ultima, piuttosto improbabile, almeno in tempi rapidi.

Lo scenario più probabile resta quello di un'altra stagione di subalternità, addolcita da una folta rappresentanza parlamentare, garantita dal paracadute proporzionale, ma soprattutto dai prevedibili successi nei collegi uninominali al Nord. Fondamentale, in tal senso sarà capire come evolverà il braccio di ferro con Berlusconi, forte, lo ripetiamo, più che di un reale ritorno in termini di consenso, di una incredibile campagna mediatica di riabilitazione personale, e sempre capace di sfruttare le debolezze strategiche di alleati e avversari.

Cosa si può mettere sul piatto della bilancia per convincere Berlusconi a cedere posti in Parlamento, da tradurre poi in soldatini sullo scacchiere parlamentare? C'è una cosa che il Cavaliere vuole, più di altre: il riconoscimento della propria influenza e la legittimazione del suo progetto di costruire la nuova casa dei moderati. E c'è un campo privilegiato su cui può avvenire questo passaggio: la politica economica e fiscale. Non è un caso che dalla propaganda leghista stiano sparendo progressivamente la polemica anti – euro, quella contro la Bolkenstein e in generale le spinte sovraniste, mentre si stia lavorando per trovare una quadra sulla flat tax e sulle misure di sostegno ai pensionati e a ciò che resta del ceto medio. La questione della flat tax resta un caso esemplare, perché si tratta di uno dei punti programmatici su cui Salvini ha lavorato con più determinazione (con una proposta di tassa unica al 15%), anche per caratterizzare a destra la Lega in campo economico. Berlusconi ha però sfruttato in questi mesi tutta la sua potenza di fuoco mediatica, oltre che il suo passato da "crociato anti – tasse", per scippare il vessillo della flat tax dalle mani del leader leghista, facendolo contemporaneamente sembrare come un "punto in comune" su cui basare l'alleanza programmatica.

Resta sul tavolo la spinosissima questione della legge Fornero, su cui Salvini è stato sempre durissimo. Berlusconi l'ha votata (Meloni pure) e non sembra poterla ripudiare così facilmente, considerando la volontà di presentarsi come statista responsabile e affidabile. Per quanto riguarda il contesto europeo, lasciare che sia il Cavaliere a occuparsi di tutto (e si noti il continuo richiamo al PPE, fatto nelle interviste di questo periodo), rifugiandosi magari in tecnicismi e risposte arzigogolate quando qualcuno chiederà se la Lega intende ancora uscire dall'euro, appare invece un sacrificio accettabile. Così come appare tutto sommato indolore lasciare che Berlusconi metta la faccia sui temi della politica estera (che poi, in fondo, parliamo sempre di un amico personale di Putin…).

Certo che da qualche parte bisognerà andare a parare, considerando che il bacino elettorale della destra populista e sovranista ha un formidabile concorrente nel MoVimento 5 Stelle. E c'è un grande argomento che mette tutti d'accordo, che ha generato una vera e propria isteria collettiva, sul quale Berlusconi non può esporsi più di tanto, su cui il PD balbetta (divisa tra Minniti e Bonino) e il M5s deve andare coi piedi di piombo, nonostante Di Maio. Sì, esatto: la questione immigrazione.

È, è stato e sarà questo il terreno su cui Salvini può muoversi con grande libertà e spregiudicatezza. Fino a qualche tempo fa, la polemica anti – immigrati era uno dei tanti grimaldelli utilizzati da Salvini per penetrare in quello spazio politico in cui trovano posto insofferenza, frustrazione, ma anche confuse istanze escatologiche, rivendicazioni anticasta, polemiche antistatali e, ovviamente, rabbia e insofferenza. La novità, come detto, è l’affollamento del campo, che lascia la questione migranti come sola caratterizzazione possibile. L’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale, dunque, ha ristretto il progetto di Salvini di ricomporre la galassia populista in un unico soggetto, intorno alla figura di un leader pienamente legittimato, in grado di muoversi in un ambiente in cui la sincerità, la reazione istintiva, la schiettezza, l'efficacia dello slogan hanno preso il posto tradizionalmente occupato dalla "verità dei fatti”.

Qualche tempo fa parlavamo del processo di lepenizzazione della Lega, ovvero della definizione di una piattaforma interclassista, che puntava a far presa indifferentemente sul proletariato urbano, su ciò che resta del "ceto medio" (sempre ammesso che esista ancora, eh), tra i piccoli e medi imprenditori provati dalla crisi, tra le vittime della fine dello statalismo e tra vecchi e nuovi nostalgici della soluzione pragmatico – autoritaria. Il depotenziamento del ruolo del leader (complice anche la nuova legge elettorale), la necessità di tornare a negoziare con B e gli intoppi del “blocco sovranista europeo” (le scelte di Marine Le Pen, il riposizionamento oltranzista dell’Afd e dei polacchi) hanno frenato questo progetto, restringendo gli orizzonti del leader leghista, lasciandogli pochi margini.

Una libertà di manovra che Salvini interpreta nel modo più completo e aggressivo possibile, spingendo continuamente sull’acceleratore, fino a portare la Lega Nord alle soglie (e spesso anche oltre) del “consentito”. L’ultima conferma è recentissima, con il leader leghista capace di “glissare” sull’irruzione degli skinhead a Como, mentre contemporaneamente ne legittimava le rivendicazioni, attingendo a piene mani a concetti come “invasione pianificata”, “sostituzione etnica in corso”, “razzismo nei confronti degli italiani”. In questa ottica diventa centrale la mobilitazione contro lo ius soli, che condivide con l'alleata Meloni, tanto da convincerlo a organizzare una manifestazione di piazza, che potrebbe arrivare a partita già chiusa: la manifestazione è il 10, ma la legge è all'ultimo posto nel calendario del Senato, dunque probabilmente "sarà discussa il giorno del mai", come ha detto Centinaio. Un controsenso che rende bene l'idea.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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