Perché Salvini con i continui post social per Vannacci rischia di farsi del male da solo
a cura di Domenico Giordano
L’account Instagram di Matteo Salvini, che conta 2.310.282 follower, negli ultimi ventotto giorni ha pubblicato 187 post in totale, con una media giornaliera di 6,7, di cui però ben 21 sono quelli in cui il leader leghista parla, commenta e sostiene apertamente Roberto Vannacci. Un numero per nulla marginale, se si tiene conto che quest’ultimo è solo uno dei settantasei candidati che popolano le liste della Lega per le elezioni europee dell’8 e 9 giugno.
Una marginalità quindi, solo apparente che si affievolisce anche nella sostanza, se scendiamo ancor di più a dettagliare il censimento delle interazioni raccolte dai post pro Vannacci: i like assoluti sono 261.458 e i commenti ai post sono invece 37.245, che sommati sfiorano il traguardo delle 300mila interazioni. Un numero che equivale al 10% delle interazioni complessive ottenute dall’account nell’intero periodo di analisi. Quindi, una quota affatto irrilevante.
Poi, questa presunta marginalità scompare del tutto se teniamo conto che la presenza costante di contenuti a sostegno del generale è stata duplicata anche sulle altre piattaforme presidiate da Salvini, da TikTok a Facebook in modo particolare e che ha prodotto nel caso di video e reel anche centinaia di migliaia di visualizzazioni, a favore di un candidato di suo già mediaticamente sovraesposto.
A questo punto, vale la pena chiedersi perché Salvini abbia scelto di puntare in modo così deciso le sue fiches su Roberto Vannacci. Evidentemente pensa che il generale, candidato indipendente in tutte e cinque le circoscrizioni elettorali, possa portare alla lista un surplus di consensi che altrimenti resterebbero fuori dalla rete e per farlo prova a massimizzare la dote mediatica di cui il generale gode da diversi mesi. Insomma, si starebbe utilizzando volutamente la figura di un candidato come cavallo di Troia per conquistare l’attenzione digitale di pubblici e possibili votanti culturalmente affini alle sue posizioni, ma non per questo elettori del Carroccio.
Se così stanno le cose, è opportuno allora fare delle considerazioni prospettiche sulla strategia di comunicazione messa in piedi da Matteo Salvini, che al di là di tutti i possibili benefici da verificare a valle, intanto crea un’evidente disparità di trattamento con gli altri candidati. Innanzitutto, il successo editoriale e mediatico di Vannacci non vuol dire ipso facto un altrettanto successo delle urne, anche perché il suo “popolo” in parte è già leghista e in parte ha già un’offerta politico-elettorale che può spaziare da Fratelli d’Italia e Forza Italia e per quanto il suo libro si sia piazzato quinto tra i dieci libri più venduti in Italia nel 2023, questo non gli garantisce che il lettore infranga la pigrizia per diventare e-lettore.
Così come, se ci dovesse essere plebiscito di consensi per il generale, questo non avrà mai una sola paternità, anzi paradossalmente più voti prenderà Vannacci meno meriti potrà attribuirsi Salvini e dall’11 giugno dovrà anche gestire una stella nascente del firmamento leghista. Infine, ultimo ma non ultimo, in un’era di iper personalizzazione della politica fino a che punto Salvini può vantarsi urbi ed orbi di aver candidato un pezzo da novanta senza rischiare di minare la sua stessa leadership?