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Crisi di Governo 2022

Perché questa crisi di governo la possono risolvere solamente Draghi e Mattarella

Come si uscirà da questa crisi di governo ancora non lo sappiamo. Ma dipenderà soprattutto da Mario Draghi e da Sergio Mattarella. E questa non è una buona notizia.
A cura di Annalisa Girardi
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Come finirà la crisi di governo dipende soprattutto da Mario Draghi e da quello che deciderà il presidente del Consiglio. Anche se il Movimento Cinque Stelle decidesse infatti di non votare la fiducia, Draghi avrebbe comunque i numeri per proseguire. Senza contare che Giuseppe Conte ha fatto comunque capire di essere disponibile all'appoggio esterno. È vero, c'è sempre la possibilità che a staccare la spina sia la Lega, ma per non indebolire ulteriormente la coalizione si deve confrontare con Forza Italia che ha messo in chiaro la volontà di proseguire con Draghi fino al 2023. Insomma, la palla ora passa a Draghi: cosa deciderà di fare mercoledì in Parlamento il presidente del Consiglio?

Le ricostruzioni giornalistiche parlano di un Draghi irremovibile. Quando ha rassegnato le proprie dimissioni lo aveva detto chiaramente:

"La maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo governo dalla sua creazione non c’è più. È venuto meno il patto di fiducia alla base dell’azione di governo. In questi giorni da parte mia c’è stato il massimo impegno per proseguire nel cammino comune, anche cercando di venire incontro alle esigenze che mi sono state avanzate dalle forze politiche. Dal mio discorso di insediamento in Parlamento ho sempre detto che questo esecutivo sarebbe andato avanti soltanto se ci fosse stata la chiara prospettiva di poter realizzare il programma di governo su cui le forze politiche avevano votato la fiducia".

Cosa potrà quindi mai cambiare in cinque giorni per far cambiare idea a Draghi sullo stato di salute della maggioranza? Una compagine che sembra lontanissima dal patto stretto all'insediamento dell'esecutivo per superare la crisi. E Draghi questo lo sa bene: difficilmente i partiti anche se sopravviveranno all'appuntamento di mercoledì 20 luglio smetteranno di litigare a settembre, all'alba di un autunno che si prospetta caldissimo, tra crisi energetica che farà sentire tutta la sua portata e legge di Bilancio da scrivere.

Draghi non ha alcuna intenzione di sottostare ai battibecchi tra i partiti e ai giochi di Palazzo. È un tecnico, non è stato chiamato per risolvere né il confronto tra forze politiche, né i problemi interni a queste. E non è disposto a lasciare che tutto questo comprometta il mandato ricevuto.

Cosa potrebbe far restare il presidente del Consiglio a Palazzo Chigi, allora? Se Draghi deciderà di andare avanti non sarà perché i partiti hanno trovato una quadra, ma perché glielo chiederà direttamente Sergio Mattarella. Il presidente della Repubblica potrebbe far leva sullo stesso senso di responsabilità e delle istituzioni che è stato chiesto a lui durante la partita del Quirinale. Potrebbe sottolineare a Draghi come, tra riforme del Pnrr da completare e diverse emergenze da affrontare, le elezioni anticipate potrebbero costare caro al Paese. Potrebbero pesare in questo senso anche le pressioni internazionali: diversi attori, tra capi di Stato, stampa estera e investitori, potrebbero mobilitarsi per blindare la stabilità dell'Italia, che vedono intrinsecamente collegata alla permanenza di Draghi al governo.

Insomma, se Draghi resterà dov'è sarà per una richiesta diretta del capo dello Stato o per i solleciti della comunità internazionale. Ma non sarà per le forze politiche che fanno parte della sua maggioranza. Alcuni partiti glielo chiederanno, lo pregheranno di rimanere, ma non saranno loro a convincerlo. Rimetteranno interamente al presidente del Consiglio una responsabilità che dovrebbe essere condivisa: ma lo faranno solo perché non sono in grado di assumersi quella di dover gestire il post-Draghi. Che prima o dopo, elezioni anticipate o meno, arriverà.

Ma la classe politica, tanto al Quirinale ieri quanto a Chigi oggi, continuerà a mostrarsi totalmente deresponsbailizzata, solo in grado di passare dalla modalità di ordinaria amministrazione sotto la guida dei tecnici a quella della campagna elettorale in cerca di consensi. Proprio il consenso sembra essere diventato l'unico obiettivo dei partiti e non più un mezzo attraverso il quale concretizzare questo progetto o quell'ideale politico. Ed è questa la vera cattiva notizia per il Paese.

Ancora una volta non si riuscirà a buttare a terra le basi di un programma politico per gestire la crisi sociale devastante che arriverà. Ancora una volta l'obiettivo sarà quello di sopravvivere all'interno delle istituzioni, in un'illusione di rilevanza politica mentre le reali esigenze del Paese rimangono distanti. E ancora una volta a pagare il prezzo più alto del narcisismo e dello sbaraglio dei partiti saranno i più vulnerabili.

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A Fanpage.it sono vice capoarea della sezione Politica. Mi appassiona scrivere di battaglie di genere e lotta alle diseguaglianze. Dalla redazione romana, provo a raccontare la quotidianità politica di sempre con parole nuove.
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