Perché quello del taglio dei parlamentari è un autogol di Salvini: non si vota prima di aprile 2020
Dopo giorni di tentennamenti il ministro dell’Interno e leader della Lega, Matteo Salvini, ha annunciato il sostegno del suo partito alla riforma che prevede il taglio del numero dei parlamentari, che passerebbero da 945 a 600. La Lega voterebbe, quindi, a favore della riforma che ha finora sostenuto in Parlamento. La conferenza dei capigruppo della Camera dei deputati ha stabilito che il voto sulla riforma costituzionale si terrà il 22 agosto. Due giorni dopo le comunicazioni al Senato (e, forse, anche il voto sulla mozione di sfiducia) del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. In sostanza, dopo la probabile apertura formale della crisi di governo.
La riforma costituzionale voluta dal Movimento 5 Stelle ha avuto, finora, un iter molto rapido: dalla prima discussione in Senato del 10 ottobre 2018 si potrebbe arrivare all’approvazione definitiva (essendo una riforma costituzionale è necessaria la quarta lettura) in soli dieci mesi. Dopo l’approvazione definitiva, però, sarà impossibile evitare il referendum costituzionale, che può essere chiesto se la legge non viene approvata con i voti di almeno due terzi della Camere di riferimento in terza e quarta lettura. E al Senato, in terza lettura, ciò non è avvenuto.
Si può quindi approvare la riforma costituzionale che prevede il taglio dei parlamentari e, allo stesso tempo, andare al voto in autunno? Un interrogativo a cui è difficile dare una risposta univoca, non esistendo precedenti e dovendoci basare solo su interpretazioni. Una risposta, però, sembra anticiparla il Quirinale, facendo trapelare implicitamente la sua posizione: non si può votare una legge costituzionale da congelare fino alle elezioni successive che potrebbero tenersi cinque anni dopo la sua approvazione.
Si può approvare ora la riforma costituzionale?
Capire se è possibile o meno andare al voto in autunno dopo l’approvazione della riforma costituzionale è complicato. Ci viene in aiuto il Sole 24 Ore, che ha pubblicato l’intervento di Francesco Clementi, professore di diritto pubblico ed esperto costituzionalista. In particolare Clementi spiega quali sono le condizioni necessarie per approvare la riforma. Innanzitutto il voto per la riduzione dei parlamentari deve avvenire con le Camere pienamente funzionanti. Ovvero prima che vengano sciolte e prima che la crisi inizi formalmente. In caso di crisi di governo aperta, infatti, il Parlamento può solo compiere “ordinaria amministrazione”. E una riforma costituzionale di certo non è ordinaria amministrazione. Decisivo diventa il calendario. Il 20 agosto al Senato dovrebbe arrivare la mozione di sfiducia a Conte o, in alternativa, le dimissioni dello stesso presidente del Consiglio. In ogni caso prima del voto sulla riforma. E già questo, secondo Clementi, esclude la possibilità di approvare la riforma e quindi che le due condizioni possano coesistere.
Cosa succederebbe se la riforma venisse approvata
Il Sole 24 Ore tratteggia ugualmente uno scenario diverso, in cui – pur negandone la reale possibilità che ciò avvenga – la riforma venga approvata. In questo caso, dopo il voto in quarta lettura servirebbero tre mesi di tempo per dare la possibilità di richiedere il referendum costituzionale da parte di 500mila elettori o 5 consiglieri regionali o un quinto dei membri di una Camera. Questo periodo di tre mesi è tassativo e non si può accorciare in nessun modo, spiega ancora Clementi. Poi l’ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione ha 30 giorni per pronunciarsi sulla legittimità della richiesta di referendum.
Nel caso in cui il voto referendario sia ritenuto legittimo il capo dello Stato avrebbe 60 giorni per indire il referendum su deliberazione del Consiglio dei ministri. Voto che si terrebbe tra il 50esimo e il 70esimo giorno successivo alla pubblicazione del decreto di indizione. Il che vuol dire che non si potrebbe andare al voto anticipato fino a che non si conclude l’iter, secondo Clementi. Ma le posizioni dei costituzionalisti non sono univoche: Carlo Fusaro, per esempio, spiega su Twitter e al Post che l’iter, in realtà, si chiude nel momento in cui le Camere approvano la riforma e non dopo tutte le procedure che portano al referendum. Il che comporterebbe la possibilità di votare in autunno. Ma lui stesso sostiene di avere dubbi su quale sia la giusta interpretazione.
Tornando alle tempistiche c’è poi da capire cosa succederebbe una volta passati i tre mesi per chiedere il referendum. Servirebbero tra i due e i tre mesi per disegnare i nuovi collegi elettorali, conseguenti al minor numero di parlamentari da eleggere. Sommando tutte le tempistiche necessarie si arriverebbe così a un voto anticipato che non potrebbe tenersi prima di aprile o giugno 2020. Con il referendum, in questo caso, successivo al voto. Con l’ovvia conseguenza che la riduzione dei parlamentari si applicherebbe solo dalla legislatura successiva. La possibilità di votare entro dicembre, per Salvini, è quindi quella di andare al voto per eleggere 945 parlamentari e non 600, evitando l'approvazione della riforma.