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Perché quello del governo sul caso Albania è un “mini decreto”, che rischia di creare un caos ancora più grande

Dopo che il tribunale di Roma ha annullato il fermo dei primi sedici migranti trasportati nel centro di trattenimento di Gjader in Albania, il governo ha approvato un decreto legge per provare a superare i rilievi dei magistrati, alla luce della recente sentenza della Corte di Giustizia Ue sui Paesi sicuri. Molti punti però sono ancora oscuri e il funzionamento dell’hotspot albanese rimane a rischio. Vi spieghiamo perché.
A cura di Marco Billeci
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Il tempo e le prossime decisioni dei giudici ci diranno se il decreto legge varato dal Consiglio dei Ministri lunedì 21 ottobre avrà messo una toppa al pasticcio sui centri per migranti in Albania o se  – più probabilmente – la montagna avrà partorito un topolino, destinato a creare ulteriore caos. In attesa di leggere il testo –  basandoci sulle dichiarazioni  alla stampa dei ministri Nordio e Piantedosi e del sottosegretario Mantovano – proviamo a ricostruire un quadro di cosa potrebbe cambiare e cosa no, dopo l'intervento legislativo.

Il garbuglio giuridico è nato perché il governo ha deciso di portare nei centri albanesi tutti i migranti salvati in mare, considerati non vulnerabili e provenienti da una lista di Paesi sicuri, stilata dalla Farnesina. In Albania, questi sarebbero dovuti passare sotto la cosiddetta procedura accelerata, per vagliare la loro domanda di asilo. Il problema è che una recente sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea ha messo in discussione l'elenco dei Paesi sicuri dell'Italia, che comprende anche Stati considerati a rischio, in determinate porzioni del territorio o per determinate categorie di persone.

Secondo il tribunale europeo, o un Paese è sicuro in ogni sua parte oppure non lo è. Di conseguenza, quando i primi migranti provenienti da Bangladesh ed Egitto  sono arrivati nei Balcani, rifacendosi alla sentenza della Corte Ue, i giudici non hanno convalidato il loro trattenimento nell'hotspot di Gjader e dodici persone sono state riportare in Italia.

Il conflitto con il diritto europeo

L'esecutivo Meloni si è trovato così di fronte a un gigantesco grattacapo. Il diritto europeo è  fonte superiore a quello italiano e dunque non può essere eluso. Che fare, allora? La risposta fornita al termine del Consiglio dei Ministri è che in realtà l'operato del governo è in linea con la giurisdizione della Ue e che semmai sono stati i giudici  a travisare il  senso delle norme.  Parlando al termine del Consiglio dei Ministri, il sottosegretario Mantovano ha detto che il decreto varato dal governo "non si pone in antitesi, ma anzi tiene conto della sentenza europea". Secondo il ministro della Giustizia Nordio: "La sentenza non è stata ben compresa" dai magistrati, anche perché era scritta in francese.

La tesi di Nordio è che il pronunciamento della Corte europea chiederebbe ai giudici di valutare le posizioni dei migranti caso per caso e non di stabilire una linea valida per tutti. Come invece avrebbe fatto il Tribunale di Roma, chiamato a decidere sulla materia. Il punto però è che qui a imporre un procedimento standard non sono stati i giudici ma il governo, quando ha deciso che a tutti i migranti provenienti da Paesi sicuri e portati in Albania, poteva essere applicata la procedura accelerata di frontiera. I magistrati romani hanno sentenziato che questa applicazione generalizzata non fosse conforme alla sentenza Ue.

Il confitto con la Corte Costituzionale

Va bene, ma se il governo è convinto di essere nel giusto, che bisogno c'era di agire sulle norme? L'intervento in effetti è  piuttosto limitato:  sposta la lista dei Paesi sicuri da un decreto interministeriale a un decreto legge, aggiornato annualmente dall'esecutivo, con il parere del parlamento. Una piccola modifica che però – nelle intenzioni di Meloni e dei suoi – avrebbe un effetto importante, perché adesso l'elenco si rafforza, entrando in una fonte di una norma di diritto primario. "Il giudice non può disapplicare la legge – ha spiegato il ministro Nordio – può fare ricorso alla Consulta se la ritiene incostituzionale, ma tenderei ad escludere che possa disapplicarla". Tradotto, mentre fino a oggi i giudici potevano evitare di convalidare i fermi dei migranti, da domani non potranno più farlo, ma nel caso dovranno ricorrere alla Corte Costituzionale o alla Corte di Giustizia Ue.

Una linea opinabile, perché la dottrina prevede che un giudice debba comunque disapplicare anche un decreto legge, quando  è contro la giurisprudenza europea. Ma anche ipotizzando che i magistrati scelgano la strada del ricorso alla Consulta o direttamente alla Cgue, rimane aperta una domanda: cosa succede nel frattempo?  Secondo il presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky: "Nel frattempo l'efficacia del decreto legge sarebbe sospesa". E di conseguenza la procedura accelerata di frontiera non potrebbe essere applicata. Quindi i prossimi migranti portati in Albania dovrebbero essere di nuovo trasferiti in Italia e si ripartirebbe punto e accapo. Ammesso che il governo non decida di forzare le procedure e andare avanti ugualmente con le espulsioni, in attesa dei pronunciamenti delle Alte Corti.

Per capire perché il nuovo dl rischia di essere quasi completamente inefficace, dobbiamo ora vedere anche quello che manca nel decreto legge, approvato dal Consiglio dei Ministri. Alla viglia, infatti, si ipotizzava anche un intervento per tagliare le unghie dei giudici. Le indiscrezioni parlavano della possibilità di eliminare la necessità del provvedimento di convalida del fermo da parte dei magistrati, nel caso in cui le commissioni territoriali avessero già rifiutato la richiesta di asilo del migrante. Detto in altre parole, se la Prefettura aveva respinto la domanda del richiedente asilo, il giudice non sarebbe più potuto intervenire sulla legittimità della procedura. Sarebbe stato un vulnus abnorme nelle garanzie costituzionali, riguardo alla privazione della libertà personale. Alla fine questa misura non è entrata nel testo (si dice, anche a seguito dell'intervento del Quirinale)  e dunque i provvedimenti amministrativi non sembrano "messi al riparo" dalle decisioni dei tribunali.

La nuova lista dei Paesi sicuri

L'altro intervento del governo per provare a mettere una pezza – di fronte alla sentenza del tribunale del Lussemburgo – è la riduzione da 22 a 19 del numero dei Paesi sicuri. Vengono cancellati dalla lista Nigeria, Colombia e Camerun. Perché questa scelta? Presto detto. La decisione della Cgue è riferita a un richiedente asilo moldavo in Repubblica Ceca e considera la Moldavia Paese non sicuro, perché non lo è una parte del suo territorio, ovvero la Transnistria. Ecco quindi che dalla lista italiana vengono tolte le nazioni al cui interno sono presenti zone di conflitto o comunque insicure. Rimangono invece nell'elenco tutti gli Stati considerati a rischio, non per aree territoriali, ma "solo" per determinate categorie di persone: l'Egitto per i dissidenti politici, la Tunisia per le persone Lgbt, etc etc…. Anche qua, c'è da vedere se e come questa interpretazione del pronunciamento dei giudici europei reggerà alla prova dei fatti.

Ls sensazione generale è che si provi a tirare a campare fino a quando l'entrata in vigore del nuovo Patto Immigrazione e Asilo della Ue non toglierà le castagne dal fuoco. Lo ha detto esplicitamente il ministro dell'Interno Piantedosi: "Il nuovo Patto  definisce i Paesi sicuri ,solo sulla base di approvazione in percentuale delle domande di protezione internazionale a livello europeo, sopra o sotto il 20 percento. I Paesi della nostra lista sono tutti sotto il 20 percento". E Mantovano ha auspicato che l'attivazione della nuova regolamentazione europea possa essere anticipata, rispetto alla data prevista, del primo giugno 2026.

Rimane infine il tema dei costi del meccanismo di trasferimento dei migranti in Albania, su cui pendono anche diversi esposti alla Corte dei Conti, da parte dei partiti di opposizione. Rispondendo a una domanda nel corso della conferenza stampa al termine del Consiglio dei Ministri, il titolare del Viminale Matteo Piantedosi non ha saputo dare una cifra precisa, riguardo alla spesa per la prima operazione di sbarco dei 16 migranti in territorio albanese (e del successivo nuovo trasferimento in Italia). Di fronte alle critiche per l'eccessivo dispendio di denaro, Piantedosi ha ricordato come vadano comunque considerati gli esborsi sostenuti regolarmente per la distribuzione, l'accoglienza e il vaglio delle richieste d'asilo dei migranti sul nostro territorio. Difficile però sostenere che questi possano essere superiori per singola persona, a quelli di una nave della Marina militare, che in due giorni ha dovuto trasportare 16 persone da Lampedusa all'Albania, poi tornare indietro dopo essere già ripartita, per riportare quattro vulnerabili in Italia. Mentre poche ore dopo un altra imbarcazione ha dovuto trasbordare nel nostro Paese gli altri dodici.

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