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Covid 19

Perché produrre i vaccini anti-Covid in Italia è la strategia giusta, spiegato dagli esperti

Produrre i vaccini anti-Covid in Italia, riconvertendo alcune aziende, può essere la soluzione giusta per uscire dall’emergenza sanitaria e i tempi per iniziare la produzione potrebbero essere più brevi del previsto: a spiegarlo a Fanpage.it sono due esperte del settore, Maria Carafa, docente di Tecnologia e Legislazione Farmaceutiche dell’Università Sapienza di Roma, e Maria Luisa Nolli, co-fondatrice e amministratore delegato di NCNbio.
A cura di Stefano Rizzuti
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Il governo punta a produrre i vaccini anti-Covid in Italia: l’obiettivo è quello di avere una produzione autonoma dall’autunno. Facile a dirsi, meno a farsi. Ma la possibilità che l’Italia punti sulle sue aziende per la produzione dei vaccini è, in realtà, concreta. Tanto che chi conosce il settore si dice ottimista e ritiene plausibile un inizio della produzione nel giro di sei mesi o, addirittura, qualcosa in meno. Per provare a capire quali sono le difficoltà tecniche della riconversione di alcuni impianti, ma anche le potenzialità di questo approccio voluto dal governo Draghi, Fanpage.it ha contattato la professoressa Maria Carafa, docente di Tecnologia e Legislazione Farmaceutiche presso la Facoltà di Farmacia e Medicina dell’Università Sapienza di Roma, e Maria Luisa Nolli, co-fondatrice e amministratore delegato di NCNbio, nonché membro del consiglio direttivo di Assobiotec. Per entrambe le esperte la politica seguita dal governo italiano sulla produzione dei vaccini è giusta, soprattutto in una situazione di emergenza come quella attuale. “È chiaro che il concetto della produzione italiana è molto giusto”, spiega Nolli soffermandosi sull’importanza di gestire autonomamente la campagna vaccinale.

La produzione di farmaci e vaccini in Italia

L’Italia è tra la terza e la quinta posizione a livello internazionaleper la produzione di farmaci “tradizionali” ed equivalenti ottenuti da sintesi chimica, non da farmaci biotecnologici”. Di fatto, spiega Nolli, “la maggior parte degli impianti è organizzato per la sintesi chimica e questo è il punto: convertire un impianto che produceva per esempio l’aspirina o un anti-infiammatorio in un impianto che produce vaccini non è una banalità. Serve tempo”. La professoressa Carafa avverte che uno dei rischi da evitare è quello di dimenticare che esistono anche altre malattie oltre al Covid: “L’idea di convertire qualunque produzione per accelerare la produzione di vaccini è un discorso che non va però affrontato senza considerare le eventuali conseguenze sulla produzione di altri farmaci”. Quindi è giusto puntare a produrre i vaccini in Italia, ma è anche vero che l’Italia parte da una carenza “a livello di farmaci biotecnologici”, spiega Nolli assicurando che però già alcune aziende si sono convertite in passato e possono farlo anche oggi.

Quanto tempo serve per la produzione dei vaccini in Italia

Per quanto riguarda le tempistiche, le previsioni del Mise – tra i 4 e i 6 mesi – non sembrano così irrealistiche. “Non siamo a zero impianti che fanno biotech – sottolinea la ceo di NCNbio – ci sono già aziende che hanno manifestato interesse a produrre il vaccino e che hanno impianti in Italia. Servono accordi con le grandi aziende, ma si può essere attivi in 4-6 mesi per i vaccini già autorizzati e in commercio”. Non sarebbe, peraltro, una novità assoluta, ma si tratta di strade “già percorse” in passato, soprattutto “nella produzione di piccole molecole”, ribadisce Carafa. Si può “partire in 4-6 mesi se ci sono gli accordi, forse più 4 che 6”, precisa ancora la professoressa. E di aziende che potrebbero essere interessate e idonee ce ne sono almeno 5 o 6 in Italia che si occupano già di biotech. La produzione dei vaccini può variare sulla base delle diverse ‘tecnologie’ impiegate, che sia l’RNA o il virus attenuato: quelli a RNA, come nel caso di Pfizer, potrebbero essere “più veloci da produrre”, ma allo stesso tempo potrebbero richiedere un processo “più complesso” in un momento successivo, per la loro formulazione e per quanto riguarda le operazioni legate alla logistica delle fasi successive all’allestimento. La produzione del vaccino anti-Covid potrebbe avvenire, inoltre, anche negli stabilimenti dove già si produce quello anti-influenzale: “In linea generale con una buona logistica di produzione si potrebbe portare avanti e organizzare allo stesso tempo sia la produzione di questo vaccino che di quelli influenzali”.

La trasformazione delle aziende per produrre il vaccino

L’Italia avrebbe potuto pensare prima di muoversi nella direzione della produzione autoctona, ma una soluzione di questo genere richiedeva un’assunzione di responsabilità che forse è mancata. Non un “errore”, sottolineano entrambe le esperte: “Dopo che le cose son successe, possiamo sempre dire che ci avremmo potuto pensare prima. Di fatto ci siamo trovati ad affrontare un’emergenza inaspettata in tempi brevissimi. Il tempo brevissimo porta con sé delle domande che rimangono aperte. Si poteva fare prima? Non lo so”, ammette Carafa. Ma non è, comunque, troppo tardi per avviare la riconversione di alcune imprese e la produzione dei vaccini anti-Covid in Italia: le aziende che hanno un impianto già biotech devono sì cambiare processo “ma nella programmazione di un’azienda biotech è molto più in sintonia la produzione del vaccino rispetto alle molecole sintetiche, perché i reattori per la sintesi sono completamente differenti”, spiega Nolli. Che sottolinea come la convenienza a lungo termine, con l’avvio della produzione dei vaccini non nell’immediato ma nei prossimi mesi, possa essere comunque conveniente per queste imprese, magari perché “erano già in pectore per trasformarsi in biotech. In questo caso diventa un’opportunità. Non è che quando finisce la campagna di vaccini un’azienda non può produrre, ad esempio, anticorpi monoclonali, soprattutto se uno fa la scelta dei bioreattori monouso, dispositivi usa e getta che stanno rivoluzionando il mondo della produzione biotech, o anche quelli di acciaio con camice interne sfilabili monouso, molto flessibili”.

Da qui nasce un altro problema: “A livello di plastica monouso c’è una corsa all’approvvigionamento perché i produttori di questa plastica e di questi bioreattori sono in crisi per l’eccesso di domanda”. Una nuova sfida da affrontare, ma che era difficile prevedere in anticipo. D’altronde, come sottolinea Carafa, sono “problemi nuovi” che vengono fuori giorno dopo giorno, ma chi di noi poteva pensare nel gennaio 2020 che un problema da affrontare sarebbe stato reperire l’alcol etilico?”. In sostanza, la nuova sfida riguarda tutti gli step, non solo la produzione dei vaccini di per sé. Nessuna polemica su questo, quindi, così come nessuna polemica sulla difficoltà delle aziende italiane di effettuare tutta la fase di produzione, dall’inizio all’infialamento: “Una polemica sterile”, perché le aziende possono appoggiarsi su altre che si occupano della parte finale. La collaborazione non manca. Le imprese, secondo la professoressa Carafa, “stanno dimostrando di essere molto aperte e i risultati a cui siamo arrivati e arriveremo sono frutto di un’enorme collaborazione che ha lasciato meravigliati”. “Un’alleanza – prosegue Nolli – mai vista prima tra centri di ricerca, aziende, istituzioni e governi”.

Il passaggio dalla ricerca all'industrializzazione

Se le aziende italiane stanno collaborando, non c’è dubbio che in questi mesi sono emerse le carenze dell’Italia nel passaggio dalla ricerca all’industrializzazione: “Sicuramente è sotto gli occhi di tutti che non siamo un Paese che negli anni ha investito nella ricerca né nell’istruzione. Ciononostante l’Italia è tra i primi 5 Paesi al mondo come produzione scientifica, guardando ad esempio agli studi pubblicati, in questo anno di ricerca sul Covid”, sottolinea Carafa. “La nostra eccellenza nella ricerca è indubbia, se ci sono carenze riguardano il network per arrivare ai prodotti commerciali”, sottolinea invece l’amministratore delegato di NCNbio. In conclusione, per Nolli l’Italia ce la può fare a iniziare una propria produzione dei vaccini: non solo quelli di Reithera e Takis, ma anche gli altri come Johnson&Johnson, con la conversione di alcuni impianti. La professoressa Carafa si dice “moderatamente ottimista: le potenzialità le abbiamo tutte, tutti gli attori in scena hanno delle ottime potenzialità e secondo me è iniziato un coordinamento importante a cui, forse, prima non eravamo così abituati”. La produzione italiana dei vaccini anti-Covid, quindi, è tutt’altro che irrealizzabile e anche i tempi potrebbero essere più brevi del previsto.

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