Opinioni

Perché non si parla del referendum sulla cittadinanza? Il nuovo episodio di DIRECT, il Podcast del direttore

L’8 e il 9 di giugno si voterà per decidere se abbassare da 5 a 10 anni il tempo di residenza necessario a uno straniero non comunitario per richiedere la cittadinanza italiana. Ma di cosa stiamo parlando, esattamente?
2 CONDIVISIONI
Immagine

DIRECT è il Podcast in cui cerchiamo di analizzare le cose che accadono, assieme, partendo dalle domande che mi arrivano. È dedicato agli abbonati di Fanpage (ci si abbona qui), ma questa puntata è disponibile per tutti su Spotify, Amazon Music ed Apple Podcast.

Clicca play per ascoltarla direttamente qui:

Oggi rispondiamo alla domanda di Marco:

“Perché non si affronta mai il discorso del referendum sulla cittadinanza previsto per giugno?”

Già, perché?

In effetti, in generale, nel dibattito politico e sui media si sta parlando pochissimo di questo referendum, uno dei cinque quesiti su cui saremo chiamati ad esprimerci i prossimi 8 e 9 giugno. E allora, già che ci siamo, parliamone.

Perché indipendentemente da come la pensiate sul tema è sempre una sconfitta quando le persone non vanno a votare perché non sono abbastanza informate per esprimersi. Tanto più su un tema fondamentale per ogni Paese al mondo come quello relativo alla cittadinanza.
E in DIRECT, proviamo a darvi una panoramica chiara della questione.

Andiamo al dunque. Che cosa dice il quesito?
Vi risparmio il testo, che è scritto in burocratese, e vado alla sostanza.

Di fatto il referendum chiede di abrogare la norma che nel 1992 ha aumentato a 10 anni il tempo di residenza in Italia richiesto alle persone non comunitarie che vivono regolarmente in Italia, per poter richiedere la cittadinanza italiana per naturalizzazione.

Partiamo da lì, dal 5 dicembre 1992, il giorno in cui il Senato ha approvato la legge sull’immigrazione che oggi il referendum vuole parzialmente abrogare. Due giorni dopo sarebbe stato firmato a Maastricht il trattato che farà nascere l’Unione Europea.

Mario Chiesa inizia una delle sue ultime giornate da presidente del Pio Albergo Trivulzio e ancora non sa, come in Mare Fuori, che mancano undici giorni al suo arresto e all’inizio di quel terremoto chiamato Mani Pulite, che farà crollare tutto o quasi il sistema politico italiano.

Ma tutti sanno che tra due mesi, il 5 aprile, ci saranno nuove elezioni.

È un’Italia strana, quella del 5 febbraio del 1992. Che si appresta a diventare Europa, sì. Ma che nei mesi precedenti ha conosciuto il resto del mondo, e qualcosa a cui non era mai stata abituata: l’immigrazione. Colpa, si fa per dire, del crollo dei regimi socialisti dell’est Europa, che aveva portato milioni di europei dell’est a riversarsi in Occidente.

In Italia il saldo migratorio è positivo dal 1970, in realtà, ma c’è un giorno che segna un prima e un dopo.

È l’8 agosto del 1991, il giorno dello sbarco del mercantile Vlora carico di ventimila cittadini albanesi al porto di Bari. Quel giorno l’Italia capisce che non è più il Paese dei paisà che migravano in tutto il mondo in cerca di fortuna. E nemmeno più il Paese delle migrazioni interne. Quel giorno l’Italia capisce che i confini stanno cadendo, che la globalizzazione sta arrivando. E che l’Europa, allora solo Occidentale, diventerà sempre più terra di approdo per persone in fuga dalla miseria, o in cerca di fortuna, da tutto il mondo. Italia compresa.

L’Italia capisce e, allora come oggi, ne ha paura. Ecco perché Margherita Boniver, socialista, ministra per l’immigrazione dell’allora governo Andreotti, il settimo, si pone l’obiettivo di chiudere la legislatura con una nuova legge sull’immigrazione in Italia. Perché, spiega, “nel giro di una generazione diventerà una società multietnica, multirazziale, multiculturale”. E allora tanto vale attrezzarsi, è il sottotesto.

O, traduco io: alzare le prime barricate prima che gli elettori arrivino alle urne troppo spaventati. E magari votino quei partiti, come l’allora neonata ed emergente Lega Nord. O come il Movimento Sociale Italiano, che poi diventerà Alleanza Nazionale e poi Fratelli d’Italia, che già gridano contro “l’invasione degli immigrati”.

Facciamo un altro grande passo indietro, però.

La precedente legge sull’immigrazione in Italia – udite! udite! – risaliva al 1912, quando c'erano i Savoia e Giolitti e Benito Mussolini era ancora socialista, ed era appena stato nominato direttore de «L'Avanti!». In quell’Italia del 1912 si poteva diventare cittadini italiani se il proprio padre era nato in Italia, o si poteva chiedere di diventarlo – naturalizzati – dopo cinque anni di residenza nel Paese.

Maglie larghe, vista con gli occhi di oggi. Ma l’abbiamo detto prima: era un’Italia diversa, un Paese poverissimo in cui nessuno voleva andare ad abitare e anzi, da cui la gente se ne scappava.

Torniamo al 1992. Boniver e Andreotti quelle maglie le stringono parecchio.

Riaffermano il diritto di sangue, lo ius sanguinis, come criterio base per definire la cittadinanza. Sei italiano se hai padre e madre italiani, ovunque siano nati. Un bel regalone elettorale agli italiani all’estero, questo, grandi elettori di Dc e Psi, in vista delle elezioni del 5 aprile.

Soprattutto però, rendono molto più difficile diventare cittadini italiani agli stranieri residenti non comunitari. Non sarebbero serviti cinque anni di residenza continuativa, bensì dieci per diventarlo.

Ma perché c’è chi vuole cambiare questa legge?

Ti racconto tutto in DIRECT.

🎧 Ascolta l'episodio 12 per l'approfondimento completo.

2 CONDIVISIONI
Immagine
Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views