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Perché non ha senso riaprire le scuole senza i dati sui contagi

I dati sui contagi a scuola non ci sono. E forse neanche la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, li conosce. O, quantomeno, preferisce non comunicarli. La decisione di riaprire le scuole superiori dal 7 gennaio, quindi, sembra non essere supportata dai dati che dovrebbero essere raccolti dal ministero. Ha davvero senso far tornare gli studenti e i docenti in classe senza sapere davvero cosa avviene negli istituti italiani?
A cura di Stefano Rizzuti
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Il 7 gennaio è la data da cerchiare in rosso sul calendario. Almeno per una parte degli studenti italiani delle scuole superiori che tornerà in classe, dopo lo stop – e la conseguente didattica a distanza – imposto a causa dell’emergenza Coronavirus. Il loro rientro in classe è una delle priorità del governo, come detto più volte anche dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. E lo è di certo per la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, che da mesi si batte per una didattica solo e unicamente in presenza per tutti gli studenti italiani. Eppure la battaglia della ministra sembra non essere supportata dai dati. Almeno non da quelli resi pubblici. Perché, in effetti, sui contagi nella scuola manca quantomeno la trasparenza. O, forse, mancano proprio i dati in assoluto. Come ha affermato anche Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico-scientifico, di dati sui contagi a scuola non c’è traccia e gli esperti non li avrebbero mai visti. Viene da pensare perché, forse, non sono stati comunicati dal ministero. O non sono stati valutati dal Cts per altri motivi. In effetti di carenze sui dati dei contagi a scuola ce ne sono parecchie. E sembra difficile, quindi, capire come venga supportata la scelta di riaprire le scuole superiori: una decisione politica, legittima, ma che potrebbe essere vincolata a dati molto più chiari, al momento mancanti.

I dati sui contagi a scuola forniti dal ministero

Il ministero ha iniziato a raccogliere i dati sui contagi nelle scuole solamente il 25 settembre, con il rientro in classe che per molte studenti era già avvenuto. A tutti i dirigenti scolastici era stato chiesto di inserire sul portale del ministero il numero di docenti, studenti e di personale scolastico risultati positivi. I primi dati vengono diffusi il 5 ottobre, poi il 9 e anche il 15 dello stesso mese. Poi il ministero tace. Fino al 29 ottobre, quando il Mi comunica che i dati sui contagi a scuola verranno raccolti dall’Istituto superiore di sanità e non più da viale Trastevere. Ma l’Iss i dati sulla scuola non li ha mai forniti, con l’unica eccezione dei focolai nelle scuole comunicati dal ministero della Salute il 26 ottobre: erano poco meno di 300. Poi il silenzio. I dati sono spariti. Da quando l’Italia è entrata a pieno nella seconda ondata delle scuole non si è più saputo nulla. Ed è singolare che la stessa Azzolina abbia deciso di non affrontare più la questione e di abbandonare la sua rivendicazione sui pochi contagi nelle classi, limitandosi a dire che erano pochi, ma senza fornire i dati.

A scuola 65mila contagi a fine ottobre: in linea con totale casi

Tutto fermo, quindi. Fino a che Wired ha inviato al ministero una richiesta di accesso civico generalizzato, il cosiddetto Foia, per avere il numero dei contagi nelle scuole. A fine novembre (un mese dopo) è arrivata la risposta, con i dati aggiornati al 31 ottobre. In totale i casi riscontrati a scuola – tra studenti e docenti – sono poco meno di 65mila. Allora questi dati il ministero li ha! Ma non li fornisce. Il dubbio però rimane: dopo la fine di ottobre il Mi ha continuato a raccogliere questi dati? Per quanto riguarda il numero di casi riguardanti la scuola, inoltre, c’è da fare una considerazione. Nelle settimane dal 14 settembre al 31 ottobre (quelle sui dati forniti dal ministero), in Italia ci sono stati in totale circa 369mila contagi (dato che viene fuori elaborando i report settimanali dell’Iss). I contagi del mondo della scuola (e non necessariamente avvenuti a scuola) rappresentano circa il 17,5% del totale nello stesso periodo in tutta Italia.

Se consideriamo che attorno al mondo della scuola gravitano più di 10 milioni tra studenti, docenti e personale, su una popolazione italiana di circa 60 milioni di abitanti, la percentuale è molto simile, di pochissimo inferiore: la proporzione è quasi la stessa. Il dato sarebbe quindi in linea col numero di contagi che riguardano la scuola. Ciò che serve ora capire è se i dati forniti dal ministero sono sufficienti per valutare la riaperture delle scuole. Il deputato del Pd, Matteo Orfini, ha provato a chiederlo a Miozzo, il quale però spiega di non conoscere questi numeri e di non saper dare una risposta. Il Cts, di fatto, non sa cosa succede nelle scuole. E il ministero lo sa?

Mancano i dati sui contagi, come si possono riaprire le scuole?

Le ipotesi, a questo punto, sono due. O il ministero non rende noti i dati sui contagi o non ha idea di quanto avviene nelle scuole italiane. Ipotesi che verrebbe rafforzata anche dal fatto che i 65mila contagiati a cui fa riferimento Wired non sono assolutamente persone contagiate nelle scuole, ma persone che frequentano le scuole e che potrebbero essersi contagiate ovunque, tanto più che il tracciamento è ormai saltato da tempo. Ad oggi non ci sono altre cifre e anche i contagi in numero assoluto per quanto apparentemente non preoccupanti sono poco indicativi, mancando qualsiasi informazione, per esempio, su tamponi e focolai.

Il problema non è solo sulla qualità di questi dati, ma sulla consapevolezza che il ministero potrebbe brancolare nel buio. Azzolina ha fatto della riapertura delle scuole la sua battaglia personale, apparentemente vinta. Ha rivendicato l’applicazione di un protocollo molto stringente e che, in effetti, dovrebbe salvaguardare studenti e insegnanti. Ma nel momento in cui doveva verificare sull’efficacia del protocollo sembra aver abdicato. I dati non ci sono, il tracciamento è saltato, ciò che avviene nelle scuole è un mistero, quantomeno per l’opinione pubblica. A questo punto le ipotesi sono due: o Azzolina non sa cosa avviene a scuola o – e in questo caso va capito il perché – preferisce non comunicarlo. A quanto pare anche agli esperti del Cts che dovrebbero consigliarla.

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