Il botta e risposta tra Chiara Ferragni e una bambina di undici anni che ha criticato una foto in cui l’influencer è in mutande potrebbe stare in un museo di Internet, perché spiega perfettamente il rapporto che abbiamo coltivato con chi seguiamo sui social e soprattutto con le donne. Il lungo commento della undicenne chiedeva a Ferragni: “Qual è il messaggio per noi ragazzine? Che per farci notare dobbiamo metterci nude? Io non lo trovo un bel messaggio da mandare”.
I social non sono luoghi neutri e adatti a tutti. Non è un caso che su Instagram ci sia un limite di età (13 anni), che presuppone che per utilizzare questi spazi sia necessario un certo grado di autonomia e maturità. Ferragni sa perfettamente che nel suo pubblico ci sono bambine e ragazze adolescenti – e infatti tra i suoi gadget ci sono anche prodotti chiaramente pensati per quella fascia d’età – ma questo non significa che il suo compito nei loro confronti sia quello di doverle educare o sensibilizzare.
A parte il commento della bambina, nel post sono centinaia i commenti scritti da uomini e donne adulte che insultano in maniera più o meno esplicita il contenuto della foto, chiamando in causa la “pornografia” o il “cattivo esempio”. Ciò che Ferragni mostra nella foto è semplicemente il suo corpo, esattamente come fanno milioni di persone sui social, e se c’è chi di fronte a un corpo (quasi) nudo si scandalizza, il problema non sta certo in chi l’ha postato. Il problema è pensare che sia responsabilità di un’influencer educare il proprio pubblico, avere una missione pedagogica che deve tenere conto di età, sensibilità ed educazione differenti.
È lo stesso discorso che si fa con la pornografia: il fatto che un minore abbia libero accesso a Internet e possa imbattersi in un sito porno, non significa che sia responsabilità della pornografia educare quel bambino o quella bambina a vivere una sessualità consapevole, perché quello non è il ruolo della pornografia, ma dei genitori, della scuola e dell’ambiente circostante. Ovviamente la foto di Chiara Ferragni non ha nulla di pornografico, ma l’idea che un corpo nudo equivalga a un messaggio sbagliato sottintende l’idea che il corpo stesso debba avere una “funzione”, che un selfie allo specchio debba comunicare necessariamente qualcosa e che ogni azione che una donna fa debba mandare un messaggio a qualcuno.
Ferragni ha ovviamente un certo grado di responsabilità nei confronti del suo pubblico (così come ce l’hanno tutte le persone famose), cosa di cui ha spesso dimostrato di essere ben consapevole, scegliendo di usare i social per mandare messaggi sociali o politici. Ma un conto è un gesto del genere, fatto con intenzione e pianificazione e con un preciso intento, un altro è una foto casuale davanti allo specchio, né la prima né l’ultima che posterà. Lei, come ha ribadito nella risposta al commento in questione, è libera di mostrarsi come vuole, di augurarsi che tutte le donne si sentano altrettanto libere e di “far incazzare i puritani”. Allo stesso modo, i suoi follower sono liberi di criticarla. Ma sarebbe importante anche provare a estendere lo sguardo.
Questo atteggiamento si ricollega poi a un altro grande tema, mai analizzato a sufficienza, ovvero il fatto che pretendiamo che le persone che stanno su Internet (specialmente gli e le influencer) ci debbano tutto. Ian Bogost, in un articolo su The Atlantic, ha parlato del rapido salto che i social hanno fatto da social network a social media: da reti che servivano innanzitutto a connettere le persone, sono diventati strumenti di fruizione di contenuti. “I social media”, scrive Bogost, “hanno mostrato che tutti hanno il potenziale per raggiungere un enorme pubblico a basso costo e alto guadagno e quel potenziale dà a molte persone l’impressione che loro meritino un tale pubblico. L’altra faccia della medaglia è che sui social media, tutti credono che le persone a cui hanno accesso debbano loro lo stesso pubblico”.
Crediamo insomma che chi seguiamo sui social debba rispondere a noi, cioè a noi persone particolari che abbiamo un certo sistema di valori, una certa idea del bello e del brutto o una certa visione del mondo. Non solo ci sentiamo in diritto di criticare questa o quella persona quando si discosta da questi valori, ma pretendiamo che sia uno specchio della nostra identità. Se si comincia a 11 anni con questa pretesa, tra l’altro con un profilo professionale (la bambina è campionessa di equitazione) e in ascesa grazie alla notorietà di questo scambio con Ferragni, si coltiva con Internet un rapporto tossico, si ricercano negli influencer risposte che vanno trovate altrove.
Ci sono altre cose per cui Chiara Ferragni può essere considerata un cattivo esempio – a mio parere, è più biasimabile la glorificazione del consumismo che un perizoma bianco – ma la sua notorietà non ha nessun obbligo morale nei nostri confronti. E ci si augura che quella bambina, se un giorno arriverà alla stessa fama di Ferragni, non ne avrà a sua volta.