Beato quel mondo che sa condannare la violenza ma comprende la necessità dell'impegno politico, che può passare anche da un blocco stradale, da un volantinaggio non annunciato o da un cartellone con un volto photoshoppato fatto a pezzettini.
I signori non gradiscono? Siamo allora sulla strada giusta: perché quando un leader politico che ha le possibilità economiche sufficienti a posizionare un milione di cartelloni pubblicitari in tutta Italia, si lamenta e chiede solidarietà per un singolo cartello strappato, significa che si sono rotte le proporzioni democratiche.
Tutela delle minoranze, dovrebbe saperlo bene l'onorevole Giorgia Meloni, è anche permettere a un gruppo di giovani donne di esercitare la disobbedienza in una delle poche forme che permette loro di avere una cassa di risonanza.
Lo spiego con un esempio facile: se Giorgia Meloni fissa una conferenza stampa andranno in cento giornalisti ad ascoltarla, ma se a Cagliari sfila il Pride forse non andrà nessuno, e siccome le manifestazioni sono politica, e anche un manifesto è un atto politico, si può decidere di ribellarsi a quell'atto politico anche cercando una visibilità altrimenti impossibile, cioè strappando quello che quel pezzo di cartone rappresenta (o pensano che rappresenti).
È bene essere chiari con un concetto: quel manifesto accanto al corpo di giovani manifestanti che si sono sentite – loro sì – sfigurate dalle dichiarazioni di Giorgia Meloni, era in quel momento e in quel contesto un atto politico. E strapparlo lo è stato altrettanto.
Si può essere d'accordo oppure no, ognuno di noi avrebbe potuto farlo oppure no, ma in questo caso non conta il nostro sentire, ma riconoscere la possibilità di quel tipo di atto politico in quel particolare contesto.
Nessuno è stato censurato, stiano tranquilli i meloniani: il messaggio del primo partito italiano risuona ovunque forte e chiaro, e sarà così per molto tempo ancora.
Niente è stato fatto al buio, o di nascosto: anzi, le ragazze hanno svolto la loro azione di fronte a delle riprese video di cui erano consapevoli e partecipi, perché appunto la loro è stata un'azione politica, rivendicata.
E non c'è minaccia in un manifesto strappato durante un'azione politica, non è un danno personale alla cassetta della posta di un personaggio mediaticamente esposto, o un pizzino, o un calcio durante una manifestazione. E' stato un pezzo di cartone con un messaggio ritenuto lesivo della dignità umana che è stato tolto dallo spazio della discussione. Stop. Solo questo.
Eppure oggi è un susseguirsi di richieste di distinguo di fronte a quel gesto, di reati di lesa maestà spesso richiesti alzando il braccio destro per farsi notare meglio.
Eppure io me le ricordo tutte, le dichiarazioni di tanti commentatori del mercoledì mattina:
"La sede devastata della CGIL, cosa vuoi che sia, lo avevano anche annunciato".
"Il motto fascista ‘Dio, Patria, Famiglia' in realtà non era fascista, lo aveva inventato Mazzini".
"La croce celtica si ritrova anche nei cimiteri irlandesi, portarla al collo è soltanto una tradizione".
"Fatemi vedere le 100 ore di girato".
E invece, per un manifesto politico strappato, il diluvio. La richiesta di condanna senza se e senza ma.
Ma la solidarietà alla persona esageratamente più forte, per potere ed economia, puzza sempre un po'. In questo caso, poi, quello delle manifestanti è stato un atto di affermazione. Per farla semplice è come se le giovani donne avessero gridato: "Le tue idee sfigurano il diritto all'esistenza dei nostri corpi", e hanno tolto quelle idee dalla strada.
E se ve lo state chiedendo, sì, anche a me è capitato di strappare manifesti elettorali per strada, quando ero molto più giovane. Oggi lo rifarei? No. Me ne sono pentito? Neanche. Ogni tempo ha i propri modi di espressione e scandalizzarsi non rende giusti, ma spesso ridicoli.
Io la vorrei, una figlia in piazza che protesta per i suoi diritti e – nel frattempo – strappa il cartellone del volto photoshoppato che promette di negarglieli.
La democrazia è nata strappando i manifesti dei re, e i cortigiani si indignarono allo stesso modo di oggi.
E sono ancora troppo mal frequentati i partiti della destra italiana per non ricordare l'olio di ricino riservato a chi aggiungeva un paio di baffi al leader il cui nome inizia con "MU" e finisce con "SSOLINI".