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Perché non c’è niente da ridere su “chi si muove per primo è gay” con Ishowspeed e Ibrahimovic

Zlatan Ibrahimovic e IShowSpeed, se escludere facesse ridere, i campi di concentramento sarebbero uno show.
A cura di Saverio Tommasi
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Zlatan Ibrahimovic e IShowSpeed, mentre giocano a "chi si muove per primo è gay"
Zlatan Ibrahimovic e IShowSpeed, mentre giocano a "chi si muove per primo è gay"

Giochiamo a non fare i gay, dai, che bel gioco! Funziona così: chi si muove per primo è gay. E allora io ora non mi muovo, puoi giurarci perché io non sono gay, ma soprattutto non voglio che gli altri pensino che io sia gay.

E' un gioco vecchio come il pregiudizio, quello che hanno inscenato Zlatan Ibrahimovic e IShowSpeed.
Che a qualcuno un gioco così faccia ancora ridere, non mi stupisce. L'Italia è agli ultimi posti in Europa per il riconoscimento dei diritti delle persone omolesbobitrans. Per dirla semplice: Roberto Vannacci è un accidente, ma non è un caso.

Siamo ancora quelli della fionda e della pietra, capaci di definirci solo per attacco diretto. E dunque: io non sono culattone, finocchio, frocio. Io non sono debole. Io non sono una femminuccia. Perché ogni pregiudizio se ne porta a braccetto almeno un altro, in questo caso l'idea che la debolezza sia una questione che ha qualcosa a che fare con l'orientamento sessuale, o con il genere. E dunque che l'atto sessuale, inteso come atto della penetrazione, sia sinonimo di forza, capacità di sottomissione, addirittura motivo di vanto. L'uomo dominante, il maschio alpha che magari puzza anche un po', con la clava sottobraccio. Se poi non sa leggere non importa, l'uomo deve saper comandare.

Ma davvero? Cioè: seriamente? Purtroppo, sì.

Zlatan Ibrahimovic e IShowSpeed, non ci avete fatto ridere, perché non c'era niente di ilare nel dichiarare che la punizione per lo sconfitto sarebbe stata essere gay. O ebreo, o rom, se ci pensate è la stessa cosa. Avreste potuto dire: chi si muove per primo è un perseguitato politico.

Zlatan Ibrahimovic e IShowSpeed, se escludere facesse ridere, i campi di concentramento sarebbero uno show.

Non rido perché non è un gioco dare fiato a una legittimazione d'odio.
Non rido perché in quel momento mi sono sentito quel bambino di dodici anni, senza potere di parola, che vi ha ascoltato e gli si sono contratte le budella; quel bambino accartocciato su se stesso perché ha già capito di desiderare qualcuno del suo stesso sesso, e ha già capito che lui – anche se non si muove – è gay. E per questo ha compreso che avrà una vita con qualche salita in più rispetto ad altri suoi coetanei, semplicemente per il proprio orientamento. Niente che gli possa impedire la felicità, diciamolo forte, però dovrà essere un po' più fortunato per evitare le conseguenze di ogni stralo.

Qualcuno ha definito quella scenetta una sciocchezza, non sono d'accordo, non è sufficiente. Per "sciocchezze" come quelle qualche ragazzino salta la scuola, e qualche altro l'abbandona. Qualcuno smette di fare sport. Qualcun altro, salta da un ponte.
Per prese in giro ripetute, qualcuno si fa crescere gli aculei alla schiena, chiudendosi come un riccio. Qualcuno si ferisce le braccia, pungendosi forte con una forchetta, così che il dolore lo obblighi a distogliere l'attenzione dal contesto spaventoso.
Qualche ragazzino si ferisce i polsi con una puntina da disegno, così che il colore del sangue quando fuoriesce, e quelle gocce calde sul braccio, gli diano la sensazione del conforto, lo facciano sentire vivo in una società che nega la sua normalità.
Zlatan Ibrahimovic e IShowSpeed, quel giochetto non fa ridere perché a causa di azioni come quelle qualcuno esce in compagnia e poi, quando sente raccontare una barzelletta sui gay, lo noti che sorride tenendo le mani serrate a pugno, in tasca; in quel momento, potete scommetterci, sta premendo forte l'unghia del pollice contro il polpastrello dell'indice, ricercando un secondo dolore che lo distragga dal primo.

Siamo ancora quelli del Bagaglino, quelli che scondinzolano di fronte a una battuta omofoba, che ridono dopo aver fatto un rutto; è colpa nostra: abbiamo lasciato spazio al pregiudizio e lui è entrato nella nostra quotidianità, l'ha pervasa.

Zlatan Ibrahimovic e IShowSpeed, non voglio neanche darvi colpe eccessive, avete fatto una cazzata, sarebbe quasi sufficiente chiedere scusa e dire, veramente, da che parte state. Seriamente, senza giochetti. Se davvero muovervi per primi vi fa sentire dei perdenti, se davvero essere gay pensate abbia a che fare con un danneggiamento reputazionale.

Zlatan Ibrahimovic e IShowSpeed, ho avuto un'idea. Se non vorrete scusarvi, allora vi propongo di continuare a discriminare con durezza, di più: c'è la possibilità di divertirsi senza pietà per l'obiettivo. La mia idea è questa: potete discriminare il pregiudizio. Non avere rispetto per la mancanza di rispetto, si può fare. Anzi: si deve.
Voglio proporvi questo nuovo gioco, si chiamerà: "Ricacciare nelle fogne ogni rigurgito d'odio". Si gioca così: tutti insieme contro le discriminazioni, vince chi annienta il pregiudizio. Le istruzioni base di questo gioco si trovano in ogni buon libro di Storia. Si possono acquisire nuovi punti ascoltando testimonianze, e si assegna un super bonus quando si prendono le difese di una persona discriminata. Un punto in più quando scriviamo "pride" al posto di "gay pride", perché "l'orgoglio è intersezionale". Due punti se conoscete la storia della parola "finocchio", probabilmente derivante da quando i semi di finocchio venivano gettati nel fuoco dove gli omosessuali venivano messi al rogo, durante l'Inquisizione, al fine di mitigare la puzza di carne bruciata.
Dieci punti e un bacio da parte mia, ogni volta che qualcuno farà sgambetto a un omofobo.

Se giocheremo bene, alla fine vinceremo tutti. Il segreto della vittoria – quella vera – sta tutto qui.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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