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Opinioni

Perché multare i parlamentari che cambiano gruppo è illegittimo e contro la democrazia

I candidati del MoVimento 5 Stelle si impegnano a seguire la disciplina del M5S stipulando clausole invalide, ma il problema non è solo giuridico: il divieto di vincolo di mandato difende la sovranità popolare.
A cura di Roberta Covelli
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La campagna elettorale è ormai iniziata, con il suo carico di bile e buoni propositi. Il MoVimento 5 stelle, con un post sul blog di Beppe Grillo firmato da Luigi Di Maio, ha reso pubblici Statuto e Codice etico, dopo l’apertura della prima fase di Parlamentarie con cui scegliere i candidati pentastellati che, in caso di elezione, dovranno rifiutare l’appellativo di onorevole e farsi chiamare cittadino o cittadina (art. 3, lett e dello Statuto).

Tra i vari obblighi del Codice etico che iscritti e candidati devono accettare c’è una norma giuridicamente interessante, quella che impone il pagamento di una penale in caso di espulsione o abbandono del M5S o di dimissioni anticipate per motivi di dissenso politico: è curioso trovare una clausola simile in un codice di comportamento che, nei principi generali espressi all’articolo 1, dovrebbe avere "lo scopo di garantire una condotta, da parte di tutti gli iscritti e, in particolare, dei portavoce eletti, ispirata ai principi di lealtà, correttezza, onestà, buona fede, trasparenza, disciplina e onore, rispetto della Costituzione della Repubblica e delle leggi". L’imposizione di una penale di quel tipo, infatti, introduce di fatto un vincolo di mandato e ignora i limiti che il diritto pone all’autonomia delle parti. Ma non è la prima volta che capita qualcosa del genere.

Già per le elezioni europee del 2014, il M5S aveva tentato di impedire cambi di gruppo, facendo sottoscrivere ai candidati l’impegno a pagare una penale di 250mila euro in caso di abbandono del Movimento. Nel gennaio 2017, però, due europarlamentari eletti nelle fila del M5S, Marco Affronte e Marco Zanni, escono dal gruppo per approdare uno ai Verdi, l'altro all'Enf. Dalle pagine del blog di Beppe Grillo (ora non più raggiungibili), si chiede allora che i due paghino la penale. Ma “a un anno di distanza – ci spiega Affronte – nessuna richiesta ufficiale è mai giunta”. Anche Zanni, interpellato da Fanpage, conferma che nulla si è mosso dopo i primi proclami sul blog.

Il dubbio che, giuridicamente, la clausola sia invalida non sembra in effetti così infondato. Eppure nello stesso periodo, su un’altra vicenda relativa al Movimento, cioè il procedimento per l’ineleggibilità di Virginia Raggi, l’Agi titolava "Il contratto tra Raggi e M5S è legittimo", riferendosi alla scrittura privata sottoscritta dalla sindaca di Roma con contenuto simile a quella violata dai due europarlamentari: da candidata, Virginia Raggi si impegnava a consultare il garante (cioè Grillo) per le decisioni cruciali e a rispettare il codice etico, con una pena di 150mila euro in caso di violazioni. Ma la sentenza sul caso Raggi – a dispetto del titolo Agi – non valutava (né poteva valutare) il contratto: chi aveva promosso il giudizio, infatti, si era rivolto a un giudice amministrativo per un procedimento di tipo elettorale, con cui si valutano ineleggibilità, decadenze e, in generale, problemi legati all’esercizio del diritto di voto, e che deve quindi essere caratterizzato da tempi veloci e, di conseguenza, da una cognizione sommaria. Verificato che non sussistevano cause di ineleggibilità per Virginia Raggi, l’ulteriore richiesta di dichiarare la nullità del contratto è stata considerata inammissibile, dal momento che, in quel tipo di processo (veloce e sommario), non si poteva analizzare nel merito la scrittura privata. Insomma, non era quella la sede per giudicarlo, quindi non ci si è espressi.

Ma allora le clausole che impongono penali contro i cambi di casacca sono legittime e valide oppure no? Stando alle regole generali sui contratti, le clausole contrarie alla legge sono nulle e imporre con la minaccia di multe un vincolo di mandato esplicitamente vietato dalla Costituzione sembra tutto meno che una clausola contrattuale valida. Imporre multe ai dissidenti, insomma, svuotando nei fatti una previsione costituzionale, non è legittimo: ma, in caso, saranno dei giudici a verificare la nullità di clausole che comunque, finora, secondo quanto hanno confermato a Fanpage gli europarlamentari ex M5S Affronte e Zanni, non sono mai state azionate.

Di fronte al trasformismo politico, però, c'è chi ritiene necessario il superamento del divieto di vincolo di mandato, espresso dall’articolo 67 della Costituzione.

Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.

Ci si chiede, infatti, come sia possibile evitare i cambi di casacca che si verificano nelle istituzioni e che innervosiscono i partiti e, spesso, anche i cittadini.

Innanzitutto, bisognerebbe rendersi conto che l'attività legislativa non è facile: il semplicismo populista ha dipinto il Parlamento come un luogo pieno di nullafacenti strapagati. Ammesso e non concesso che questa affermazione sia vera, ciò non significa che costoro possano essere sostituiti da incompetenti pagati meno. Se le istituzioni si affollano di persone paracadutate dal voto online, dalla fedeltà alla disciplina di partito o dall'opportunismo rispetto ai leader di turno, la loro attività resterà in balia delle incapacità e dei capricci dei loro componenti. La formazione politica è imprescindibile: l'educazione alla complessità, lo studio di diritti e procedure, l'esercizio della dialettica (interna al gruppo e allargata all'assemblea) sono necessarie per garantire rappresentanti all'altezza del loro ruolo, in grado di capire e decidere, non ricattati come invece sarebbero se il gruppo politico li avesse miracolati garantendo loro la funzione parlamentare e potendone decidere la sorte con la minaccia di espulsioni e multe.

Ma non è soltanto un problema individuale dei parlamentari, risolvibile con la formazione politica, perché fronde interne e fuoriusciti possono anche derivare da ragioni collettive: se il partito (o, in questo caso, il Movimento) cambia posizione, è il parlamentare dissidente a essere incoerente o il gruppo politico ad aver tradito la natura con cui si presentava? Il rappresentante che resta fedele al programma in base al quale è stato eletto è davvero condannabile?

Sul piano politico, però, la questione è più grave perché riguarda direttamente la sovranità popolare e il diritto dei cittadini di esercitarla nelle forme e nei limiti della Costituzione. Al tempo della redazione dell'articolo 67 nell'Assemblea Costituente, il relatore Costantino Mortati spiegava infatti che, con il divieto del vincolo di mandato, si persegue l’obiettivo di "sottrarre il deputato alla rappresentanza di interessi particolari" e questo "significa che esso non rappresenta il suo partito o la sua categoria, ma la Nazione nel suo insieme". Non si tratta quindi soltanto di una tutela alla coscienza del singolo parlamentare, quanto piuttosto della garanzia per il popolo che il rappresentante sia libero da legami diversi da quello che la funzione parlamentare istituisce con i cittadini complessivamente intesi.

La previsione della penale in caso di dissenso politico che culmini in esclusione, abbandono o dimissioni anticipate dei parlamentari pentastellati nega categoricamente questo obiettivo costituzionale, formalizzando anzi il do ut des tra parlamentari e gruppo politico: la penale, infatti, viene prevista "in considerazione del fatto che […] gli oneri per l’attività politica e le campagne elettorali sono integralmente a carico del MoVimento 5 Stelle", qualificandosi quindi come "indennizzo per gli oneri sopra indicati per l’elezione del parlamentare stesso". Ma, per parafrasare Daniele Luttazzi, pagare qualcuno non equivale a comprarlo e il divieto di vincolo di mandato, tra gli altri scopi istituzionali, persegue anche questa autonomia dei parlamentari rispetto ai partiti che li hanno candidati e sostenuti per le elezioni. Il parlamentare una volta eletto è un rappresentante del popolo, complessivamente inteso: dei suoi elettori, del suo gruppo politico, ma anche degli elettori degli altri partiti, degli astenuti e di chiunque non possa votare ma subisca gli effetti delle scelte parlamentari. Interpreterà, certo, il suo ruolo alla luce della sua cultura e degli interessi di cui è portatore, ma il suo faro deve essere la rappresentanza di tutti i cittadini: perché la sovranità appartiene al popolo, non ai gruppi politici che se ne intestano la volontà.

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Nata nel 1992 in provincia di Milano. Si è laureata in giurisprudenza con una tesi su Danilo Dolci e il diritto al lavoro, grazie alla quale ha vinto il premio Angiolino Acquisti Cultura della Pace e il premio Matteotti. Ora è assegnista di ricerca in diritto del lavoro. È autrice dei libri Potere forte. Attualità della nonviolenza (effequ, 2019) e Argomentare è diabolico. Retorica e fallacie nella comunicazione (effequ, 2022).
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