video suggerito
video suggerito
Opinioni

Perché “ministero dell’Istruzione e del Merito” è un concetto orrendo

In ambito scolastico il merito non libera, distrugge. Il rischio è che optare per una formazione d’élite per alcuni, significhi solo “levarsi di torno i cerebrolesi”.
A cura di Saverio Tommasi
1.456 CONDIVISIONI
Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara
Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara

Lo so, vi hanno abituati a pensare che meritocrazia fosse un concetto giusto, contrapposta al nepotismo, al privilegio, alla raccomandazione. E in effetti lo è, non avete torto.

Gli avanzamenti di carriera per capacità, applicazione e risultanti raggiunti nel tempo, sono la scelta corretta per la persona e per il gruppo di lavoro intorno a lei.

Però certe parole, quando si trasformano in indirizzo universale, cambiano significato. Cambiando loro il settore di applicazione, spesso il significato addirittura si stravolge, ed è il caso della parola "merito".

Ovviamente sopravvivere il concetto originale, ma così tanto sporcato da diventare soltanto – oggi – un feticcio per le bandiere di chi mira a differenziare l'insegnamento di qualità da quello "per tutti", come se il sostegno alle scuole private con i soldi pubblici non fosse già abbastanza.

Nessuno del governo parla di classi differenziali, per carità, però la strada è quella. Una via imboccata furbescamente al contrario, cioè promettendo di favorire – così sembra assicurare quella parola "merito" – la scolarizzazione di quelli che in partenza sono già ritenuti "i più forti". Che ovviamente non saranno mai figli di operai, o di poveri, salvo casi statistici di genialità assoluta, la classica eccezione concepita per giustificare la regola.

Non credete loro, quando vi diranno che "premiare il merito nell'istruzione" significa valorizzare i più bravi della classe perché non si annoino. Il significato è diverso, anche se pubblicamente indicibile. Significa "levarsi dalle palle i cerebrolesi", o i "tracheostomizzati", pensando che questo possa favorire l'apprendimento di chi non ha uno zainetto invisibile con una sindrome dentro.

In ambito scolastico il merito uccide, non libera.

Non credete loro, quando vi diranno che "premiare il merito nell'istruzione" significa anche permettere ai meno capaci di studiare insieme, e dunque di non farli sentire inferiori, o a disagio.

Mettere i poco abili (dove tra l'altro il primato della poca abilità è stato stabilito dai fautori del relegamento), in una stanza appartata, non serve per farli sentire "fra pari". Nessun bambino stabilisce simpatie o antipatie a seconda dell'abilità nel risolvere un quiz di matematica del suo compagno di banco, se gli adulti non lo costringono.
E nessuno si sente "scemo" se non c'è qualcuno che lo tratta come tale.

Ormai la scuola parla di "tempi di apprendimento diversi", come è giusto che sia. E la convivenza in classe di tempi diversi riproduce le caratteristiche del Mondo, e dunque è la più alta formazione possibile per le nostre bambine e bambini.

Non è una mia teoria, ovviamente, ci sono biblioteche intere a supporto.

Esiste ormai un'intera letteratura pedagogica contraria alle classi differenziali, cioè quelle classi scolastiche destinate ad alunni con disabilità o con disturbi dell'apprendimento o semplicemente con problemi di socializzazione. Furono create all'inizio del Ventesimo secolo, poi (per fortuna) vennero gli insegnamenti di Maria Montessori, Don Milani e Mirella Antonione Casale – per citarne tre – ma quelle classi resistettero molti anni, produssero danni quantificabili in multipli del megametro, e in vari Paesi esistono ancora esperienze similari. In Italia, per fortuna, no. Ma non da moltissimo, la prima legge fu del 1977, poi l'attuale legge 104 soltanto del 1992.

Ribadisco l'ovvio: l'attuale governo di Destra non sta proponendo l'introduzione di queste classi, però proporre un insegnamento alternativo per quelli più meritevoli,  è chiaramente propedeutico alla differenziazione: i ghetti da una parte e gli insegnanti per l'élite dall'altra.

Proprio chi avrebbe bisogno di una cura maggiore, ne riceverebbe meno. Bel risultato, non c'è che dire.

Eppure la scuola non è un'azienda, e non dovrebbe mai diventarla.

Purtroppo in tanti, in questi anni, hanno messo le mani sulla scuola, strizzando l'occhio alle imprese a discapito della formazione di menti libere.

Una cosa bisogna dirla: Giorgia Meloni non sarebbe la prima, anche se fino a questo momento nessuno aveva avuto l'ardire addirittura di cambiare il nome del Ministero.

La scuola è un ambiente per la formazione, e non soltanto la formazione (di qualità e gratuita) dovrebbe essere accessibile a tutti, ma addirittura insieme agli altri – tutti gli altri – ci si forma meglio, e più "gli altri" sono diversi da me, più io sarò capace di sviluppare una forma di relazione che mi porterà in futuro ad avere una vita integrata e sana.
Le gare nozionistiche che terminano in corse solitarie, o comunque in gruppetti numericamente sempre più ristretti dove la valorizzazione del merito rende sempre più stringente la selezione, non sono formazione. Non migliorano le capacità relazionali degli individui, pure così necessarie (tra l'altro) anche per diventare manager di un'azienda, dato che a quello sembrano così interessati i fautori delle riforme scolastiche.

Perché senza capacità relazionali un gruppo non lo dirigi, al massimo lo comandi. Ma questo funziona poco in una catena di montaggio, figuratevi per il resto.

Concepire lo studio come una corsa solitaria fra pochi ritenuti più capaci sviluppa il concetto "morte tua vita mia", che al di là del sottoporre uno studente o una studentesse a uno stress quotidiano, è anche il contrario della possibilità di uscire da quella scuola con le capacità necessarie per lavorare in un team, o appunto per dirigerlo.

Attenzione, perché ogni deriva parte da una parola. E oggi il rischio che un battito d'ali in una scuola di periferia produca adulti non formati e infelici vent'anni dopo in tutto il Paese, è altissimo.

1.456 CONDIVISIONI
Immagine
Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views