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Opinioni

Perché mettere telecamere in asili e case di cura è un’idea sbagliata e dannosa

Sulla scia di pochi casi di cronaca di grande impatto emozionale, maggioranza e opposizione votano assieme per la possibilità di adottare sistemi di videocontrollo in asili e case di cura. Una misura profondamente sbagliata, che risponde a una idea distorta di sicurezza, che aumenta la pervasività del controllo sui cittadini e trasforma di colpo in “non sicuri” i luoghi cui affidiamo i nostri cari, i nostri figli, i nostri genitori.
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Con i voti favorevoli di quasi tutte le forze politiche (PD, M5s, Lega e FI), è stato approvato in Commissioni Lavori Pubblici e Ambiente del Senato un emendamento al Decreto Crescita che garantirà la copertura economica per l'installazione di telecamere in case di cura per anziani e scuole dell'infanzia pubbliche e private. Si tratta di un modo per riproporre la questione videosorveglianza, dopo le bocciature degli anni scorsi a proposte sul tema, con tanto di richiami da parte del Garante per la privacy. In queste settimane in discussione vi è un disegno di legge (cui questo emendamento darà sostegno economico) il cui testo è più equilibrato dei precedenti, ma resta, a parere di chi scrive, una soluzione profondamente sbagliata a un problema creato a tavolino, utile solo a speculare sull'aspetto emozionale generato da alcune vicende di cronaca.

L'emendamento al decreto Crescita (su cui restano i dubbi legati all'ammissibilità) prevede:

  • un fondo con una dotazione di 5 milioni di euro per l'anno 2019 e 15 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2020 al 2024, finalizzato all'erogazione a favore di ciascun comune delle risorse finanziarie occorrenti per l'installazione di sistemi di videosorveglianza a circuito chiuso presso ogni aula di ciascuna scuola nonché per l'acquisto delle apparecchiature finalizzate alla conservazione delle immagini per un periodo temporale adeguato;
  • un fondo con una dotazione di 5 milioni di euro per l'anno 2019 e 15 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2020 al 2024, finalizzato all'installazione di sistemi di videosorveglianza a circuito chiuso presso strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali per anziani e persone con disabilità, a carattere residenziale, semiresidenziale o diurno.

Come dovrebbero essere installati tali sistemi? Già in passato il garante per la Privacy aveva mostrato perplessità in relazione a provvedimenti simili, ora però il quadro sembra poter cambiare grazie al disegno di legge 264, di iniziativa della deputata di Forza Italia Giammanco, su cui sembra esserci ampia convergenza. Il testo fornisce copertura legislativa per installazione di sistemi di videosorveglianza criptati a circuito chiuso, “le cui registrazioni video sarebbero visibili solo ed esclusivamente alle Forze dell’ordine a se­guito di denuncia”. Nel dettaglio, l’articolo 3 della proposta stabilisce che “le immagini catturate dalle telecamere criptate a circuito chiuso siano automaticamente cifrate, al mo­ mento dell’acquisizione, già all’interno delle medesime telecamere”, con il flusso di dati cifrati in output che sarà trasmesso “via cavo ethernet o con soluzione wi-fi cifrata a un server in­ terno che non è configurato per la connes­sione alla rete internet”.

È sufficiente per spazzare via i dubbi? No, perché il provvedimento è sbagliato prima di tutto dal punto di vista concettuale.

Prima di tutto perché se la ratio è quella messa nero su bianco dai promotori della legge, qualche dubbio è legittimo:

“La violenza fisica e verbale viene praticata, con sempre maggiori frequenza e accanimento, proprio nei confronti di quei soggetti deboli che necessiterebbero di una tutela maggiore da parte delle istituzioni in quanto versano in una situazione di partico­lare svantaggio non essendo in grado di provvedere autonomamente alle proprie esi­genze e alla propria autodifesa”

Non un dato, non un riferimento, solo accenni a una "maggiore frequenza e accanimento", che lascia spiazzati, interdetti. La verità è che si tratta di un'idea che nasce sulla scorta di marginali (per numero e portata) casi di cronaca e che è un mix di populismo penale, logica della securizzazione e retorica della prevenzione. È un piccolo ma significativo passo verso un'idea di società securizzata che nulla ha a che vedere con il concetto di sicurezza.

La tesi che sta alla base del progetto è quella di garantire sicurezza “ai nostri bambini e ai nostri cari” e di scoraggiare eventuali atti potenzialmente lesivi della loro incolumità. È un’idea morbosa della sicurezza, che invece di proteggere dalla paura la crea, la alimenta, la coltiva. Perché trasforma di colpo in “non sicuri” i luoghi cui affidiamo i nostri cari, i nostri figli, i nostri genitori. È il miraggio della securizzazione universale che, lungi dall’essere un obiettivo realisticamente raggiungibile, diventa un ulteriore strumento di controllo e di limitazione delle libertà individuale. Non esiste “sicurezza da…” senza “sicurezza di…” e “sicurezza con…”, non c’è alcun modo di creare un mondo sicuro sotto l’ombra della paura del prossimo, del vicino, di colui cui affidiamo le cose e le persone che contano davvero per la nostra esistenza.

E che questa proposta arrivi sulla scia di fatti di cronaca è l’ennesima dimostrazione di come si sfrutti l’emotività per portarci a mettere da parte la razionalità, a rinunciare a diritti fondamentali e a mettere in discussione la fiducia e l’apertura al prossimo. È l’ennesimo segnale della società che stiamo costruendo: muri e steccati, torri e fossati, nella speranza di difenderci da non si sa bene cosa. Come tanti Giovanni Drogo, arroccati in una fortezza in attesa dei tartari, e sempre più diffidenti verso gli altri. Il sonno della ragione, la mancanza di visione e coraggio dei politici, la destrutturazione culturale dell'intera società e la ricerca del consenso a ogni costo generano mostri. Contro i quali è sempre più arduo combattere.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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