Lei a Lampedusa con Ursula Von der Leyen. Lui a Pontida con Marine Le Pen.
Lei che cerca di coinvolgere Bruxelles per farsi aiutare nella gestione degli sbarchi. Lui che invita a parlare sul palco chi vorrebbe che l’Europa stesse al suo posto e che le nazioni se la vedessero da sole, a gestirsi i propri guai come meglio credano.
Lei che con la sua famiglia politica dei Conservatori e Riformisti getta ponti verso i Popolari Europei, in vista di battaglie comuni dopo le elezioni continentali del prossimo giugno, e di una spartizione delle poltrone da commissario europeo che coinvolga anche figure di spicco di Fratelli di’Italia. Lui che da alleanze e spartizioni è tagliato fuori e che allora decide di buttarsi ancora più a destra e di rinsaldare i legami con i partiti della sua famiglia europea, quella di Identità e Democrazia, di cui fanno parte oltre al Rassemblement National francese, anche i tedeschi e gli austriaci filo-russi di Alternative fur Deutschland ed Fpo, e i belgi neonazisti del Vlaams Belang, veri e propri impresentabili dalle parti di Bruxelles e Strasburgo.
Che i progetti politici di Giorgia Meloni e Matteo Salvini divergano non è una novità. Tuttavia, la giornata di ieri rappresenta la fotografia perfetta di questa divaricazione. E consegna agli aruspici della politica il compito di valutare se e per quanto tempo possano governare assieme, e campare sotto il tetto della medesima alleanza due forze politiche che hanno orizzonti strategici così diversi. Detto in altre parole: Salvini ieri ha ribadito che non gli va di non toccare palla, né in Italia né tantomeno in Europa. Meloni gli ha risposto che, al pari, non ha nessuna voglia di tornare nel ghetto delle opposizioni impresentabili.
I due leader, va detto, sono prodighi anche nel gettare acqua sul fuoco ogni volta che possono. Ancora ieri, nonostante tutto, Salvini ha ribadito che lui e Meloni hanno lo stesso obiettivo e che nessuno li dividerà. E ha altrettanto esplicitamente proiettato a dieci anni l’orizzonte di questo governo. Peccato sia stato lui stesso ad appiccarlo, il fuoco: per dire, è bastato che Antonio Tajani –leader in pectore di quel che rimane di Forza Italia, ma soprattutto ex presidente del Parlamento Europeo in quota Popolari – abbia sbarrato le porte a ogni accordo con Le Pen che Salvini se l’è invitata sul palco di Pontida. Un messaggio nemmeno troppo in codice, quello del Capitano leghista, che prova a prendersi lo spazio di estrema destra lasciato libero da una Giorgia Meloni che tenta di darsi un tono istituzionale. Consapevole del fatto che senza i voti in della Lega in Parlamento il governo non va da nessuna parte. Altro che dieci anni.
Dettaglio non da poco: l’Italia è l’unico Paese europeo in cui due partiti appartenenti a Conservatori e Riformisti e Identità e Democrazia governano assieme. L’unico in cui sono alleati, salvo piccole parentesi, da una trentina d’anni buoni. L’unico in cui lo fanno assieme ai popolari europei di Forza Italia, peraltro. Ed è difficile che un esperimento politico che ha resistito alle tempeste per trent’anni a Roma, crolli per qualche refolo di vento che arriva da Bruxelles. La vera partita – come dimostrano le guerre tra Berlusconi e Bossi, così come tra Berlusconi e Fini – non è mai la sopravvivenza dell’alleanza tra le destre italiane, ma l'equilibrio di potere tra chi comanda, chi detta la linea, chi condiziona meglio le scelte politiche dell’esecutivo.
Le elezioni europee del prossimo giugno saranno probabilmente lo spartiacque di questa guerra passivo-aggressiva tra le due anime della destra italiana. In particolare, se Meloni dovesse riuscire a costruire un’asse preferenziale coi Popolari Europei, portando il gruppo dei Conservatori e Riformisti a giocare sui tavoli che contano, relegando la destra di Salvini e Le Pen sempre più ai margini. A quel punto, ogni partita europea – dal rifinanziamento degli aiuti militari all’Ucraina sino alle regole del nuovo patto di stabilità – potrebbe essere un occasione buona per Salvini per manifestare il proprio dissenso e fare fronda a Roma. Soprattutto se non otterrà quel che vuole, dall'autonomia per le regioni del Nord al ponte sullo Stretto. Preparate i popcorn.