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Perché Mediobanca ha rifiutato l’offerta di Mps e che ruolo ha il governo Meloni nella trattativa

Il Cda di Mediobanca ha respinto l’Offerta pubblica di scambio (Ops) totalitaria di Monte dei Paschi di Siena, che valeva 13,3 miliardi di euro. Secondo i dirigenti, l’unione sarebbe “fortemente distruttiva di valore” per le due banche. L’offerta era sostenuta anche dal governo Meloni, principale azionista di Mps.
A cura di Luca Pons
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L'offerta di Monte dei Paschi di Siena per Mediobanca è stata "non concordata", e quindi "ostile". Per questo, il Consiglio di amministrazione dell'istituto milanese ha risposto di no all'Ops (offerta pubblica di scambio) totalitaria di quello senese, che sarebbe valsa circa 13,3 miliardi di euro. Sarebbe stata "fortemente distruttiva di valore" per gli azionisti di entrambe le banche, ha detto il Cda, perché "non ha una ragione industriale e finanziaria".

L'operazione aveva attirato molta attenzione perché Mps ha come azionista di maggioranza il ministero dell'Economia, e quindi il governo. L'offerta per Mediobanca avrebbe portato lo Stato ad avere una parte importante di azioni non solo nella banca milanese con sede in Piazzetta Cuccia, ma anche – cosa ben più particolare – in Assicurazioni Generali. La prima azienda di assicurazioni del Paese sarebbe stata (anche) a partecipazione statale.

Ma per adesso, come detto, l'Ops è stata respinta. Solo due componenti del Cda si sono astenuti. Sandro Panizza e Sabrina Pucci, ovvero le persone indicate da Delfin, la holding della famiglia Del Vecchio (proprietaria di Essilor-Luxottica). Il motivo è che proprio Delfin è azionista di peso sia in Mediobanca (con il 20% circa) che in Monte dei Paschi di Siena (con quasi il 10%). La stessa situazione in cui si trova il gruppo Caltagirone.

La cosa è stata sottolineata proprio dai componenti del Cda: "L'operazione è caratterizzata da rilevanti intrecci di Delfin e Caltagirone che sono presenti: in Mediobanca, dove Delfin detiene il 20% e Caltagirone il 7%, in Monte Paschi, dove Delfin è il primo azionista privato con il 10% mentre Caltagirone detiene il 5% (più un altro 4% con una holding controllata, ndr), in Generali, di cui Delfin detiene il 10% e Caltagirone il 7%".

L'offerta era partita con il benestare del governo Meloni, ma era stato chiaro da subito che alle condizioni attuali non sarebbe andata lontana. Lo aveva spiegato l'economista Sandro Sandri a Fanpage.it, che aveva definito l'operazione "audace" ma aveva anche chiarito i suoi limiti: "Hanno offerto un premio di appena il 5%" rispetto al valore di mercato attuale, "dubito che gli azionisti lo approveranno". E infatti così è andata, almeno per ora.

Il Cda di Mediobanca ha insistito che, anche al di là del valore dell'offerta, il problema è di fondo. La banca milanese è specializzata su clienti di un certo tipo: gestione di grandi patrimoni, consulenze su investimenti internazionali. Un'unione con Monte dei Paschi, che invece fornisce servizi specialmente a imprese e famiglie, renderebbe meno prestigioso il marchio. Così si perderebbero i clienti, e anche i dipendenti di alto livello sceglierebbero di andare altrove. Per questo, l'offerta avrebbe il risultato di "distruggere valore per gli azionisti di Mediobanca e di Mps".

Da parte loro, fonti vicine alla banca senese hanno fatto circolare analisi secondo cui alcune delle attività svolte da Mediobanca avrebbero dei benefici da un'unione. Al momento, però, la decisione del Cda è presa. Mps dovrà valutare, a questo punto, se presentare una nuova offerta "ostile" o se provare a procedere con trattative dietro le quinte.

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