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Perché l’Unione Europea è divisa sui finanziamenti per la difesa: il nodo del debito comune

L’Unione Europea sta pensando a delle modifiche al Patto di Stabilità per finanziare la spesa militare, ma i Paesi sono divisi. Gli Stati membri restano però divisi tra chi spinge per una strategia condivisa e chi si oppone fermamente a nuovi strumenti di indebitamento congiunto.
A cura di Francesca Moriero
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L'Europa oggi si trova di fronte a un bivio: da un lato, la necessità di rafforzare le proprie capacità di difesa alla luce delle incertezze sulla politica estera statunitense; dall'altro, il rispetto dei rigidi vincoli di bilancio imposti dal Patto di Stabilità. Mentre a Parigi si è svolto un vertice straordinario tra alcuni leader europei per discutere del sostegno all'Ucraina e della sicurezza del continente, a Bruxelles i ministri delle Finanze dell'Eurozona hanno iniziato a valutare le implicazioni economiche di questa svolta strategica. Il presidente dell'Eurogruppo, Paschal Donohoe, ha sottolineato come l'attuale quadro normativo consenta una certa flessibilità per rispondere alle emergenze nazionali.

La Commissione Europea tuttavia, starebbe esplorando un'ulteriore possibilità: una deroga specifica per gli Stati membri che intendano incrementare la spesa militare, senza però estendere questa misura a livello comunitario. Cioè permettere ai singoli Paesi di aumentare la spesa militare senza dover rispettare i limiti di bilancio imposti dal Patto di Stabilità, un' eccezione che non verrebbe applicata a tutta l'Unione Europea, ma solo agli Stati che ne fanno richiesta e ottengono l'approvazione.

La Germania e le regole del Patto di Stabilità

Un'ipotesi più radicale, che prevedrebbe una sospensione generalizzata del Patto di Stabilità, come già avvenuto durante la pandemia e dopo l'invasione russa dell'Ucraina, incontra però la ferma opposizione della Germania. Il ministro delle Finanze uscente, Jörg Kukies, ha ribadito lo scetticismo tedesco, sostenendo che l'attivazione di una clausola di salvaguardia generale richiederebbe una crisi economica di grande entità. Più realistico, secondo Berlino, sarebbe permettere agli Stati di agire autonomamente, chiedendo alla Commissione Europea di valutare caso per caso eventuali esenzioni dal rispetto dei parametri di bilancio. Questa opzione, già prevista per situazioni eccezionali fuori dal controllo dei governi, potrebbe essere formalizzata nel cosiddetto "Libro bianco sulla difesa", atteso per le prossime settimane.

In concreto, ogni Stato interessato a finanziare l'aumento delle spese militari in deficit dovrebbe presentare una richiesta alla Commissione, che emetterebbe un parere in merito. Spetterebbe poi al Consiglio dell'UE, con voto a maggioranza qualificata, approvare o respingere la proposta.

Onere condiviso o responsabilità individuale

Il problema principale resta però la disomogeneità tra gli Stati membri: i Paesi con conti pubblici più solidi, infatti, potrebbero non aver bisogno di deroghe e difficilmente accetteranno un sistema che favorisca solo i governi più indebitati. Questo squilibrio alimenta un crescente malcontento: alcuni leader europei, come il ministro francese Éric Lombard, ritengono che il peso della difesa debba essere equamente ripartito, in modo da garantire un'autonomia strategica comune. Altri, invece, come il ministro spagnolo Carlos Cuerpo, suggeriscono invece di sfruttare strumenti finanziari già esistenti, come, per esempio, la Banca Europea per gli Investimenti o il Meccanismo Europeo di Stabilità, per sostenere le spese militari senza creare nuove forme di indebitamento congiunto.

Il nodo del debito comune

Tra le soluzioni sul tavolo, rimane esclusa, almeno per il momento, l'ipotesi di un debito pubblico comune, simile a quello introdotto con il Recovery Plan. Questa prospettiva è stata respinta con fermezza dai Paesi cosiddetti "frugali", (cioè Austria, Danimarca, Svezia e Paesi Bassi), in questo caso in particolare dai Paesi Bassi, che temono che un simile strumento non faccia altro che rinviare il problema, lasciando alle future generazioni il peso del debito accumulato. Alcune dichiarazioni recenti lasciano tuttavia intravedere possibili aperture: la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, ha evocato la necessità di un "pacchetto finanziario per la sicurezza europea" sul modello delle misure straordinarie adottate durante gli anni della pandemia di Covid-19. Resta da vedere se questa proposta troverà spazio nelle future trattative, soprattutto dopo le elezioni tedesche, che potrebbero ridefinire gli equilibri politici interni ed europei.

L'Italia e il peso della spesa militare

Nel frattempo, l'Italia ha già avviato un significativo incremento delle spese militari: nell'ultima legge di bilancio, il governo Meloni ha destinato complessivamente 32 miliardi di euro alla difesa, di cui 13 miliardi per l'acquisto di armamenti. Se si volesse raggiungere l'obiettivo del 5% del PIL in spese militari, come auspicato da Washington, l'Italia dovrebbe destinare fino a 100 miliardi di euro all'anno alla difesa, con ben 80 miliardi esclusivamente per l'acquisto di mezzi e armamenti.

Secondo l'Osservatorio Mil€x sulle spese militari italiane un tale aumento delle spese comporterebbe anche la necessità di reperire 480mila nuovi soldati, con evidenti conseguenze sul bilancio pubblico e sulla sostenibilità economica del Paese.

Non solo, nelle ultime settimane il governo italiano ha proposto anche di modificare la legge 185 del 1990, cioè quella che regola l'export di armi italiane e che oggi impone trasparenza e controlli sulle vendite all'estero. La riforma, criticata duramente da associazioni ed esponenti dell'opposizione come Pd, Avs e M5S, ridurrebbe il controllo parlamentare e gli obblighi per le banche di comunicare le operazioni finanziarie legate all'export, rendendo così più difficile tracciare i flussi di armamenti.

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