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Guerra in Ucraina

Perché l’Italia ha ceduto le sue scorte petrolifere a causa dell’invasione russa in Ucraina

L’Italia ha aderito alla proposta dell’Agenzia internazionale dell’Energia, di rilascio coordinato di una quota delle proprie scorte petrolifere, per tentare di stabilizzare i mercati, dopo l’invasione della Russia.
A cura di Annalisa Cangemi
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Nuove contromisure del governo per il caro energia. Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha dato il via libera all'adesione dell'Italia alla proposta, su base volontaria, di rilascio coordinato di una quota delle scorte petrolifere promossa dall'Iea, l'Agenzia internazionale dell'Energia, con un contributo di 2,041 milioni di barili – pari a 68,7 barili al giorno per 30 giorni.

L'iniziativa nasce con lo scopo di ridurre il picco di prezzi che si sta registrando in questi giorni a causa dell'invasione russa dell'Ucraina. Il nostro Paese è tra i 31 paesi membri dell'Aie, che hanno programmato di mettere a disposizione un totale di 60 milioni di barili dalle riserve di greggio di emergenza proprio per stabilizzare i mercati, dopo l'attacco russo. Il ministro dell'economia tedesco Robert Habeck ha detto mercoledì che "in tempi come questi, è importante agire all'unisono". Si tratta della quarta volta che le riserve sono state rilasciate in modo coordinato. L'ultima volta fu nel 1991, durante la guerra in Iraq. Una nota dell'Agenzia ieri ha spiegato che l'intento è quello di inviare "un messaggio unificato e forte ai mercati mondiali del petrolio che non ci saranno carenze di approvvigionamento a seguito dell'invasione della Russia in Ucraina". 

Per l'Italia in questo caso si tratta di circa 277mila tonnellate di greggio che comprendono, oltre alla quantità standard stabilita, anche un ulteriore +25% a copertura della quota di quei paesi che non hanno aderito. La decisione arriva a conclusione della riunione straordinaria della Iea di cui l'Italia fa parte insieme ad altri 30 paesi. Parte dei 60 milioni totali di barili messi a disposizione potrà essere indirizzata verso l'Ucraina per far fronte alle carenze di energia di Kiev.

Sette giorni di offensiva russa in Ucraina, con le conseguenti sanzioni inflitte dalle forze occidentali – anche se i prodotti energetici per ora non sono colpiti direttamente da sanzioni economiche – hanno portato a un aumento del prezzo delle materie prime, soprattutto petrolio, gas, metalli, grano – di cui Ucraina e Russia sono grandi produttori – con effetti immediati su bollette e benzina. Il prezzo delle materie prime aumenta perché si teme che gli scontri possano danneggiare i gasdotti e le forniture fisiche di petrolio che arrivano dalla Russia, da cui l'Europa è ancora dipendente: basti pensare che il 40% del gas arriva dalla Russia (un quarto del quale passa dall'Ucraina) e Mosca è anche il principale fornitore di petrolio dell'Europa.

Intanto l'Opec+, l'alleanza di 23 nazioni produttrici di petrolio guidata da Arabia Saudita e che include la Russia, ha mantenuto per aprile il piano di graduale aumento della produzione di greggio a 400 mila barili al giorno, di fatto non considerando gli effetti del conflitto in Ucraina. Un aumento della produzione di greggio avrebbe potuto forse attenuare questa impennata. La decisione è stata bollata come "irresponsabile" dal presidente dell'Unione Nazionale Consumatori. Intanto i prezzi del barile hanno ulteriormente accentuato il loro rialzo: il Wti americano è salito a 112,51 dollari, record dal 2013, mentre il Brent del Mare del Nord ha raggiunto 113,94 dollari, massimo dal 2014.

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