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Perché in Italia i salari reali sono crollati e sono più bassi del 2008

Dal 2008 al 2024 i salari reali in Italia si sono abbassati parecchio: più che in tutti gli altri Paesi del G20. Lo scorso anno c’è stato un miglioramento, ma non è bastato a compensare il calo del 2022 e 2023. Tra i motivi ci sono la bassa produttività e l’inflazione, che ha colpito soprattutto i salari bassi. Lo fa sapere l’ultimo rapporto dell’Oil.
A cura di Luca Pons
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In Italia c'è una "dinamica salariale negativa" che ha fatto sì che i salari reali (cioè lo stipendio rapportato al costo della vita) siano più bassi oggi che nel 2008. Non solo, ma l'Italia ha il calo più brusco di tutti i Paesi del G20. Anche se lo scorso anno c'è stata una ripresa, questa non è bastata nemmeno a compensare il calo di perdita d'acquisto legato all'inflazione nel 2022 e 2023. Tra i problemi di lungo periodo dell'economia italiana c'è la bassissima produttività. Sono questi alcuni degli elementi emersi dal nuovo rapporto sui salari effettuato dall'Organizzazione internazionale del lavoro, pubblicato oggi.

Quanto sono scesi i salari reali in Italia dal 2008 a oggi

Guardando al lungo periodo, dal 2008 al 2024 l'Italia ha visto una discesa dei salari reali pari all'8,7%. Questo non significa che gli stipendi siano scesi in sé, ma che il costo della vita è cresciuto più in fretta, e quindi ha reso i salari più ‘poveri' perché possono acquistare meno beni con la stessa cifra. Un calo c'è stato in questo periodo anche in Giappone (-6,3%), in Spagna (-4,5%) e nel Regno Unito (-2,5%). L'incremento maggiore c'è stato in Corea del Sud, con addirittura un +20%, ma anche in Germania, con un aumento del 15% circa, negli Stati Uniti e in Francia (attorno al 10%).

Concentrandosi solo sugli ultimi anni, le cose cambiano poco. Nel 2022 e nel 2023, soprattutto a causa della fortissima inflazione, i salari reali sono scesi rispettivamente del 3,3% e del 3,2%. Va detto che lo scorso anno c'è stata un'inversione: una crescita del 2,3%, meglio rispetto alla media dei Paesi con economie avanzate nel G20. Questo passo avanti, però, non è bastato a compensare nemmeno il calo dei precedenti due anni, e quindi tanto meno quello accumulato dal 2008 in poi.

Perché gli stipendi in Italia non hanno compensato la crisi dei prezzi

Una differenza tra l'Italia e alcuni degli altri Paesi del G20 è che non esiste un salario minimo legale. Per stabilire i pagamenti minimi di ciascun settore si fa riferimento ai contratti collettivi, che infatti sono moltissimi. Secondo l'Organizzazione internazionale del lavoro, in Italia negli ultimi dieci anni gli stipendi nominali (cioè senza tenere conto del costo della vita, solo della somma pagata) sono saliti del 15%. Peccato che però, in termini reali, ci sia stato un calo di oltre cinque punti.

Guardando solo alle somme previste dai contratti collettivi, i salari reali sono rimasti abbastanza stabili fino al 2021. Poi però l'aumento dell'inflazione ha colpito, e c'è stato un rapido calo. Dalla fine del 2022 hanno ripreso a crescere, ma sono rimasti comunque al di sotto del livello che avevano raggiunto nel 2015.

È anche per questo che la crisi dell'inflazione tra il 2022 e il 2023 ha avuto un "effetto particolarmente severo in Italia", spiega il rapporto. In molti Paesi non ci sono state misure sufficienti a compensare il calo di potere d'acquisto dei lavoratori: la Francia non ha alzato il salario minimo, la Germania non l'ha aumentato a sufficienza. La Spagna è stata un'eccezione, e qui il "graduale aumento del salario minimo nominale a partire dal 2021 ha permesso di recuperare la perdita di potere d’acquisto subita".

L'inflazione ha colpito soprattutto quelle famiglie che devono spendere gran parte dei loro soldi per la spesa e gli altri beni di prima necessità. In Italia, l'aumento dei prezzi è stato più duro per gli alimentari e per gli alloggi (soprattutto le bollette) che per altri prodotti. E in questi settori l'inflazione è stata più dura che in altri Paesi. Insomma, il fatto che il costo della vita (specialmente dell'energia e della casa) sia aumentato così tanto mentre il sistema dei contratti collettivi non riusciva a stare dietro all'incremento ha contribuito al fatto che i salari reali si siano abbassati così tanto.

Il problema della produttività

Allargando lo sguardo a un periodo di tempo più lungo, come detto, l'Italia ha oggi salari reali più bassi che nel 2008. Una delle difficoltà storiche dell'economia italiana, dagli anni Novanta in poi, è la produttività, ovvero quanto si produce e quanto si spende per farlo. Dal 1999 al 2021, i salari reali medi sono saliti più di quanto sia cresciuta la produttività, in Italia. E questo è tutto dire, considerando che negli ultimi quindici anni i salari reali sono scesi di molto.

La bassa produttività – scesa del 3% tra il 1999 e il 2024, mentre nei Paesi ad alto reddito in media è cresciuta del 30% – aiuta anche a spiegare perché è stato difficile alzare gli stipendi dei lavoratori e delle lavoratrici. E, di conseguenza, perché il costo della vita si è ‘mangiato' gli aumenti di paga e il salario reale è calato.

Secondo l'Oil con la ripresa post-Covid (dal 2022 in poi) in Italia la produttività è cresciuta più dei salari reali. Questo può essere poco significativo considerando che nel 2022 e nel 2023 i salari reali sono crollati a picco per colpa dell'inflazione, ma è comunque un dato che potenzialmente positivo. Anche se resta il fatto che da quasi due anni la produzione industriale è in crisi.

L'uguaglianza degli stipendi: donne e persone migranti prendono meno

Il rapporto dell'Organizzazione dedica una sezione anche alle disparità nei salari. Il divario di genere in Italia è tra i più bassi dell'Unione europea, da quanto risulta, anche se è comunque del 9,3%. Questo dato significa che, in media, una donna per un'ora di lavoro in Italia viene pagata il 9,3% in meno di un uomo.

Il gap potrebbe essere anche più basso se uomini e donne lavorassero la stessa quantità di ore, ma così non è: spesso le lavoratrici sono spinte a fare più uso dei congedi familiari, o al lavoro part time involontario. Lo ha segnalato poche settimane fa dall'Inps, che infatti calcolava una distanza ben maggiore tra uomini e donne (circa il 20%), dato che stimava la differenza paragonando le paghe mensili e non quelle orarie. Le donne sono pagate di meno per ogni ora, e in più lavorano meno ore, quindi di fatto le loro entrate sono molto più basse.

Un altro dato riguarda i lavoratori migranti: in media guadagnano il 26,3% in meno dei lavoratori italiani. Anche in questo caso, si parla di paga oraria. Un dato in peggioramento rispetto al 2006, quando era al 21,6%. Per le donne migranti, naturalmente, la situazione è la peggiore: la differenza è del 10,3% rispetto agli uomini migranti.

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