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Elezioni europee 2024

Perché l’estrema destra non aveva bisogno di vincere le Europee per controllare l’Ue

Chi guarda al nuovo Parlamento europeo potrebbe pensare che il pericolo dell’estrema destra sia scampato. Ma la verità è che la destra radicale ha egemonizzato le politiche europee da tempo, e l’arco politico si è già spostato di conseguenza. L’Ue ha approvato politiche reazionarie anche quando a votarle era una maggioranza ‘moderata’. Se questo non cambia, il controllo dell’Europa è già in mano alla destra estrema, senza bisogno di occupare le istituzioni.
A cura di Gloria Bagnariol
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La grande protagonista di queste elezioni europee è stata senza dubbio Giorgia Meloni. Non solo in Italia, dove il suo nome ha tappezzato muri e autobus di ogni città, ma anche in Spagna dove “Georgia” (un errore che perdonerà ai fedeli alleati di Vox) è stata l’ospite d’onore – insieme a Milei – del più grande meeting dell’internazionale reazionaria mondiale. O in Francia, dove Le Pen cerca di seguirne le orme per conquistare l’Eliseo, o a Berlino – che continua a sovrapporsi facilmente a Bruxelles – dove Manfred Weber e Ursula von der Leyen non hanno fatto mistero della loro disponibilità a una futura alleanza.

Ora, dopo la sbornia della notte elettorale, e l'hangover del giorno successivo, in molti tirano un sospiro di sollievo: conti alla mano l’estrema destra di Meloni (ECR) e di Le Pen (ID) non sono cresciute sufficientemente per garantire una maggioranza solida insieme alla destra tradizionale dell’EPP.  ECR ha conquistato quattro seggi, ID nove e i tre partiti insieme si fermano a 317, non abbastanza per la maggioranza fissata a 361 e ben lontani dal comodo 400 che raggiungono EPP, S&D (socialisti) e RENEW (liberali). Ma siamo sicure che sia sufficiente guardare al pallottoliere per analizzare queste elezioni?

È pur vero che i sondaggi ci hanno abituato ai loro fallimenti, ma che non ci sarebbero stati i numeri per formare l’alleanza destra-ancora più destra, era già stato ampiamente previsto. Eppure la paura della conquista di Bruxelles da parte dell’onda nera ha dominato la campagna elettorale in quasi tutti gli Stati membri. E adesso che abbiamo la certezza che la crescita è stata tutto sommato moderata e che gli eredi della fiamma tricolore e della falange franchista non occuperanno gli scranni più alti delle istituzioni Ue, rischiamo di cullarci nell’illusione di aver scampato un pericolo. Ma non è così. E la nostra preoccupazione non può essere rimandata al futuro, a un esercizio di calcolo sul rischio di avere in Germania Afd come secondo partito o Jordan Bardella primo ministro in Francia, deve invece basarsi sull’analisi del presente e del recente passato: su quello che accade dietro ai valzer di nomi e poltrone e sulle direttive che vengono approvate a Bruxelles con il favore della maggioranza che si auto-definisce ‘argine degli estremisti’.

Il Parlamento europeo sarà nuovamente gestito grazie all’alleanza di popolari, socialisti e liberali. I top jobs (presidenza di Parlamento, Commissione e Consiglio) saranno molto probabilmente divisi ancora una volta tra queste famiglie politiche. Ma a Meloni non serve – ancora – occupare queste istituzioni per governarle. Anzi. Per poter continuare a vivere della narrazione che l’ha fatta vincere e che la rende popolare, quella dell'underdog vittima del sistema, Meloni e l’estrema destra continueranno ad avere bisogno di un impalpabile e minaccioso nemico: e non c’è niente di più comodo che far esercitare questo ruolo a Bruxelles, mentre da dietro le fila se ne compongono le trame.

Manfred Weber e Ursula von der Leyen hanno festeggiato insieme da Berlino il risultato dell’EPP, che si conferma il più grande gruppo al Parlamento europeo, tendendo la mano ai soliti alleati e sostenendo che i popolari sono “il bastione contro gli estremisti di destra e di sinistra”. Eppure è proprio grazie alle loro scelte che l’estrema destra ha egemonizzato le politiche europee senza il bisogno di assumersene la responsabilità.

Per questo non stupisce che a meno di 48 ore dalla dichiarazione della coppia tedesca, Eric Ciotti, presidente dei repubblicani francesi (EPP), abbia annunciato l’accordo con Marine Le Pen per le prossime elezioni in Francia. Ancora prima, dal Belgio i liberali hanno timidamente aperto a un dialogo con gli estremisti dell’NvA, seguendo la linea già solcata in Olanda.

Il cordone sanitario non rischiava di spezzarsi questo 9 di giugno, è già saltato. E non è stato – solo –  per l’irruzione dei post/neo fascisti, ma per il lento e inesorabile spostamento di tutto l’arco politico.

La paura dell’arrivo dei barbari è stata agitata per far digerire accordi che altrimenti si svelerebbero per come sono, insostenibili e reazionari. E così in chiusura di legislatura la maggioranza democratica, quella di EPP, S&D e RENEW, ha dato il via a un patto di migrazione che cancella il diritto di asilo, ma che non sembra poi così male perché ECR e ID non lo hanno sostenuto a pieno. Il Parlamento ha approvato una direttiva sulla violenza di genere che non contempla lo stupro, ma che è stata celebrata come una grande conquista perché ECR e ID hanno votato contro. E visto che non c’era sufficiente volontà politica per far pagare agli extraprofitti delle multinazionali inquinanti il costo della riconversione ecologica, non ci sono state remore da parte dell’EPP di allearsi con l’estrema destra per fare della transizione verde il capro espiatorio di tutto ciò che non funziona.

Se l’obiettivo è quello di sostenere e rafforzare la democrazia, e non quello di assicurarsi la rispettabilità degli incarichi di governo, non possiamo accontentarci che ECR e ID rimangano ai margini delle istituzioni europee. Non basta, non serve. L’unico modo per invertire questa tendenza è smettere di essere terreno fertile dei rigurgiti e dei sogni reazionari. Se la democrazia è quella che esaspera le disuguaglianze economiche, lascia morire le persone nel mare e nel deserto, soffia sui venti di guerra e permette indisturbata il genocidio a Gaza, Meloni e i suoi fratelli d’Europa continueranno a vincere, anche se cambieranno nome.

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