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Perché le opposizioni hanno lasciato il Giurì d’onore sul caso Meloni-Conte e cosa può succedere ora

Il giurì d’onore era chiamato a valutare le accuse di Giorgia Meloni a Giuseppe Conte sul tema del Mes. A pochi giorni dalla consegna della relazione finale, però, i membri di Pd e Verdi-Sinistra hanno dato le dimissioni. Conte ha chiesto che il giurì venga sciolto, perché non permetterebbe di arrivare a una “ricostruzione imparziale”.
A cura di Luca Pons
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È finito nel caos il giurì d'onore che avrebbe dovuto giudicare lo scontro tra Giorgia Meloni e Giuseppe Conte avvenuto in Aula sul tema del Mes. I due componenti che rappresentavano le opposizioni, Stefano Vaccari del Pd e Filiberto Zaratti di Verdi-Sinistra, ieri non si sono presentati alla riunione prevista e hanno dato le dimissioni, con una lettera inviata sia al presidente della Camera Lorenzo Fontana che al presidente del giurì, Giorgio Mulè.

Il giurì era stato convocato, su richiesta di Conte, in seguito all'intervento di Giorgia Meloni sul Mes. Parlando in Aula alla Camera, la presidente del Consiglio aveva accusato Conte e il suo governo di aver approvato la riforma del Mes "con il favore delle tenebre", cioè dopo aver già dato le dimissioni. Un'accusa non supportata dai fatti, però, che Conte aveva definito "falsa e ingiuriosa". Così si era attivato il giurì d'onore, che ha proprio lo scopo di risolvere contese di questo tipo.

Il giurì è una commissione con funzioni limitate: può solo stabilire se l'onore di un deputato è stato effettivamente leso dalle parole di un altro, senza comunque prevedere sanzioni. È composta da tutti i principali partiti presenti in Parlamento, ad eccezione di quelli coinvolti nello scontro su cui bisogna decidere. In questo caso non ci sono, quindi, rappresentanti di Fratelli d'Italia né del Movimento 5 stelle. Il presidente è Giorgio Mulè, di Forza Italia. La relazione finale sul caso Meloni-Conte era attesa entro il 9 febbraio, ma proprio il suo contenuto ha portato alla rottura.

Dando le dimissioni, secondo fonti d'agenzia Vaccari (Pd) avrebbe scritto che nella relazione "sono prevalse motivazioni di ordine politico e interpretative che contrastano con la realtà dei fatti accertati", mostrando quindi "la volontà della maggioranza di avvalorare la versione accusatoria" di Meloni. Anche Zaratti ha insistito sul punto: "Se nella prima parte della relazione vi è una chiara ricostruzione dei fatti e dei documenti, che mostrano in modo inequivocabile la correttezza istituzionale e formale delle procedure parlamentari adottate" da Conte, "nella seconda parte si adducono motivazioni di ordine politico, finalizzate ad avvalorare le tesi accusatorie" di Meloni. Dunque, "la terzietà della commissione d'indagine è venuta meno".

Il presidente Mulè si è detto "sorpreso e amareggiato" dalle dimissioni. Il deputato di Forza Italia ha detto: "Mai e in nessuna occasione, mai e in nessuna forma, fin dalla prima seduta del 10 gennaio e per le successive sei, gli onorevoli Vaccari e Zaratti avevano manifestato alcuna lagnanza, sollevato alcuna protesta, presentato alcun reclamo". Tanto che il 6 febbraio, il giorno prima delle dimissioni, "si era arrivati a definire il novanta per cento del totale della relazione".

Gli altri componenti, Alessandro Colucci (Noi moderati) e Fabrizio Cecchetti (Lega) hanno aggiunto: "Fatichiamo non poco a comprendere le motivazioni delle dimissioni. Sino ad oggi, infatti, il confronto in commissione si era svolto in in clima molto positivo, di dialogo costruttivo".

Da parte sua, Giuseppe Conte ha velocemente scritto al presidente della Camera Fontana per chiedere che il giurì d'onore venga sciolto. Infatti, ha affermato il leader M5s, sarebbero "venuti a mancare i presupposti di terzietà e la possibilità di pervenire a una ricostruzione imparziale scevra da strumentali interpretazioni di mero carattere politico". Non si sa ancora se Fontana accoglierà questa richiesta, o se il giurì continuerà il suo lavoro negli ultimi giorni senza esponenti dell'opposizione.

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