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Opinioni

Perché le aggressioni a chi lavora negli ospedali sono il sintomo di un Paese ammalato grave

Oggi l’aggressione a Torino, alcuni giorni fa quella all’ospedale di Foggia. Sono migliaia le aggressioni fisiche e verbali contro gli operatori sanitari. Una campagna di violenza innescata da una delegittimazione delle professioni, e che non verrà sconfitta dall’esercito (anche se qualcuno vorrebbe farvelo credere).
A cura di Saverio Tommasi
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Sala operatoria: le aggressioni nei luoghi di emergenza sono sempre più frequenti
Sala operatoria: le aggressioni nei luoghi di emergenza sono sempre più frequenti

Si chiudono in una stanza e provano a serrare, con i mobili, la porta. Sono i medici che si sono rifugiati in una stanza, aggrediti dai parenti di una ragazza morta durante un'operazione. Si vedono anche in un video, girato tre giorni fa al Policlinico Riuniti di Foggia, mentre si buttano sui mobili provando a fare da peso, per evitare che i parenti della donna riescano a sfondare la porta.
Non è l'ultimo caso di aggressione, oggi – denunciati – almeno altri due: uno a Torino e l'altro sempre a Foggia.
Silvia D'Amario, coordinatrice statistica dell'Inail, afferma che nel 2022 i casi di violenze, aggressioni e minacce nei confronti del personale sanitario, sono stati 2.243, in aumento del 14% rispetto all'anno precedente. Oggi, nel 2024, i dati non sono migliori.

Facciamo un passo indietro. Alcune delle mani che applaudivano il personale sanitario degli ospedali, dai balconi durante il Covid, fra un inno nazionale e un "ne usciremo migliori", sono le stesse che poi hanno distrutto i Pronto soccorso e le ambulanze negli anni successivi. I canti dai balconi in troppi casi si sono trasformati in insulti, molestie, aggressioni verbali. E le aggressioni verbali in aggressioni fisiche.

Facciamo un altro passo indietro: il medico condotto era un medico dipendente del Comune, attivo alla seconda metà del secolo scorso, che prestava assistenza sanitaria gratuita ai poveri, e teneva invece un tariffario per le persone che potevano permettersi di pagare le visite. In Italia la prima persona di sesso femminile a ricoprire il ruolo di medico condotto si chiamava Adelasia Cocco, siamo nel 1914. Altri tempi, anche se oggi il principale sindacato dei medici ospedalieri, Anaao Assomed, registra che il 75,4% delle persone aggredite nei reparti emergenza, perciò triage e pronto soccorso negli ospedali, è donna.

Sono però tutte le professioni e i generi che lavorano nella cura delle persone, all'interno degli ospedali, a rischiare aggressioni e violenze, fisiche e verbali. La parola emergenza è abusata e svilita nel suo utilizzo, e relega poi la storia all'eccezionalità di un periodo specifico, per questo non la userò. Quello a cui assistiamo sono invece aggressioni al personale sanitario che aumentano in modo costante, ormai prevedibile, negli ultimi anni. Eppure la conseguente fuga dalle professioni, o la mancanza di tranquillità nel loro esercizio, sono il problema principale anche di tutte le persone che hanno necessità di essere curate, e dei loro parenti.

Il Servizio sanitario nazionale sta vivendo il periodo più drammatico della sua storia. I tagli sono a tutti i livelli, Governo e Regioni. L'idea del risparmio attraverso il contenimento della spesa, ha portato a tagli lineari di cui tutti viviamo le conseguenze. La compressione delle possibilità "per un cittadino comune" di curarsi in modo adeguato, hanno alzato il livello di odio proprio nei confronti di chi – per professione – cura le persone. Rivalsa, rabbia, l'idea di essere stati estromessi da quello che ormai viene ritenuto un privilegio e non un diritto: la cura con risorse pubbliche. Questo è uno dei motivi di rancore verso le professioni sanitarie, ma lo dico con chiarezza: non c'è niente che possa giustificare un'aggressione, anche perché si tratterebbe comunque di un bersaglio sbagliato.
I medici e il personale sanitario non sono santi, anzi, per quello che mi riguarda non sono mai stati neanche eroi. Essere eroi significa restringere la categoria, significa concedersi in modo totalizzante senza poter chiedere niente in cambio perché, appunto, si è "eroi". E gli eroi possono sopportare tutto, anche le aggressioni. Invece sotto i camici non ci sono eroi, ma persone. Esseri umani fragili e meravigliosi che ogni giorno si sono emozionati e spesso hanno pianto, durante il Covid. E che oggi sono massacrati, tra l'altro, anche dai turni di lavoro.
Ci sono anche medici incapaci di comunicare, o che compiono errori, certo. Ma in nessun caso far diventare una categoria un bersaglio, può salvarci. La salvezza sta nella cura e in chi la pratica, non nel suo attacco.

A marzo 2023 l'81% del personale medico raccontava di aver subito almeno un'aggressione nella propria vita lavorativa.
Le violenze contro medici e infermieri sono compiute nella metà dei casi (51,3%) direttamente dai pazienti, mentre i parenti sono responsabili del 43,3% delle violenze contro chi presta servizio nei reparti sanitari, soprattutto coloro che lavorano in Pronto soccorso.

Torniamo al medico condotto: raggiungeva il malato anche nei paesi di montagna più impervi, se la persona malata non era in grado di scendere a valle. Per tutta la metà del secolo passato, il medico condotto si muoveva prevalentemente a piedi, pochissimi a cavallo, molti di più sul mulo o sull'asino. In pianura, in bicicletta. Qualche volta era chiamato a fare da padrino a bambini che aveva visto nascere, e spesso veniva invitato come testimone di nozze.
Ma nessuno, oggi, può seriamente avere nostalgia del medico condotto in sé. Tutto quel rispetto verso il laureato era anche il simbolo di classi sociali destinate a non toccarsi, a restare una sopra e l'altra sotto. Era rispetto, ma anche senso di inferiorità.

Oggi non siamo più soggiogati, ma la società si comporta da stupida. Abbiamo interrotto un patto sociale verso il personale sanitario e il personale scolastico. Quando medici e mediche, insegnanti, vengono umiliati, messi in pericolo, dobbiamo capire che chi lo fa sta mettendo in pericolo anche noi, ognuna e ognuno di noi. Le nostre figlie. Non è una disputa personale l'aggressione a un infermiere durante l'attesa in un Pronto soccorso, ma un fatto collettivo di ingiustizia che peggiora il servizio stesso.
Non è invocando l'esercito che si ristabilisce un patto sociale, sia chiaro. Non abbiamo bisogno di soldati al Pronto soccorso. Abbiamo bisogno di più figure fra i dipendenti sanitari, abbiamo necessità di imparare a dire grazie e a rispettare i ruoli. Abbiamo necessità di imparare a chiedere, ma noi dobbiamo imparare ad ascoltare.
Abbiamo bisogno di imparare a capire che pagare bene e meglio chi svolge una professione sanitaria non è un obbrobrio, e che i turni massacranti sono un problema per chi è costretto a farli, ma anche per tutti gli altri.

Il personale sanitario non è un antagonista delle nostre vite, ma svolge un ruolo centrale in quella commedia un po' tragica chiamata vita. Forse, potremmo ripartire proprio da questa semplice consapevolezza.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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