56,06%. È questa la vera percentuale che tutti i partiti – vincenti o perdenti – devono tenere a mente, nelle analisi a mente fredda del voto amministrativo del 17 e 18 ottobre 2021. È il numero degli elettori aventi diritto che hanno disertato i ballottaggi, ed è un numero che non si era mai visto prima, peggiore di quello dei “primi turni” di due settimane fa, che era a sua volta di molto peggiore rispetto a quello delle tornate precedenti del 2016, che a loro volta avevano già fatto registrare un forte calo nel numero dei votanti.
È un numero che dovrebbero tenere a mente tutti, dicevamo, e che temiamo tuttavia non terrà a mente nessuno. Qualcuno lo rubricherà alla voce degli inevitabili processi storici – figli della fine della guerra Fredda e del tramonto delle ideologie novecentesche – che qua come altrove portano sempre meno persone alle urne, non da ieri. Qualcun altro – a sinistra – cercherà di nascondere il dato per non sminuire l’entità della propria vittoria. Qualcun altro ancora – a destra – cercherà di depotenziarlo, per non ammettere di non essere riuscito a mobilitare il proprio elettorato.
Eppure, per quanto possa essere disturbante farci i conti, la diserzione del voto delle periferie è molto più di tutto questo. È il sintomo di un malessere che non trova sbocchi, di un “voto contro” potenziale che non trova nessuno ancora pronto a rappresentarlo. Non lo rappresenta il Partito Democratico che approfitta dell’astensione nei quartieri periferici e tra i ceti popolari, senza riuscire a conquistarli. Non lo rappresenta (più) il Movimento Cinque Stelle che viene ormai percepito come un pezzo di quell’establishment che prometteva di aprire come una scatoletta di tonno e che sostiene placidamente, in Italia e in Europa. Non lo rappresenta la destra di Lega e Fratelli d’Italia, che non si capisce più da che parte stia, se con Draghi o contro, se con il Green pass o contro, se con l’Europa o contro.
Il dato politico di oggi è che nessun partito, da destra a sinistra, è in grado di comprendere che senso abbia quest’astensione delle periferie delle grandi città, né tantomeno è in grado di rappresentarla. Se c’è una regola, in politica, è che i vuoti si riempiono. Ed è fisiologico che da qui al 2023 qualcuno riuscirà a capire cosa davvero stia bollendo in pentola nei quartieri popolari e quali siano le corde per mobilitare di nuovo quell’elettorato. Dovrà provarci il centrodestra di Salvini e Meloni che proprio sulla rabbia e sul rancore delle periferie delle grandi città e della provincia, periferia del Paese, ha costruito i suoi più recenti successi elettorali. Dovrà provarci il centrosinistra, consapevole del fatto che forse si può conquistare un municipio col voto delle Ztl dei capoluoghi, non di certo una Regione, tantomeno il governo del Paese.
La regola aurea della recente politica italiana racconta però che è più facile che la risposta arrivi altrove, da forze politiche che nascono proprio per riempire un vuoto di rappresentanza. E che è facile che questa accada quando c’è un governo tecnico sostenuto da un’ampia maggioranza. Successe con Ciampi nel 1994, quando a trionfare fu la neonata Forza Italia di Silvio Berlusconi. E successe pure con Monti nel 2013, quando si registrò il primo clamoroso exploit del Movimento Cinque Stelle. Partiti avvisati, mezzi salvati.