Perché l’accordo Ue-Egitto sui migranti non è per niente un “cambio di passo” come dice Meloni
Ieri, al Cairo, è arrivata la firma del memorandum di intesa tra l'Unione europea e l'Egitto del presidente Abdel Fattah al-Sisi, che riguarda anche le persone migranti. Nella delegazione dell'Ue c'era anche Giorgia Meloni, che ha definito l'accordo "storico" e si è concentrata anche sull'effetto che dovrebbe avere sulle migrazioni. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, ha detto a Fanpage.it che l'accordo è tutt'altro che storico: continua nell'ormai lunga tradizione di finanziamenti a Paesi che violano i diritti umani, che però non risolvono alla radice i problemi. È giusto dialogare con l'Egitto, ha detto Noury, anche perché è un attore importante nella crisi israelo-palestinese, ma non si può fare dimenticando le violazioni dei diritti umani. E neanche ignorando la mancata cooperazione nel caso Regeni.
Su 7,4 miliardi di euro che l'Europa metterà in campo per l'Egitto, 200 milioni sono dedicati alla gestione dei flussi di persone migranti. Come giudicate questa iniziativa?
Quella parte dell'accordo è un finanziamento diretto a violazione dei diritti umani. È lo stesso schema che si ripete dal 2016, con l'accordo che l'Unione europea fece con la Turchia, seguito poi da vari accordi tra singoli Stati, come l'Italia con Libia e Tunisia. Ora il modello si ripete: per l'ennesima volta vengono finanziate attività di uno Stato della sponda Sud del mediterraneo volte a impedire le partenze di richiedenti asilo e rifugiati. Questo avviene in spregio ai diritti umani.
Giorgia Meloni ha detto che si tratta di un accordo "storico" e ha rivendicato ancora una volta il "cambio di passo" dell'Unione europea per quanto riguarda i flussi migratori.
A me sembra che ci sia una perfetta linea di continuità, più che un cambio di passo. Questi accordi, con i finanziamenti in aiuti, attrezzature, formazione… non impediscono le partenze. Le rendono solo più pericolose e più mortali.
Che effetto avranno questi accordi in Egitto?
A prescindere da questo accordo l'Egitto aveva già suscitato molte preoccupazioni da parte di Amnesty International e del Parlamento europeo, perché il trattamento delle persone che si trovano nel territorio egiziano non è conforme agli standard internazionali. Ci sono persone vengono trattenute in condizioni crudeli in attesa di decidere il loro destino. In altri casi, vengono rimpatriate sommariamente senza una procedura adeguata. Ora il rischio è che, arrivati altri soldi per fare queste azioni contrarie ai diritti umani, le cose vadano persino peggio.
In Egitto ci sono circa 9 milioni di persone rifugiate, soprattutto da Siria e Sudan. È giusto che l'Ue intervenga? E se sì, come dovrebbe farlo?
Con una forma di cooperazione che sia basata sul rispetto dei diritti umani. È ovvio, soprattutto nell'ultimo anno con il riaccendersi della guerra in Sudan, che l'Egitto si è trovato di fronte un onere molto molto grosso. Però gli Stati che ricevono una grossa pressione di flussi di richiedenti asilo vanno aiutati a gestirli con dignità e rispettando diritti, non soltanto nella fase in cui si decide del loro destino, ma anche nella fase in cui viene accordata una protezione. Altrimenti, se la cooperazione non si basa sui diritti – dunque sull'assistenza e l'accoglienza in maniera dignitosa – il rischio mi sembra evidente.
Cioè?
Che poi le persone non cerchino di starci più, in Egitto. Cercano dei luoghi più sicuri. Così, una cooperazione che non è basata sui diritti internazionali produce esattamente quei fenomeni che poi si vorrebbe delegare ad altri perché non accadono. Un cortocircuito paradossale. A dimostrazione che quando si investono soldi per contribuire a violare i diritti umani il risultato non è mai quello atteso.
La scorsa estate l'Unione europea ha siglato un altro accordo, quello con la Tunisia. Il ministro Piantedosi di recente ha affermato che dall'inizio dell'anno le autorità tunisine hanno fermato 19mila persone migranti prima che attraversassero il Mediterraneo. Significa che funziona?
Prima di tutto, ricordiamo che nel periodo immediatamente precedentemente l'accordo le politiche xenofobe e le narrazioni razziste del presidente Kais Saied avevano fatto accelerare le partenze. Quindi noi stavamo pagando la causa delle partenze perché non facesse partire. Di nuovo, un cortocircuito. Dopodiché, dichiarare vittoria basandosi solo su qualche numero può funzionare a livello politico, ma io guarderei anche a un altro numero: quello delle persone che muoiono in mare. Forse è un po' più rilevante per fare un bilancio umano di tutta questa lunga, lunghissima stagione di accordi per impedire le partenze. In più, c'è un aspetto più generale di cui tenere conto, come ci spiega chi valuta i fenomeni non in base ai singoli numeri ma alle tendenze.
Quale?
Finché le migrazioni sono affidate alle imprese criminali – perché non c'è un modo diverso per poter cercare un luogo sicuro – sono queste imprese criminali che vedono qual è la rotta più efficace. Se dalla Tunisia non si parte, come è emerso recentemente in maniera molto chiara, si sceglie una rotta diversa: si parte da più in basso e si va verso le Canarie. Verrà chiusa poi la rotta con le Canarie e se ne riaprirà un'altra.
Avere un buon rapporto con l'Egitto è importante ora che la crisi in Palestina sta degenerando?
In tutti i precedenti conflitti tra Israele e Hamas, l'Egitto ha sempre svolto un ruolo di negoziato per raggiungere un cessate il fuoco. In tutte le precedenti occasioni, c'era riuscito in un periodo di tempo minore e con un tributo di sangue minore. Se l'Egitto può usare la sua influenza nei confronti di entrambe le parti per fermare questo massacro, è bene che venga spronato a farlo, anche da parte dell'Unione europea. Però non può esserci uno scambio. Si chiede all'Egitto di fare qualcosa in favore dei diritti (come sarebbe patrocinare un cessato il fuoco), ma non ci si può dimenticare che in quel Paese i diritti sono violati: torture, sparizioni forzate, decine di migliaia di prigionieri politici, l'uso costante della pena di morte, oltre al tema dell'immigrazione.
La presidente Meloni ha sbagliato a parlare del caso di Giulio Regeni in termini così vaghi?
Il calendario ci ha messo davanti una situazione particolare: l'incontro tra la delegazione dell'Unione europea e al-Sisi è avvenuto ventiquattro ore prima dell'udienza del processo che vede imputati in contumacia quattro funzionari dei servizi egiziani. Stride molto il fatto che un giorno si sorvola quasi sul tema, e poi il giorno dopo c'è un processo che va avanti nonostante la mancata collaborazione delle autorità egiziane. Dal 2016 a oggi, con governi di segni diversi e compreso l'attuale, le cose sono andate avanti sempre nello stesso modo: ricucire la crisi quando c'è stata, perfezionare i rapporti, migliorare la cooperazione in spregio ai diritti. Poi si adotta questo modo di fare che vorrebbe rassicurarci che è stato preteso dall'Egitto il massimo impegno. In realtà continua a mancare la collaborazione, forse perché non la si chiede in maniera perentoria.