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Perché la trasformazione dei medici di famiglia in dipendenti del Ssn è un favore alla sanità privata

La bozza di riforma, chiesta da alcune Regioni al governo, che prevede il passaggio dei medici di famiglia da liberi professionisti in un regime di convenzione ad un regime contrattuale di dipendenza diretta dal Ssn, non piace ai sindacati. Ma non convince neanche il ministro della salute Schillaci. La discussione però è ancora aperta e il testo, di cui si conoscono pochi dettagli, non è ancora definito.
A cura di Annalisa Cangemi
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La riforma che dovrebbe decretare il passaggio dei medici di famiglia al Servizio sanitario nazionale come dipendenti è più lontana di quanto non si pensi. Il ministro Schillaci sarebbe "irritato", secondo quanto apprende Fanpage.it, per le anticipazioni uscite lunedì sul Corriere della Sera, su una riforma che è ancora lavorazione ma che sicuramente non è ancora definita e che non lo convince del tutto. Del resto la bozza di riforma del settore della Medicina generale, che dovrebbe cambiare il rapporto dei medici di famiglia con il Ssn, non è stata nemmeno visionata dai sindacati dei medici, che chiedono di essere coinvolti in un tavolo tecnico, per poter esprimere un parere sulle criticità che un cambiamento epocale come questo si porterebbe dietro.

La riforma dei medici di famiglia in breve

L'idea che i medici di famiglia passino da liberi professionisti in un regime di convenzione ad un regime contrattuale di dipendenza diretta dal Servizio sanitario nazionale, non è nuova. Del tema della riorganizzazione della Medicina di famiglia se ne discute ormai da anni, fin dal governo Draghi, con Speranza ministro della Salute. E i sindacati, come la Federazione dei Medici di Medicina generale (Fimmg) e la Federazione degli Ordini dei Medici (Fnomceo), hanno sempre espresso la loro ferma contrarietà, per diverse ragioni, legate soprattutto al rapporto fiduciario tra medico e paziente, che con questa riforma verrebbe alterato.

La proposta nasce dalla necessità di rendere operative le 1350 case di comunità con fondi del Pnrr (2 miliardi di stanziamenti) che al momento sono edifici vuoti, privi di personale: per garantirne il funzionamento, i cittadini dovrebbero trovare dei medici di famiglia o specialisti a disposizione dalle 8 del mattino alle 20 di sera. Le ore di lavoro settimanali per i medici di famiglia diventerebbero 38, a fronte del minimo garantito oggi, che oscilla tra le 5 e le 15 ore, a seconda del numero di pazienti.

Secondo quanto riporta il Corriere della Sera, una volta entrata in vigore la riforma, il medico di base dovrebbe alternare l'attività rivolta ai propri assistiti, coniugandola con quella messa a disposizione di tutti, seguendo le indicazioni e i bisogni del suo distretto sanitario. Secondo i documenti visionati dal quotidiano, la riforma interesserà i nuovi assunti, mentre chi esercita già la sua attività rimarrebbe un libero professionista, a meno che non sia lo stesso medico di medicina generale a chiedere di passare a un rapporto di impiego.

Un progetto di riforma esiste, anche se la bozza resta riservata, e nemmeno alcuni presidenti di Regione, che sono i diretti interessati, l'hanno visionata. La riforma, che dovrà essere discussa in Conferenza delle Regioni, è spinta da alcuni governatori, in particolare quelli di Lombardia e Lazio, Fontana e Rocca, con l'avallo, anche se non esplicito, di Zaia, presidente del Veneto. Sono loro a fare pressioni sul ministro, per risolvere il problema dell'assenza di personale per le case di comunità, e al contrario di quanto emerso negli ultimi giorni dalla stampa, Schillaci non sarebbe convinto del fatto che la strada del regime contrattuale di dipendenza sia la soluzione migliore per una riorganizzazione del sistema territoriale.

A favore del progetto nella maggioranza si è schierato Antonio Tajani, e Forza Italia la scorsa settimana ha presentato anche una proposta di legge, che stabilisce che i medici del Ruolo Unico di assistenza primaria, cioè i medici di famiglia e guardie mediche, e i pediatri di base, sono convenzionati con il servizio sanitario in regime di parasubordinazione e garantiscono 38 ore di attività settimanali suddivise tra gli studi privati e i distretti sanitari che li impiegano anche presso le case di comunità.

Cosa pensano i sindacati dei medici di famiglia dipendenti del Ssn

Secondo il segretario della Federazione italiana dei medici di famiglia (Fimmg), Silvestro Scotti, che con il ministro Schillaci ha avuto un incontro proprio lo scorso venerdì, con una modifica di questo tipo, che irrigidirebbe il sistema, si penalizzerebbe innanzi tutto l'attrattività del ruolo del medico di base e soprattutto si farebbe un favore alla sanità privata.

Ci sarebbero una serie di problemi nell'applicazione delle nuove norme: "Per esempio, come si organizza la domiciliarità, con la dipendenza?", si domanda Scotti, contattato da Fanpage.it. "Oggi l'attività domiciliare la svolgo con la mia auto. Servirebbero mezzi messi a disposizione dalle Asl. E se non avessi la patente di guida? Non potrei più essere assunto".

Secondo Scotti il sistema convenzionato va mantenuto, non abolito "nei limiti di quanto viene definito nel contratto. Noi siamo comunque dipendenti, non nella visione gerarchica del soggetto datoriale tipico. Ma vorrei ricordare che i territori delle aziende non sono tutti uguali, la gestione del rapporto con la casa di comunità cambia da territorio a territorio. La soluzione migliore, proprio per la specificità di ogni territorio, è lasciare ai medici la possibilità di autorganizzarsi. E di certo l'elasticità e l'efficienza non si ottengono con un ordine di servizio".

Ma c'è anche un'altra questione: quando i medici di famiglia cambieranno ruolo giuridico, si succederanno in fasce orarie ben definite, e il cittadino non avrà più un rapporto privilegiato con il suo medico di base di riferimento. Verrà meno la relazione umana medico-paziente, e questo andrà a discapito anche delle politiche di prevenzione.

"Le 38 ore di cui si parla, sono un dovere, ma sono anche un diritto – dice Scotti – cioè al di fuori di quello spazio di tempo un medico, una volta diventato un dipendente, è legittimato a staccare. Oggi un medico di famiglia non ha orari. Fin da quando si è iniziato a parlare di questo nuovo sistema mi sono sempre dichiarato contrario", sottolinea Scotti. "Siamo passati da 47mila a 37mila medici di base in servizio, e i bisogni dei pazienti, che sono per la maggior parte over 60, sono aumentati. Questa popolazione non si accontenta della telemedicina e di fare le videochiamate, vuole ancora il contatto umano con il medico", ricorda Scotti.

Senza contare che per diventare dipendenti del Snn ci vuole comunque un concorso, e i tempi per bandirlo e far entrare a regime la riforma non sono certo brevi: "Un giovane neolaureato non avrà interesse a entrare in questo sistema, anche perché non potrà mai fare carriera. La differenza tra un medico convenzionato e un medico dipendente è proprio l'assenza di carriera per il primo. A meno che non si trasformi la formazione del medico di base in un corso di laurea specialistico, sulla falsariga di quello del medico ospedaliero. Ma non ci sarà attrattività nemmeno per un medico che ha già 6 o 7 anni di anzianità di servizio, perché passando al nuovo sistema, dovrebbe ripartire da zero", dice Scotti.

Stando ai contenuti della bozza uscita lunedì, in effetti si parla di novità per la formazione. In questo momento funziona così: per diventare medico di medicina generale, un medico neolaureato deve frequentare un corso di formazione triennale gestito dalle Regioni. La bozza del nuovo testo propone di trasformare questo corso in un corso di laurea specialistico di 4 anni.

Ma per il segretario Fimmg con questo nuovo modello contrattuale, c'è anche il rischio che un medico prossimo alla pensione, temendo che il suo assegno pensionistico possa essere messo a rischio dal brusco calo del flusso contributivo al suo ente previdenziale, determinato dal fatto che i nuovi dipendenti verseranno all'Inps non all'Empam, potrebbe scegliere di andare in pensione anticipatamente. In questo momento sono pensionabili ben 10mila medici.

"Non esiste un ente previdenziale che è in equilibrio senza le entrate di chi versa, rispetto a coloro che vanno in pensione. Ma se perdiamo i giovani e perdiamo i colleghi anziani di crea un buco, che poi verrà riempito dalle cooperative private, che già oggi sono attive per esempio sull'assistenza domiciliare per la parte infermieristica. Si arriverà al fenomeno del gettonismo anche per la medicina territoriale. Il sistema rischia di implodere, si va sul lungo periodo verso la scomparsa del Ssn per come lo conosciamo. E a rimetterci sarà il cittadino", spiega Scotti.

Se il problema è mettere in moto le case di comunità, il segretario Fimmg denuncia un'assenza totale di pianificazione da parte delle Regioni: ad aprile 2024 infatti è stato approvato il nuovo Accordo Collettivo Nazionale, al cui interno, a proposito di Medicina dei Servizi Territoriali, si trova la definizione e l'attuazione del cosiddetto Ruolo Unico all'interno delle Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT).

L'accordo del contratto firmato dalle Regioni, in particolare stabilisce che dal 1 gennaio 2025 i medici vengano inseriti con l'incarico di Ruolo Unico di assistenza primaria, incarico che comporta lo svolgimento sia di attività a ciclo di scelta, con la contestuale apertura di uno studio, sia di attività oraria da impiegare appunto nelle case di comunità. "Dopo la stipula, bisognava calare questo contratto nella programmazione aziendale e regionale degli ambiti e della rete, in modo coerente con l'organizzazione delle case di comunità. Questo non è un atto contrattuale, è un atto di programmazione nei territori che avrebbero dovuto fare le aziende e le Regioni", dice Scotti.

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