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Perché la riforma della scuola di Valditara rappresenta un pericolo per la democrazia

L’ex viceministra dell’Istruzione e vicepresidente della Camera Anna Ascani spiega perché la riforma voluta dal ministro Valditara “smantellerà la scuola democratica” e genererà “la peggiore forma di diseguaglianza possibile, quella che riguarda i bambini”.
A cura di Redazione
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Pubblichiamo di seguito un editoriale di Anna Ascani, vicepresidente della Camera

Parafrasando una nota e bellissima canzone di De Gregori si potrebbe dire "la scuola siamo noi". Sì, perché la scuola italiana è lo specchio del Paese e lo è da tempo. Ci sono le storie eccezionali dei docenti che vivono la propria come una vocazione, quelle di relazioni che generano inclusione e formano cittadini italiani a prescindere dal certificato di nascita. C'è anche, purtroppo, l'indebolimento dell'autorità che degenera in violenza, bullismo, prevaricazione. E c'è poi la burocrazia, lo strapotere delle circolari che regolano la vita di un organismo che per prosperare avrebbe invece bisogno di ossigeno, libertà, spazio.

La scuola siamo noi. E siamo noi anche perché quello che da adulti siamo diventati dipende molto dalla scuola, dagli insegnanti che abbiamo incontrato, dalla loro capacità di farci appassionare a qualcosa o dal loro averci fatto odiare qualcos'altro. E dipende dai nostri compagni di classe, da come abbiamo imparato a trovare il nostro spazio in quella piccola grande comunità che è il primo banco di prova (in tutti i sensi) di ogni bambino, al di fuori dell'ambiente familiare. Cosa che oggi vale ancora di più: tra famiglie sempre più composte di figli unici e la grande assenza dei “campetti” e dei luoghi nei quali costruire le "società dei piccoli", rimangono la scuola e le società sportive le uniche realtà nelle quali si impara il confronto tra pari, anche se pur sempre mediato dalla presenza degli adulti (e questo è un altro tema che andrebbe affrontato ma ci porterebbe troppo lontano).

In tutto questo si innesta il ministero di Valditara. Due anni e mezzo di puntuale lavoro per smantellare la scuola democratica, quella che ha resistito a tagli lineari e riforme calate dall'alto, che continua a lottare per formare cittadine e cittadini consapevoli e capaci di prendersi in carico il destino del Paese, di trovare il proprio posto nel mondo. Il ministero del merito di Valditara è quello che dimentica il bisogno e fa “parti uguali tra diseguali”, generando la peggiore forma di diseguaglianza possibile, quella che riguarda i bambini, che non hanno meriti o colpe nell'essere nati dove sono nati, in famiglie ricche e colte o tra gli ultimi del mondo e avrebbero anzi diritto di trovare nella scuola la propria opportunità di scoprire e coltivare il proprio irripetibile talento.

Valditara ha in testa una scuola elitaria e autoritaria, che non ha niente di autorevole e ha come obiettivo primario dividere: gli italiani da quelli che non lo sono formalmente, i buoni dai cattivi, i sufficienti dagli insufficienti. Non si spiega altrimenti l'ostinata volontà di tornare a usare questa terminologia alla scuola primaria, rivolgendosi a bambini di sette, otto, nove anni. Dei quali nessuno, nessuno, può essere davvero considerato "insufficiente" in un Paese civile.

E ha lo stesso significato la bocciatura legata al voto in condotta, salutata dai sostenitori del "si stava meglio quando si stava peggio" con un fragoroso quanto sciocco "finalmente". Perché ogni insegnante sa che un ragazzo in difficoltà che viene bocciato nella migliore delle ipotesi torna l'anno successivo, con un problema in più. Nella peggiore si perde per sempre e ingrossa le statistiche che più di tutte misurano lo stato di inciviltà di un Paese: quelle dell'abbandono scolastico.

A Valditara questo non interessa. E se è lui il peggiore ministro di questo pessimo governo è perché i suoi atti non sono dettati, come quelli di altri, da incompetenza o disinteresse. Il ministro sa benissimo quel che fa e quel che vuole fare. Non nasconde di ispirarsi a pensatori e scritti di qualche decennio fa, spesso animati dal disprezzo per le classi "minori", quelle non chiamate a essere dirigenti. Quelle a cui si può riservare un’educazione di qualità inferiore, perché li si considera inferiori e si pensa che tali debbano rimanere in funzione di un equilibro che è tale solo se ciascuno resta al proprio posto, le élite a fare le élite, il resto sotto.

Valditara sa quel che fa quando alla storia del mondo sostituisce la storia italica, quando insiste sul Latino (che c'era già, che già molte scuole avevano attivato nella medesima forma facoltativa), quando racconta la centralità dello studio dell'epica e della lettura della Bibbia. È lo scontro di civiltà che vuole alimentare, un'altra divisione, tra "noi e loro". E meno li conosciamo quei "loro" più sarà facile considerarli nemici e diversi. Nel mondo dei nazionalismi e delle oligarchie globali la ricetta di Valditara è chiara: ridurre la comprensione del mondo a una narrazione epica sul “noi” che ci renda tutti nostalgici di un passato glorioso col quale nessun futuro può davvero competere. E rendere nostalgici bambini e ragazzi è colpa grave, ma mi fa dire che in fondo anche questa scuola siamo noi, perché la scuola di Valditara somiglia all'Italia di Giorgia Meloni, ne è espressione e specchio e vuole essere il motore della sua conservazione.

C'è una speranza però, ed è in quella scuola che non si è mai piegata. Che ha riempito moduli e letto le circolari, senza mai rinunciare alla propria libertà, alla propria vocazione costituzionale. In molti hanno contestato questa resistenza, vedendo in essa solo una "coazione a ripetere" quasi inscalfibile. E per certi versi è vero che riformare la scuola è difficile anche per questo motivo.

Ma la capacità di resistere della scuola democratica di fronte all'attacco frontale di Valditara è la migliore notizia che abbiamo a disposizione. Solo che proprio ora che l'attacco è violento e, soprattutto, mirato e consapevole, la scuola ha bisogno di ascolto, di supporto, di una voce che la difenda. Questa è la missione più importante e delicata che abbiamo come Partito Democratico. Non solo opporci alla restaurazione di Valditara, non solo denunciarla. Ma rappresentare un'alternativa. Per fare questo abbiamo bisogno di essere nelle scuole – e dunque ben venga la mobilitazione. Ma anche di avere una nostra idea di scuola, a partire dall'investimento sui docenti e dalla sfida che le rivoluzioni in atto, soprattutto quelle tecnologiche, lanciano quotidianamente al loro delicatissimo mestiere. Dalla centralità del percorso di ogni studente. Dalla costruzione di legami sociali, di un noi che non sia più contrapposto a un "loro" ma solida radice per essere autentici cittadini del mondo.

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