Alla fine Ursula von der Leyen ce l’ha fatta, è stata rieletta alla presidenza della Commissione europea per altri cinque anni. La soglia della maggioranza era fissata a 360 voti, lei ne ha presi 401. Un risultato atteso, del resto. Von der Leyen era sicura di poter contare sui Popolari, i Socialisti e i liberali di Renew, che dopo averla sostenuta nella scorsa legislatura hanno trovato un accordo per un suo secondo mandato. Nonostante sulla carta avesse ampiamente i numeri necessari – al netto dei franchi tiratori, che ci possono sempre essere quando si parla di votazioni a scrutinio segreto – nei giorni scorsi von der Leyen ha cercato di assicurarsi una maggioranza ben più ampia, parlando faccia a faccia con le altre forze politiche. Unici esclusi, i Patrioti di estrema destra.
Questo tentativo di presentarsi come la presidente di tutti, di rappresentare tutto lo spettro politico (europeista e rispettoso dello stato di diritto, si intende) è trasparito anche dal suo discorso programmatico prima del voto. Un discorso in cui da un lato ha cercato di mandare un messaggio alle forze progressiste e ambientaliste – del resto i Verdi alla fine hanno deciso di sostenerla e votare a suo favore – ad esempio ribadendo gli impegni del Green Deal per raggiungere la neutralità climatica o annunciando che ci sarà un commissario per la Casa, per affrontare l’emergenza abitativa. Dall’altro, però, non sono mancate le aperture a destra, soprattutto in fatto di difesa dei confini e politiche migratorie. Von der Leyen ha messo in chiaro che i confini di un Paese sono i confini di tutta Europa e ha annunciato che aumenteranno gli agenti di Frontex, la Guardia costiera europea, e che ci sarà un commissario ad hoc anche per il Mediterraneo.
Parole che sembrano dirette proprio a Giorgia Meloni e ai suoi eurodeputati, nonostante la prima si sia astenuta in seno al Consiglio Ue sulla sua nomina e i secondi, dopo tentennamenti e riflessioni durate fino all'ultimo minuto, hanno votato contro in plenaria.
Da presidente del Consiglio e presidente della Commissione, Meloni e von der Leyen hanno lavorato a stretto contatto, con una collaborazione che entrambe le parti hanno sempre considerato positivamente. Ma ora proprio la rielezione di von der Leyen rappresenta una vera e propria disfatta per Meloni.
Le elezioni per il nuovo Parlamento europeo, che secondo la destra avrebbero dovuto risultare in una nuova maggioranza a Bruxelles sul modello italiano e in un netto cambio di passo, non sono andate come previsto. Le forze progressiste hanno resistito e i Popolari sono rimasti fedeli alla grande alleanza, con Socialisti e Renew. La nuova maggioranza di centrodestra non si è formata e i Conservatori, guidati proprio da Meloni, si sono trovati piuttosto isolati: da un lato non sono stati compresi nelle trattative sulle nomine per i top jobs, rimanendo fuori dalla maggioranza Ursula; dall’altro si sono trovati a non essere decisivi nemmeno all’opposizione, con il nuovo gruppo dei Patrioti ancora più a destra che è riuscito a riunire diversi partiti, tra cui alcuni dei principali alleati di Fratelli d’Italia, come Vox.
Insomma, se alcuni mesi fa il rapporto tra Meloni e von der Leyen poteva rappresentare qualcosa di positivo per il governo italiano, che rivendicava attenzioni di Bruxelles al nostro Paese senza precedenti, oggi le cose stanno in maniera un po’ diversa.
Per Forza Italia avere un esponente dei Popolari alla Commissione è sicuramente una vittoria, anche se simboleggia allo stesso tempo la distanza sempre più ampia con i due alleati al governo. Per la Lega, che alle elezioni europee ha visto confermarsi il tracollo di consenso rispetto alla tornata precedente, potrebbe essere una buona notizia, perché permette di fare opposizione interna, da Bruxelles, e provare a riconquistare quei voti che negli ultimi anni sono scivolati al partito di Meloni. Ma per Fratelli d’Italia non stare né all’opposizione, ma nemmeno in maggioranza, non è sicuramente una posizione comoda.