Perché la regolarizzazione dei migranti di Conte e Bellanova è un grande fallimento
Nelle intenzioni del governo, avrebbe dovuto risolvere le sofferenze di tanti migranti sfruttati e costretti in pessime condizioni di lavoro e di vita: i cosiddetti invisibili. Teresa Bellanova, ministro dell’Agricoltura, si era commossa nell’annunciare in conferenza stampa l’inserimento della misura nel decreto rilancio, dopo giorni di battaglie all’interno della maggioranza. Ma la "sanatoria" che ha rischiato di far saltare il governo, di fatto, sta raccogliendo risultati molto deludenti per diversi motivi. Si parlava di diverse centinaia di migliaia di lavoratori interessati, ma al Ministero dell’Interno sono arrivate solo 80mila domande. Il via è scattato il 1 giugno, inizialmente con un mese e mezzo di tempo per fare richiesta di regolarizzazione, poi la proroga al 15 agosto.
Gli ultimi dati del Viminale, aggiornati al 30 giugno, precisano che delle quasi 80mila domande inviate 69mila sono state accettate, le altre risultano in lavorazione. Tra quelle effettivamente perfezionate emerge un dato su tutti: l’88% riguarda lavoratori domestici. Precisamente sono 61.411: i collaboratori familiari sono 44.178, mentre i lavoratori che prestano assistenza a persone non autosufficienti, con patologie o handicap, sono 17.233. Di contro i dati sul lavoro subordinato, cioè ciò che riguarda agricoltura e pesca, sono impietosi: 8.310 domande accettate in un mese. La misura sta fallendo proprio nel suo punto cardine, quello che Bellanova, in lacrime, sottolineava due mesi fa: “Da oggi gli invisibili saranno meno invisibili. Da oggi vince lo Stato perché è più forte della criminalità e del caporalato”. Ma solo una minima parte dei braccianti agricoli è riuscita a ottenere la regolarizzazione.
Come si arricchiscono quelli che la legge voleva colpire
“C’è innanzitutto un grande problema”, spiega a Fanpage.it Ludovica Di Paolo Antonio, avvocato dell’associazione di volontari Baobab Experience, “il fatto che i datori di lavoro, quelli che impiegano le persone nei campi a 3 euro l’ora in Puglia, cioè quelli che il legislatore aveva in mente nel momento in cui scriveva questa sanatoria, non sono affatto intenzionati a farla”. Nel settore dell’agricoltura, “le persone disponibili a fare questa regolarizzazione sono pochissime”. Non solo, gli invisibili rischiano di diventare ancora più invisibili e ricattabili. “Si è creata una sorta di mafia per cui questi datori di lavoro chiedono non di essere rimborsati dei 500 euro della pratica, ma chiedono migliaia di euro”. Così il provvedimento viene “strumentalizzato da chi ci vuole lucrare, che poi sono gli stessi che li hanno sfruttati”.
Molti ragazzi “mi hanno detto di aver girato mezza Italia senza trovare qualcuno che facesse la sanatoria per meno di 7.000 euro – spiega l’avvocato – alla fine quelli che volevano colpire ci guadagnano”. Se veramente si voleva fare “qualcosa per tutelare i diritti umani, i diritti dei lavoratori, bisognava andare nei ghetti dove ci sono centinaia e centinaia di persone che alla luce del sole lavorano in condizioni disumane dormendo in capannoni di latta, nelle tende o sul prato”. I datori di lavoro non hanno nessun interesse nel regolarizzare i braccianti e hanno anche il coltello dalla parte del manico. “Bisognava mandare degli inviati del comune e delle questure dai caporali a dire: c’è la possibilità di fare una sanatoria, devi fare questo e quest’altro o tra una settimana ti arrestiamo e ti chiudiamo il campo”.
Un altro dato indicativo, ad esempio, è quello della ripartizione per province: in un mese sono state accettate 236 domande nella provincia di Foggia, 611 in tutta la Puglia. A Roma, dove di campi ce ne sono senz’altro molti meno, sono state 370. “In provincia di Foggia sono praticamente tutti braccianti, 236 persone non è niente, praticamente nulla – commenta Di Paolo Antonio – noi da Roma vediamo tantissima gente che parte per Foggia e cerchiamo di dissuaderli perché speriamo che possano trovare qualcosa di meglio, ma poi alla fine quando uno è disperato va a finire lì perché almeno si lavora, meglio 2 euro l’ora che niente, dicono”.
I problemi della regolarizzazione e dei richiedenti asilo
La sanatoria prevede due modalità di regolarizzazione: la prima è quella in cui serve il contributo del datore di lavoro, che stipula il contratto di soggiorno e paga un forfettario di 500 euro. La seconda modalità può essere presentata in completa autonomia da chi ha lavorato prima dell’ottobre 2019, il problema è dimostrarlo. “Abbiamo visto persone che hanno lavorato anche per 7/8 anni e non hanno la possibilità di provarlo tramite un contratto”, racconta l’avvocato. Questo è un grande problema per il settore di colf e badanti. “C’è chi è riuscito a farsi fare delle dichiarazioni scritte e firmate dai figli di persone per cui avevano lavorato, che nel frattempo erano morte, eppure hanno avuto problemi a finalizzare perché le Poste hanno contestato le domande”.
Poi ci sono i richiedenti asilo che già si trovano “in un girone infernale”, racconta Di Paolo Antonio, perché i permessi, a Roma, “non li danno in nessun caso”. Ma nel caso della sanatoria i richiedenti sono penalizzati in quanto “non del tutto irregolari”. È uscita una circolare del dipartimento sicurezza del Ministero dell’Interno che dice che “il richiedente asilo non può avvalersi della seconda modalità di regolarizzazione”, mentre un’altra circolare dice che può partecipare a entrambe. Addirittura “alla questura di Roma sono riusciti a pubblicare dei modelli in cui scrivevano che se tu sei ricorrente, ovvero sei un richiedente asilo e hai avuto una risposta negativa, e hai un ricorso pendente, per partecipare alla sanatoria devi rinunciare al tuo procedimento”. In sostanza “devi rinunciare al ricorso e, soprattutto, alla protezione internazionale”.
I settori inspiegabilmente esclusi dalla misura
Sono tantissimi i settori esclusi dalla sanatoria, la ristorazione o la logistica ad esempio. “L’edilizia è silente ed è un settore in cui chi lavora a nero rischia la vita – spiega Di Paolo Antonio – averlo escluso dalla sanatoria è vergognoso”. C’è un altro fattore: “per noi avvocati è imbarazzante spiegare la sanatoria perché certe volte, giustamente, un ragazzo ti risponde che ha sempre lavorato come muratore e gli devi dire che non ha diritto alla regolarizzazione”. Allora, giustamente, “ti risponde che gli stai dicendo che riceverà i documenti solo se farà lo schiavo nei campi”. Ma “ha ragione – continua l’avvocato – è allucinante e moralmente inaccettabile, ti vergogni di essere italiano quando devi spiegare una cosa simile”.
“La regolarizzazione, peggio di così, non si poteva fare – continua l’avvocato – questi provvedimenti devono essere celeri, invece le persone sono disperate: si devono fare lo spid, l’identità digitale, registrarsi, andare al Caf e poi alle Poste”. Poi si sentono storie di chi ce l’ha fatta in fretta e a distanza con “chissà quali giri”. Esclusi “questi soggetti che fanno queste pratiche secondo dei canali che sono totalmente fuori dal sistema legale, gli altri hanno grandi difficoltà”. Bisognava fare un altro tipo di provvedimento, “rilasciando un permesso per un’attesa occupazione di un anno”, che poi avrebbe portato “a un permesso per motivi di lavoro”. In questa situazione, di casi in cui il datore di lavoro ha effettivamente pagato 500 euro per la regolarizzazione, all’avvocato ne vengono in mente solo due, il motivo è lo stesso: “Perché vogliono bene a quella persona”.