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Perché la proposta di Renzi di un salario minimo di 10 euro l’ora non è una buona idea

La nuova proposta del segretario del Partito Democratico si chiama “salario minimo”: proviamo a capire di che si tratta e a chi converrebbe.
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La campagna elettorale porta con se il solito balletto di dichiarazioni, proposte e promesse elargite a piene mani dai vari candidati. Una delle ultime in ordine di tempo è quella elencata dal segretario del Partito Democratico Matteo Renzi, che ha proposto l’introduzione di un salario minimo legale. In una intervista a Quotidiano Nazionale, rispondendo a una domanda sul problema delle diseguaglianze e del lavoro low cost, l’ex Presidente del Consiglio spiegava: “Il punto è come migliorare la qualità del lavoro, oltre che la quantità. E per questo l’idea del salario minimo legale – che proponiamo tra i 9 e i 10 euro l’ora – è molto importante”.

Il salario minimo orario (o compenso minimo orario) intende fissare una “soglia” oltre la quale il livello della retribuzione oraria dei lavoratori non può scendere. Una qualche forma di salario minimo orario nazionale è in vigore nella maggioranza degli altri paesi europei, mentre l’Italia, con Belgio, Danimarca, Austria, Finlandia e Cipro non presenta ancora norme a riguardo, affidandosi al sistema della contrattazione collettiva. Il Governo Renzi aveva provato a introdurre una norma che riguardava il salario minimo già nell’ottobre del 2014, durante la discussione di una delle "gambe" del Jobs Act, con la legge delega “in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino dei rapporti di lavoro e di sostegno alla maternità e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”.

Il testo proposto dalla Commissione recitava:

introduzione, eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile ai rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato, nonché ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nei settori non regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, previa consultazione delle parti sociali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

La proposta era limitata, appunto, alle tipologie di contratto al momento escluse dalla contrattazione collettiva. E così dovrebbe essere anche la proposta futura del PD, almeno stando a quanto dichiarato da Tommaso Nannicini: “È il momento di introdurre un salario minimo legale che abbracci tutti i lavoratori, all’interno di una nuova cornice per il nostro sistema di relazioni industriali, che combatta i contratti-“pirata” e tuteli la funzione di garanzia del contratto nazionale”.

Come funzionerebbe il salario minimo orario

Ovviamente siamo nel campo delle ipotesi, considerando che oltre l’annuncio di Renzi c’è solo qualche precisazione fornita da Nannicini, da tempo sostenitore della misura. Renzi propone una cifra di 9 – 10 euro l’ora come retribuzione minima, ma sono in molti a pensare che si tratti di una ipotesi ampiamente fuori mercato. Come vi abbiamo spiegato in questo approfondimento, una delle soluzioni più comuni è quella di calibrare il minimo sul 60% del salario "mediano" (che è quello dei lavoratori al centro della curva di distribuzione dei salari), avendo chiaro il fatto che, come spiegava il Sole24Ore, ci sarebbero effetti collaterali non di poco conto:

Insomma, se il salario mediano in un determinato Paese equivale a 10 euro all'ora, un salario minimo equivalente a 6 euro/l'ora può essere controproducente […] La regola del 60% , secondo gli economisti, dovrebbe tutelare una corretta redistribuzione del reddito ma va anche armonizzata con gli ammortizzatori sociali esistenti. Una indennità di disoccupazione eccessivamente elevata, per esempio, potrebbe indurre il lavoratore a scegliere di non lavorare. Un altro rischio insito nell'istituzione del salario minimo è il fatto che potrebbe deprimere al ribasso le retribuzioni della contrattazione singola; oppure fare in modo che parte dell'occupazione cada nel sommerso.

Ancora più chiaro Mario Seminerio sul suo blog, che smonta la sostenibilità dell’idea, anche partendo da un salario minimo fissato al 50% del livello mediano di remunerazione oraria:

L’ipotetico salario minimo italiano sarebbe tra i più elevati al mondo, in termini di incidenza sul salario mediano, collocandosi su livelli sudamericani, e questo torna certamente utile per la nostra rubrichina pre-elettorale, a partire dal titolo. Da ciò conseguirebbe un rischio altissimo, diciamo la sostanziale certezza, che molte aziende finirebbero fuori mercato, e reagirebbero con licenziamenti o con esternalizzazioni verso il sommerso.

Rispondendo a questa e altre critiche, Nannicini ha sostanzialmente sconfessato l’ipotesi di Renzi di una retribuzione di 9-10 euro l’ora, parlando di cifre ancora da fissare e chiedendo di “non guardare solo la mediana per le comparazioni internazionali, ma anche indicatori più sulla coda sinistra”.

Qualche tempo fa, gli economisti de La Voce, in un pezzo co-firmato dall’attuale numero uno Inps Boeri, spiegavano come ragioni prudenziali e di prospettiva invitassero a fare attenzione a salari minimi orari troppo elevati:

In Europa, prendendo in considerazione solo i paesi più simili e vicini all’Italia, il salario minimo (orario) è attualmente fissato a: 4,48 euro in Spagna, circa 7,50 euro nel Regno Unito (6,31 sterline) fino agli 8,5 euro della Germania (dal 2015) e i 9,35 euro della Francia (uno dei livelli più elevati in Europa e non a caso probabilmente oggetto di revisione al ribasso da parte del Governo Valls). Una politica prudente di salario minimo legale in Italia, potrebbe essere quella di fissare un livello compreso tra il minimo salariale spagnolo – che tuttavia coprirebbe solo il 2,5 per cento dei lavoratori dipendenti italiani – e il livello di povertà salariale relativa (convenzionalmente fissato a 2/3 del salario mediano), pari oggi a circa 6,5 euro – che in questo caso coprirebbe circa il 10-11 per cento dei lavoratori dipendenti. Livelli salariali maggiori, come quelli della Germania o della Francia, interesserebbero una quota di lavoratori pari al 30-40 per cento e avrebbero senza dubbio ricadute negative sull’occupazione

Seminerio, sul punto, trova probabilmente la quadra: “Il problema della proposta è che, se fosse stata correttamente posizionata, il numero risultante sarebbe finito intorno ai 5-6 euro, e Renzi sarebbe stato fucilato sul posto al grido di “affamatore!”. Ecco così la proposta estemporanea, con un numero “realistico” ma al contempo non sostenibile. Una proposta di salario minimo più meditata potrebbe essere utile, ma andrebbe resa coerente con i vincoli di realtà. La solita seccatura”.

Il salario minimo e la contrattazione collettiva: cosa è meglio per un lavoratore?

C'è un problema legato alle retribuzioni nel nostro Paese? Senza dubbio. Il salario minimo è una soluzione? Difficile dirlo, probabilmente no. Il punto è che la contrattazione collettiva copre circa l’85% dei lavoratori italiani, garantendo retribuzioni mediamente più alte, come mostra l’indice di Kaitz, nella tabella evidenziata da LaVoce:

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Questo dato è alla base della contrarietà dei sindacati al salario minimo orario, considerando appunto che la contrattazione collettiva garantisce in media retribuzioni più consistenti. Il problema però si pone su coloro che sono esclusi dalla contrattazione collettiva, ovvero quei lavoratori dipendenti il cui contratto non è regolato da accordi collettivi, una quota che sarebbe circa del 15% (ma che secondo alcuni analisti potrebbe essere ben più alta, considerando che ci sono aziende che non rispettano i contratti collettivi nazionali, volontariamente o meno). Si tratta di lavoratori a rischio povertà, che hanno subito più degli altri l'effetto della crisi economica e che vedono continuamente livellato il loro compenso verso il basso, per i quali, ad esempio, la CGIL ha proposto l’estensione erga omnes dei minimi contrattuali nazionali.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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