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Perché la maternità è ancora un ostacolo enorme per le donne che vogliono lavorare, spiegato a Meloni

La presidente del Consiglio Meloni dice che se riesce a portare con sé sua figlia durante un viaggio istituzionale in Cina, dimostra che la maternità non è per forza un ostacolo. Ma la verità è che avere un figlio e accudirlo è sempre più un privilegio, e rischia di diventare un impedimento per tante donne lavoratrici. Almeno in un Paese come l’Italia in cui mancano gli asili nido e in cui nemmeno si vuole parlare di congedi paritari, pienamente retribuiti, per entrambi i genitori.
A cura di Annalisa Cangemi
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La presidente del Consiglio Meloni, in un'intervista al settimanale ‘Chi', in uscita domani, si sofferma ancora una volta sulla questione delle madri lavoratrici, e lo fa partendo dalla sua esperienza personale, dopo due anni di governo a Palazzo Chigi. Il pretesto è la recente visita istituzionale in Cina, dove Meloni si è recata a luglio accompagnata dalla figlia di 7 anni Ginevra.

"Il fatto che io sia arrivata con Ginevra in Cina, scendendo mano nella mano dall'aereo, ha fatto molto discutere. Non ne capisco la ragione, francamente. Tra viaggi e impegni sono stata via quasi una settimana, secondo chi critica tutto ciò, avrei dovuto lasciare mia figlia a casa, magari a casa di amici? Mi fa sorridere che certe persone si ritengano moralmente così superiori da poter insegnare a una madre come crescere la propria figlia. Io invece penso che ogni mamma sappia cosa sia meglio per la sua prole e debba scegliere in libertà", ha detto nella lunga intervista al settimanale.

Ora, a prescindere dal solito ritornello del vittimismo – la premier dice di essere stata attaccata, non fa nomi e cognomi, ma in questo caso probabilmente il riferimento è a Riccardo Cassini, autore tv Rai, che ha condiviso sui social uno scatto di Meloni con la figlia, aggiungendo la frase ‘La mamma dei fascisti è sempre in Cina' – Meloni banalizza una questione delicatissima, che è appunto quello della conciliazione della vita familiare con quella lavorativa, che per le mamme (e anche per i papà) richiede un notevole sforzo di equilibrismo. Ma non è per tutti così ovviamente. Stiamo parlando di uno di quei campi in cui le diseguaglianze e le differenze sociali pesano, e anzi dopo la pandemia si sono accentuate. Per la presidente del Consiglio però è possibile, anche in virtù della sua posizione e del suo importante ruolo, portare con sé la sua bambina di 7 anni, alla quale sente di non dedicare tempo a sufficienza.

Attenzione però, non vogliamo qui criticare in alcun modo la scelta della premier, assolutamente legittima, di non lasciare a casa sua figlia, affidandola a parenti, amici o babysitter durante la sua missione all'estero. Meloni ha preferito non separarsi dalla sua bambina e offrirle una vacanza in Cina, e su questo non abbiamo nulla da obiettare (e ci mancherebbe). Ma il punto è che Meloni ne fa il simbolo di una battaglia di rivendicazione e sensibilizzazione per i diritti delle donne madri, il segno di una rivalsa per tutte le donne. Non è purtroppo così.

La presidente del Consiglio dice che si tratta di "una sfida culturale che riguarda tutte le donne: penso che, se io, che sono presidente del Consiglio, riesco a dimostrare che il mio incarico è compatibile con la maternità, allora non ci saranno più scuse per quelli che usano la maternità come pretesto per non far avanzare le donne sul posto di lavoro. Sulla carta, fare un lavoro importante e dimostrare che si possono anche crescere dei figli non dovrebbe essere una rivoluzione, ma in questa società che spesso usa i figli per impedirti di raggiungere i tuoi traguardi probabilmente lo è…".

Il ragionamento scricchiola non poco, perché indubbiamente se in Italia la presidente del Consiglio riesce a portare avanti il suo incarico e nello stesso tempo riesce a non vivere la maternità come un impedimento, anzi riesce, seppur con fatica, a ritagliarsi del tempo per sua figlia, pur tra mille sensi di colpa che ammette con sincerità di provare, non lo fa perché ci sono leggi o servizi che glielo permettono, ma perché semplicemente vive una condizione di privilegio, economico e materiale. Riuscire a portare la propria figlia con sé, nel periodo problematico per tanti genitori in cui le scuole sono chiuse, senza che questo abbia un impatto sul proprio lavoro, non è insomma cosa da tutti.

Quindi no, Meloni che viaggia con la figlia non dimostra che tutte le donne possono farcela e che la maternità è compatibile con tutte le altre attività che una donna adulta che lavora deve svolgere. La maternità è ancora un ostacolo per le donne – quasi insormontabile per chi non ha una rete familiare di sostegno – almeno in un Paese come l'Italia in cui mancano gli asili nido, e in cui appena il 30% dei bambini da 0 a tre anni trova posto in queste strutture (in alcune regioni del Sud, come la Calabria appena il 10%) mentre l'Ue ha indicato il target del 45% entro il 2030, e Paesi come Francia e Spagna sono già al di sopra del 50%.

Durante la conferenza stampa fatta all'inizio dell'anno, rispondendo a una domanda, Meloni aveva citato i casi di altre donne di successo con figli: "Il modello non sono io, Ursula von der Leyen, presidente della commissione Ue, 7 figli. Roberta Metsola, presidente del Parlamento Ue, 4 figli: si può fare", aggiungendo di non voler accettare l'idea che maternità e natalità siano "nemiche del lavoro delle donne": "Il messaggio che va dato è che non c'è bisogno di rinunciare a una cosa per un'altra. Quello che dobbiamo fare noi è costruire gli strumenti per consentirlo". Ma sono proprio le misure a sostegno della maternità, che il governo dice di voler potenziare, a essere insufficienti.

Da una parte infatti l'esecutivo ha introdotto il cosiddetto bonus mamme, che dà più soldi in busta paga alle dipendenti mamme, con almeno due figli, un esonero totale della quota di contribuzione a carico delle lavoratrici dipendenti, con contratti a tempo indeterminato. Dall'altra però dal 1 gennaio 2024 l'IVA sui prodotti per l'infanzia, come i pannolini, è passata dal 5 al 10 per cento. Ma tralasciando queste palesi contraddizioni, lo strumento che davvero potrebbe agevolare le donne, facendo in modo che non debbano rinunciare a lavorare per riuscire a portare avanti una gravidanza e accudire i propri figli, è introdurre un vero congedo paritario, pienamente retribuito, per entrambi i genitori. Una proposta in tal senso già c'è, ed è stata avanzata dal Pd, e prevede che il congedo di paternità passi dagli attuali 10 giorni obbligatori retribuiti al 100%, a 5 mesi, che sia della stessa durata del congedo di maternità e che non sia trasferibile tra i genitori.

Nel panorama europeo l'Italia è ancora agli ultimi posti, insieme alla Polonia. Il Paese più virtuoso è la Svezia, che dal 1974 ha sostituito il congedo di maternità con un congedo parentale utilizzabile da entrambi i genitori. I genitori che vivono nel Paese nordeuropeo hanno a disposizione congedi parentali della durata di oltre un anno, per un totale di 480 giorni, di cui 60 riservati alla madre e 60 al padre, mentre i restanti possono essere divisi liberamente tra i genitori. Durante quei 480 giorni lo Stato assicura l'80% dello stipendio fino a circa 42.400 euro all'anno. In più alcune aziende aggiungono la differenza per garantire al dipendente fino al 90-100% dello stipendio effettivo. Un altro mondo.

Se non si sostengono concretamente tutte le donne lavoratrici con figli, e se non si vuole concedere agli uomini la possibilità di occuparsi davvero dei propri figli nei primi anni di vita, si può anche difendere la famiglia tradizionale utilizzando la retorica, ma non si vogliono davvero rimuovere gli ostacoli che bloccano la strada per una vera parità tra uomo e donna, per una pari responsabilità genitoriale.

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Giornalista professionista dal 2014, a Fanpage.it mi occupo soprattutto di politica e dintorni. Sicula doc, ho lasciato Palermo per studiare a Roma. Poi la Capitale mi ha fagocitata. Dopo una laurea in Lettere Moderne e in Editoria e giornalismo ho frequentato il master in giornalismo dell'Università Lumsa. I primi articoli li ho scritti per la rivista della casa editrice 'il Palindromo'. Ho fatto stage a Repubblica.it e alla cronaca nazionale del TG3. Ho vinto il primo premio al concorso giornalistico nazionale 'Ilaria Rambaldi' con l'inchiesta 'Viaggio nell'isola dei petrolchimici', un lavoro sugli impianti industriali siciliani situati in zone ad alto rischio sismico, pubblicato da RE Le Inchieste di Repubblica.it. Come videomaker ho lavorato a La7, nel programma televisivo Tagadà.
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