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Perché la maggioranza sta di nuovo litigando sulle armi all’Ucraina

Dopo quasi sette ore di vertice, la maggioranza non ha ancora una risoluzione condivisa da accompagnare alle comunicazioni del premier Draghi in vista del prossimo Consiglio Ue. Tema del contendere è ancora quello dell’invio di armi all’Ucraina. Alla fine forse una soluzione si troverà, ma le divisioni dentro il governo sono sempre più profonde.
A cura di Marco Billeci
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Doveva essere tempesta e tempesta è stata, anche se a sera, il rischio di naufragio del governo Draghi sembra scongiurato. È durata quasi sette ore la riunione di maggioranza, dedicata alla scrittura della risoluzione da accompagnare alle comunicazioni del premier in Senato, in vista del Consiglio europeo del 22 giugno. Al termine della maratona, ministri, deputati e senatori hanno lasciato le sale di palazzo Madama, senza ancora un testo condiviso in mano. Ma, assicurano tutti i partecipanti al vertice,  a un accordo si arriverà domani, con una nuovo incontro convocato per le otto e mezzo del mattino.

Ma su cosa stanno discutendo il governo e i partiti che lo sostengono? La questione è sempre quella che ha animato il dibattito politico negli ultimi mesi, cioè l'invio di armi all'Ucraina, per difendersi dall'invasione russa. Il punto, in questo caso, è come affrontare  – all'interno della risoluzione da presentare in aula – il tema di possibili nuovi spedizioni di armamenti a Kiev.

Prima dell'inizio della riunione di oggi, Fanpage aveva raccontato del pressing del Movimento 5 Stelle per inserire nel testo un esplicito riferimento alla necessità che Draghi parli alle Camere ogni volta che l'Italia deciderà di inviare nuove armi in Ucraina, con un meccanismo che permetta ai parlamentari di votare e dunque esprimersi a favore o contro l'iniziativa. Una posizione che evocava le dure prese di Giuseppe Conte nelle scorse settimane e che, confessavano fonti di governo, rischiava seriamente di mandare in frantumi la maggioranza.

A sera lo scontro sembra parzialmente rientrato, o quantomeno rimandato. Lasciando il vertice sulla risoluzione, la capogruppo Pd al Senato Malpezzi parla di "clima sereno" tra i partecipanti. "Stiamo limando gli ultimi dettagli, siamo all'ultimo miglio", aggiunge il presidente della commissione Affari Europei Sergio Battelli, Cinquestelle di fede Dimaiana. A quanto apprende Fanpage.it, nel testo entrerà un paragrafo circa la necessità di un continuo coinvolgimento del parlamento da parte del governo, per quanto riguarda le scelte sul conflitto ucraino. Una formula sufficientemente vaga da rimandare appunto la discussione sul modo in cui questo coinvolgimento dovrà concretizzarsi, se tramite semplici periodiche informative del premier alle Camere o se invece con meccanismi che prevedano anche delle votazioni.

Cosa manca per l'accordo

Tutto risolto, dunque? Non proprio, perché per una falla che si chiude, nel corso della riunione se ne apre un'altra. Qui la storia diventa quasi cervellotica. Da palazzo Chigi fanno sapere che alla frase sul coinvolgimento del parlamento deve accompagnarsi una postilla, per ricordare che le Camere hanno già approvato il cosiddetto decreto Ucraina.  Si tratta della legge quadro, che autorizza l'invio di armi al governo Zelensky, fino al 31 dicembre 2022. In pratica, sembra voler dire Draghi, bene informare i parlamentari sulle prossime  mosse del governo, ma le forze politiche non provino a commissariare l'esecutivo sulla linea da tenere, perché su quello il parlamento ha già dato un mandato, che arriva fino a fine anno.

Leu e M5S propongono invece una formulazione più larga che fa riferimento alla normativa già approvata, senza una menzione specifica del Dl Ucraina. Sono solo parole, all'apparenza. Ma palazzo Chigi fa muro, perché vuole chiarire la questione una volta per tutte, mentre teme che con una frase troppo vaga, i partiti contrari all'invio di armi torneranno alla carica nelle prossime settimane, se si dovesse presentare la necessità di un quarto Dpcm, per spedire altri armamenti a Kiev. Dall'altro lato della barricata, si accusa invece Draghi di impuntarsi su una questione formale e si sospetta che il vero intento del premier sia quello di "fare la faccia dura", nei confronti delle forze di maggioranza più critiche verso la linea dell'esecutivo.

"Non c'è rischio di spaccare la maggioranza", assicura il senatore dem Alessandro Alfieri, alla fine del vertice. "Stiamo per chiudere, noi chiediamo un passaggio in parlamento", spiega la capogruppo M5S in Senato Mariolina Castellone, senza però rispondere alla domanda se questo passaggio dovrà comportare un voto. La sensazione è che alla fine un compromesso si troverà e Draghi supererà indenne il passaggio alle Camere. Allo stesso tempo, però, tutti i nodi e le differenze di visione sulla guerra in Ucraina interni alla maggioranza rimangono irrisolti. E sono destinati a ripresentarsi nelle prossime settimane.

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