Dopo le polemiche sulla conferenza del Centro Studi Machiavelli organizzata in una sala della Camera prenotata dal deputato leghista Simone Billi durante la quale si è detto che l’aborto non è un diritto, neanche in caso di stupro, la Lega si è affrettata a prendere le distanze. Billi ha detto che le posizioni espresse non rappresentano le sue né quelle del partito, che è a favore della libertà di scelta, dichiarazione confermata anche dal capogruppo della Lega alla Camera Andrea Crippa. In realtà, la Lega ha una lunga storia di opposizione all’aborto, che si è notevolmente rafforzata negli ultimi anni.
Nei primi anni della Lega Nord, la questione aborto non era prioritaria per il partito: quando il movimento fu fondato, infatti, erano passati solo pochi anni dal fallimento del referendum abrogativo sulla 194/78 e in più la Lega si distingueva per un certo anticlericalismo, strizzando l’occhio anche alle tradizioni celtiche e pagane. L’opposizione all’aborto era un tema più caro ai partiti della destra tradizionale e del centro cattolico, che la Lega aveva l’ambizione di superare. Stando a quanto ha raccontato l’eurodeputata Gianna Gancia (unica deputata del gruppo Identità e democrazia che nel 2022 ha votato a favore per inserire l’aborto nei diritti fondamentali dell’Unione europea), Umberto Bossi è sempre stato favorevole all’interruzione di gravidanza e ha sempre detto che “la Lega non vuole far soffrire le donne”.
Una prima svolta avvenne alla fine degli anni ’10, quando si cominciò a discutere dell’introduzione della pillola abortiva in Italia. Nel frattempo, la Lega Nord era stata al governo e aveva assunto un volto più istituzionale, moderando le posizioni anticlericali e antimeridionaliste, presentandosi come un partito attento ai valori tradizionali italiani e cattolici. Nel 2009, quando l’Aifa autorizzò la RU486 in Italia, la commissione del Senato guidata dal senatore di Forza Italia Antonio Tomassini tentò di bloccarne la vendita. Tra i firmatari del documento, c’erano i senatori della Lega. Inoltre, due presidenti di regione leghisti, Luca Zaia in Veneto e Roberto Cota in Piemonte, si opposero alla vendita della pillola nel proprio territorio, creando però un certo malumore nel partito e nel governo. Cota disse alla stampa che le pillole potevano anche “marcire nei magazzini”.
All’epoca, la scelta di Zaia e Cota fu vista come un tentativo di riavvicinamento tra la Lega e la Chiesa cattolica, che infatti applaudì i due governatori. In realtà, più che al Vaticano, il partito si stava sempre più avvicinando a tutto quel movimentismo neocattolico che nel giro di pochi anni si riunirà intorno alla lotta “anti-gender”. È in questo periodo che le posizioni della Lega sull’aborto si fanno sempre più compatte e intransigenti, anche grazie a figure come l’ex europarlamentare e ora presidente della Camera Lorenzo Fontana (che definì l’aborto “la prima causa di femminicidio al mondo”) e l’ex senatore Simone Pillon (secondo cui “non dovremmo discutere se l’aborto è lecito”).
A livello locale, la Lega cominciò a sostenere i gruppi antiabortisti e si fece promotrice di diverse iniziative, come l’istituzione dei cimiteri dei feti, le mozioni per la “città della vita” o i fondi per convincere le donne a non abortire, come quello recentemente approvato dalla regione Umbria, dove governa la Lega. Nel 2019, diversi candidati leghisti alle elezioni europee firmarono un impegno con il Comitato Difendiamo i Nostri Figli per “avversare con ogni mezzo legittimo i pretesi diritti d’aborto e d’eutanasia”. Iniziative analoghe sono state ripetute anche per altri appuntamenti elettorali, come le elezioni regionali del 2023 in cui i candidati si sono impegnati a difendere il “principio di indisponibilità della vita umana dal concepimento alla morte naturale”.
In tutti questi anni, il leader del partito Matteo Salvini ha però rilasciato dichiarazioni ambigue sull’aborto. Durante un comizio del 2020, parlando della presenza di persone straniere nei pronto soccorso, riferì di aver sentito alcune infermiere lamentarsi perché c’erano donne che andavano a interrompere la gravidanza più di una volta. Il segretario della Lega disse che non voleva entrare “nel merito di una scelta che compete solo alla donna”, ma che non si poteva “arrivare a prendere il pronto soccorso come la soluzione a uno stile di vita incivile”. Nel 2021, durante un discorso al Senato, Salvini inoltre parlò di “pillole abortive regalate per strada a chiunque”, riferendosi all’aggiornamento delle linee di indirizzo sulla Ru486. L’anno seguente, rispondendo a delle storie Instagram dell’influencer Chiara Ferragni, che si era detta preoccupata di una possibile marcia indietro sulla 194 con un governo di destra, il leader della Lega difese la libertà di scelta, ma contemporaneamente richiamò come modello le leggi contro l’aborto in Ungheria. Anche in un video pubblicato successivamente sui social, ribadì che per quanto riguarda la Lega “la parola spetta sempre e comunque alla donna”, ma che bisogna anche sostenere “le attività incredibili e generose dei Centro di aiuto alla vita”.
L’impressione è che, a parole, la Lega voglia mostrarsi come una forza progressista sull’aborto, o perlomeno non troppo conservatrice. Ma i fatti smentiscono più volte la sua posizione: nel 2019, quando era ministro dell’interno, Salvini patrocinò la convention antiabortista del Congresso delle famiglie di Verona (per poi ritirare il patrocinio a seguito delle numerose polemiche). Anche se rassicurò l’opinione pubblica ribadendo di non voler “togliere diritti” a nessuno, appoggiare pubblicamente e partecipare come relatore a un congresso i cui organizzatori pensano che “l’aborto uccide 6 milioni di bambini ogni anno” o che è un gesto “da cannibali” forse non fu la strategia vincente per dimostrare che la Lega è davvero a favore della libertà di scelta.