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Perché la Consulta si esprime ancora sul suicidio medicalmente assistito: cosa deciderà nella sentenza

A giorni la Corte Costituzionale, dopo il caso di Dj Fabo, si esprimerà ancora una volta sul suicidio medicalmente assistito. Il governo si è costituito alla Consulta contro l’associazione Coscioni, per la vicenda di Marco Cappato, Felicetta Maltese e Chiara Lalli, che nel 2022 accompagnarono a morire un malato di sclerosi multipla, irreversibile, in una clinica in Svizzera.
A cura di Annalisa Cangemi
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La Corte Costituzionale è chiamata a esprimersi ancora sul suicidio medicalmente assistito, dopo essere intervenuta in passato sul caso di Dj Fabo. La sentenza dovrebbe arrivare a giorni.

Ieri, a palazzo della Consulta, si è tenuta una seduta pubblica a cui ha partecipato l'avvocatura dello Stato, che si è costituita per il governo, contro l'associazione Coscioni per il caso di Marco Cappato, Felicetta Maltese e Chiara Lalli, accusati di istigazione al suicidio per aver accompagnato un malato di sclerosi multipla, irreversibile, in una clinica in Svizzera.

La vicenda di Massilimiliano Scalas

La vicenda ruota attorno al caso di Massimiliano Scalas, 44enne toscano malato di sclerosi multipla, che nel dicembre del 2022 morì in Svizzera, accompagnato da Marco Cappato, Chiara Lalli e Felicetta Maltese. In questo caso la questione di legittimità costituzionale è stata sollevata su un'interpretazione più ampia delle indicazioni della stessa Consulta, espresse nella sentenza 242 del 2019, che stabilì che per poter accedere legalmente al suicidio assistito è necessario che l'ammalato sia dipendente dai cosiddetti trattamenti di sostegno vitale. A sollevarla è stato un gip di Firenze dopo la richiesta di archiviazione formulata dalla procura in seguito alla morte di Massimiliano. Il nodo giuridico che deve ora sciogliere la Corte Costituzionale riguarda proprio questo aspetto: Massimiliano non era non era dipendente da un trattamento di sostegno vitale inteso in senso restrittivo (come per esempio la ventilazione meccanica), nonostante fosse totalmente dipendente dall'assistenza di altre persone. Per questo Massimiliano decise di andare in Svizzera, perché avrebbe potuto incontrare ostacoli nell'accedere all'aiuto medico alla morte volontaria in Italia.

Perché il governo è intervenuto nel procedimento

Il governo ha deciso di intervenire nel procedimento, costituendosi alla Consulta, rappresentato dall'avvocatura dello Stato, per opporsi all'ampliamento dello spettro della libertà di poter scegliere oltre le cure palliative per alleviare le sofferenze dei malati irreversibili: se fosse confermata dalla Corte Costituzionale questa interpretazione restrittiva Cappato, Maltese e Lalli rischierebbero una condanna che prevede come pena massima 12 anni di carcere.

La posizione del governo, rappresentata da due avvocati dello Stato, è quella quindi di non ampliare lo spettro della punibilità dell'articolo 580 del Codice penale sull'istigazione al suicidio, e potenziare e mantenere le cure palliative e la terapia del dolore. L'Associazione Coscioni invece chiede che anche l'assistenza continua da parte di altre persone sia considerata "trattamento di sostegno vitale".

"Abbiamo aiutato Massimiliano perché sentivamo fosse nostro dovere farlo, per interrompere una situazione di tortura alla quale era sottoposto. Se potessimo tornare indietro, lo faremmo ancora per lui e per tutte le persone nelle sue stesse condizioni – hanno detto oggi Marco Cappato dell'Associazione Luca Coscioni a margine dell'udienza pubblica di ieri presso la Corte Costituzionale – Questa volta, la questione riguarda un'interpretazione più ampia delle indicazioni della stessa Consulta che in quell’occasione stabilì che per accedere legalmente all'aiuto medico per la morte volontaria, la persona deve, tra gli altri requisiti, essere dipendente da trattamenti di sostegno vitale. Questo requisito ambiguo obbliga molti italiani a recarsi in Svizzera per accedere alla tecnica, come ha fatto Massimiliano".

"Ci sono state pressioni da parte del governo", ha continuato Cappato, "per affrontare questo processo con un'interpretazione che potrebbe portare a condanne da 5 a 12 anni. Continueremo a lottare finché questo diritto non sarà riconosciuto nel nostro Paese."

Accanto a lui c'era come sempre l'avvocata Filomena Gallo, Segretaria dell'Associazione Luca Coscioni e coordinatrice del team legale di difesa. "Oggi non discutiamo il riconoscimento del diritto a morire, ma la discriminazione tra diversi tipi di assistenza al suicidio che colpisce direttamente coloro che offrono aiuto e indirettamente le persone malate. Anche l'assistenza continua è vitale. La Corte è chiamata nuovamente a decidere sul diritto di scegliere la propria fine, in assenza di una legislazione adeguata. Questi sono casi di malattie degenerative e incurabili. Non chiediamo che la tutela della vita diventi meno importante, ma che l'articolo 580 del codice penale sia conforme ai principi costituzionali. La Corte ha il compito cruciale di essere una guida su questo tema, su cui anche la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha richiamato le corti nazionali a intervenire".

"Mi chiedo: questa è vita? Il mio corpo si sta immobilizzando sempre più, ho dolori, ieri sera hanno impiegato tre ore per vestirmi. Da sola morirei di sete e di fame nel mio letto. Quello che mi viene dato non è un trattamento di sostegno vitale? Si tratta solo di ampliare l'interpretazione. Chiedo solo la libertà di avere un piano B. Ho 5 assistenti e mio marito cargiver. Mi lavano, mi nutrono, non so più se è vita questa. Sono una persona lucida, caparbia e attaccata alla vita. Questa giornata è estremamente emozionante. Non voglio illudermi, ma l'accoglimento della mia richiesta è una dimostrazione di sensibilità. Non vogliamo modificare il dettato costituzionale ma si tratta di capire cosa si intende per trattamento di sostegno vitale", è stato il commento a margine dell'udienza di Laura Santi, appartenente all'associazione Luca Coscioni, affetta da più di 20 anni da una forma di sclerosi multipla progressiva e ammessa come terza parte nel procedimento.

Cappato e altri attivisti membri della realtà responsabile delle disobbedienze dell'Associazione Soccorso Civile sono indagati dalle Procure di Bologna, Milano e Roma per lo stesso motivo, aver aiutato altre persone a ottenere la morte volontaria assistita in Svizzera.

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