"Adesso mi aspetto per prima cosa che mia figlia tolga il reddito di cittadinanza”. Sono parole e musica di Anna Paratore, mamma di Giorgia Meloni, vincitrice delle elezioni e presidente del consiglio in pectore. Soprattutto, sono parole che riflettono alla perfezione ciò che la figlia e il partito che guida pensano della misura contro la povertà varata dal governo Conte I nel 2019. Che “va cancellato”, secondo l’attuale capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia Francesco Lollobrigida. O comunque “dimezzato”, come ha fatto intendere un altro dei massimi dirigenti del partito come Ignazio La Russa.
Quella del reddito di cittadinanza, insomma, sembra la cronaca di una morte annunciata. Eppure, non sarà un passaggio semplice come sembra, né per chi sta al governo, né per chi sta all’opposizione. Anzi, al contrario, quella che sembra una delle poche certezze in mesi complessi come quelli a venire, rischia di diventare una bomba in grado di trasformare i destini di governo e opposizione.
Partiamo dalla maggioranza, dove tutti sembrano condividere la risolutezza di Giorgia Meloni, ma fino a un certo punto. Non il leader della Lega Matteo Salvini, ad esempio, che sedeva nel consiglio dei ministri che il Reddito l’ha istituito, che ha sempre parlato di una “revisione” di questo strumento, e non di una sua cancellazione, magari slegandolo dalle politiche attive del lavoro, o togliendolo a chi rifiuta un posto di lavoro mentre lo percepisce. E non Silvio Berlusconi che invece ha più volte dichiarato di voler aumentare il reddito di cittadinanza per i più poveri.
Non sarà facile venirne a capo, per Giorgia Meloni, a fronte di un Paese schiacciato dal peso di una bolletta energetica che crescerà esponenzialmente a partire da ottobre e da una recessione in arrivo per il 2023. Con la Germania che ha già annunciato un piano da 200 miliardi contro il caro bollette, e un debito pubblico al 150% che non permette di fare altrettanto, Meloni ha contemporaneamente bisogno di soldi per finanziare nuove misure di sostegno ai redditi, ma nel contempo non può permettersi di eliminare quello che per molti è un sussidio di sopravvivenza.
Le cose si complicano, peraltro, se inseriamo nell’equazione l’incognita delle opposizioni. Con i Cinque Stelle che sulla sopravvivenza del Reddito hanno costruito il loro successo elettorale e che con ogni probabilità continueranno a cavalcare il tema nelle piazze e sui media per conquistare ulteriore consenso e centralità. E con Matteo Renzi che ha già annunciato che ricomincerà a raccogliere le firme in piazza per promuoverne l’abolizione per via referendaria, battaglia a cui probabilmente si accoderà anche Carlo Calenda. In mezzo, c’è il Partito Democratico, che ha votato contro il Reddito in Parlamento, ma che sul tema è letteralmente spaccato in due, tra chi sostiene sia una misura da difendere così com’è e chi invece punta a una sua profonda revisione. Molto probabile diventerà argomento di dibattito congressuale, in un partito già dilaniato di suo.
Una battaglia campale sul reddito tra Meloni e Conte, in altre parole, potrebbe spaccare sia il governo, sia l’opposizione, polarizzando lo scontro tra i due leader, che avrebbero buon gioco a usare questa battaglia per cannibalizzare il dibattito e, di conseguenza, il consenso. Allo stesso modo, Salvini potrebbe usare questa battaglia per fare fronda e ottenere margini di trattativa che al momento, causa debacle elettorale, gli sono preclusi. Così come del resto il Terzo Polo potrebbe usare il reddito per accogliere tutti quei dem che tutto vogliono tranne essere collaterali ai Cinque Stelle, tanto più se dai sondaggi uscisse un sorpasso del Movimento nei confronti del Pd.
Quel che è sicuro è che da una battaglia del genere potrebbero uscire una maggioranza e un’opposizione completamente diverse da quelle che conosciamo ora. Sperando che tutto ciò non finisca per andare a discapito delle famiglie, in un autunno che si annuncia pesante come non mai.