Perché in Italia è così complicato condannare qualcuno per apologia del fascismo
I fatti di Acca Larentia hanno fatto riesplodere la polemica politica sull'eredità del fascismo in Italia. E il caso è arrivato in Parlamento, con il Partito democratico che ha presentato una proposta di legge per reprimere l'apologia del fascismo. In realtà, su questo tema, esistono già due norme, nonché una menzione costituzionale: a livello giuridico, però, stabilire che cosa sia reato e che cosa sia invece una legittima espressione di pensiero è decisamente complicato. Fanpage.it ha fatto il punto con Giulio Enea Vigevani, professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano Bicocca, che come prima cosa ha messo in chiaro: "Sono ormai decenni che non si capisce come funziona, è una delle questioni più antiche, contestate e insolute".
Procediamo con ordine. La prima legge in materia, varata ormai nel lontano 1952, è la nota legge Scelba. "È una legge che nasce come attuazione della disposizione finale della Costituzione che vieta la ricostituzione del partito fascista. Questa legge prevede all'articolo 4 che sia punito penalmente chi esalta principi e fatti del fascismo e, all'articolo 5, chi compie in manifestazioni pubbliche i gesti legati al fascismo, come il saluto romano", spiega il professore, sottolineando che quindi a una prima lettura potrebbe sembrare ovvio che fare il saluto fascista significhi commettere un reato. Le cose, però, sono più complicate di così: "C'è un punto di cui si è ampiamente discusso: cioè che il saluto fascista sia una manifestazione di pensiero. Come è compatibile un reato con una mera manifestazione di pensiero?", chiede Vigevani.
Per poi precisare: "Da sempre, anche sulla base della giurisprudenza costituzionale, si ritiene che il reato si manifesti solo quando ci sia il pericolo concreto di ricostituzione del partito fascista. Cioè quando questi gesti siano volti a ricostruire concretamente il partito fascista. In questo modo, allora difficilmente il saluto romano può configurare come reato".
Quando il saluto fascista è perseguibile come un reato secondo la legge Scelba
Insomma, perché il saluto romano sia perseguibile, deve essere compiuto in un contesto preciso, che mira a ridare alla luce il partito del Duce. Ancora una volta, però, le cose si complicano: "Negli anni ci sono state, sempre in relazione alla legge Scelba, delle sentenze che hanno interpretato in modo diverso la finalità, affermando cioè che per far figurare il reato non sia necessario voler ricostituire il partito fascista, ma basterebbe che le manifestazioni in qualche modo uniscano i camerati, creando l'adesione a un progetto. Insomma, ci sono indirizzi giurisprudenziali diversi: alcuni che assolvono, altri che condannano", sottolinea il professore.
Vigevani spiega che molto dipende anche dal singolo caso e dall'interpretazione che ne viene data: "Una cosa è una manifestazione fatta in occasione di eventi particolarmente dolorosi come può essere appunto la commemorazione per la morte di Ramelli o per la strage di Acca Laurentia, quando delle persone sono state uccise per mano di una violenza politica. Altra cosa è, ad esempio, fare il saluto fascista sulla tomba di Benito Mussolini. Il gesto in sé è lo stesso, la motivazione dovrebbe essere estranea, ma nella giurisprudenza le sentenze tengono conto del contesto. Anche nella giurisprudenza c'è sempre il rischio di anteporre giudizi morali a quelli di tipo tecnico e giuridico".
Cosa stabilisce la legge Mancino sull'apologia del fascismo
Se già le cose erano complicate con questa norma, nel 1993 è stata varata un'altra legge – la legge Mancino – che ha ulteriormente intricato il quadro: "È un decreto legge che riguarda più prettamente i discorsi d'odio la discriminazione, oltre alla propaganda di idee fondate sulla superiorità e razziale. Anche in questo caso si dice che è punibile chi nelle riunioni pubbliche esibisce simboli di organizzazioni razziste o comunque che predicano la superiorità razziale: il saluto romano sembra quindi punibile anche secondo questa legge. Inoltre la legge Mancino non ha l'interpretazione stretta che ha invece la legge Scelba: per cui sullo stesso fatto è possibile venire assolti se si applica la legge Scelba e venire condannati se si applica la Mancino. Di volta in volta, quindi, dipende dal capo di imputazione contestato dal pm, da quale legge decide di applicare, e dall'interpretazione del giudizio. Guardando le statistiche, però, ci sono più condanne legate alla legge Mancino che alla legge Scelba", dice Vigevani.
Perché è importante ciò che diranno le sezioni unite della Cassazione
Insomma, evidentemente su questa materia la giurisdizione è molto confusa. Potrebbe aiutare a fare chiarezza il pronunciamento atteso delle sezioni unite della Cassazione: "Di recente, a settembre, in un caso in cui c'era stata in primo grado un'assoluzione e in appello una condanna, su un fatto sempre relativo alle commemorazioni per la morte di Ramelli e Pedenovi, nel ricorso in Cassazione c'è stato un rinvio alle sezioni unite – racconta il professore – In questo rinvio sono state poste due domande fondamentali: la prima riguarda la legge da applicare, se la Scelba o la Mancino, mentre la seconda è attinente al tipo di pericolo che si prefigura, se concreto o astratto. Per pericolo concreto si intende la prova di un'azione (o almeno il principio di un'azione) conseguente a quel gesto. Per pericolo astratto si parla del rischio che da quel gesto possano nascere una serie di conseguenze. Sarà fondamentale vedere cosa dicono le sezioni unite: se parleranno di un pericolo concreto e diranno che l'articolo 5 della legge Scelba sia norma speciale, allora è evidente che lo spazio di punizione di quel gesto sarà molto ristretto. Al contrario, se indicheranno un pericolo astratto e diranno di applicare la legge Mancino, allora quello spazio diventa molto più ampio".
E nel caso del 7 gennaio? "Questo caso del 7 gennaio potrebbe essere proprio un caso in cui, data la massa di persone e l'inquadramento militare, ci potrebbe essere una fattispecie penalmente rilevante", afferma il professore.
Il modello italiano e quello tedesco, due approcci diversi alla democrazia
Vigevani conclude con un ragionamento importante, sulla transizione dal totalitarismo nazi-fascista alla democrazia. E fa un paragone con la Germania: "I nostri padri costituenti potevano scegliere tra due modelli: quello della democrazia che si protegge o quello della democrazia aperta. Il modello della democrazia che si protegge è il modello che hanno scelto i tedeschi, per cui tutti gli antidemocratici – in primo luogo i nazisti – sono fuori dal perimetro democratico. Per poter partecipare alla vita democratica, hanno stabilito, bisogna condividerne a pieno anche i valori: in uno scenario di questo tipo è stato quindi semplice introdurre reati come quello di negazionismo – cioè la negazione della Shoah – vietare partiti con ideologie contrastanti con la democrazia e punire le manifestazioni di queste organizzazioni. In Italia i costituenti, anche per una certa fiducia che avevano nella democrazia, hanno optato per un modello aperto, in cui non ci sono per quanto riguarda le associazioni vincoli di natura finalistica. Si possono perseguire anche fini non esattamente democratici, purché questo venga fatto con il metodo della democrazia, cioè non con la violenza ma presentandosi alle elezioni".
Il professore poi aggiunge: "Questa è stata una scelta consapevole dei nostri padri costituenti che oggi incide sullo spazio della libertà di espressione: anche chi è contro la democrazia deve potersi esprimere e poi nella dialettica prevarrà – questa è la fiducia, o almeno la speranza – la scelta democratica. Questa è l'impostazione di fondo che c'è nella nostra Costituzione e nei principi di libertà di associazione e di espressione e tutto ciò ha avuto un impatto anche su questo tipo di reati. La nostra Costituzione non esclude totalmente il pensiero anti-democratico che richiama l'esperienza fascista: non si può ricostituire il partito fascista, ma tutte le idee sono ammesse – a meno che non comportino violenza, chiaramente – come parte del dibattito". Infine, Vigevani conclude: "Negli ultimi anni si è evidenziato come le forze antidemocratiche siano diventate sempre più forti e si è fatta più preponderante l'idea che, di fronte a ciò, ci si debba proteggere. Ecco, questo è lo scenario attuale e il punto di partenza per discutere di quanto sta avvenendo".